Book of Demons | Recensione, omaggio di carta a Diablo

Dopo PC e tablet, Book of Demons arriva anche su console. Siamo scesi negli inferi per recensire la versione PS4 di questo interessante hack and slash.

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a cura di Martina Fargnoli

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La prima volta che ho avuto modo di giocare Book of Demons risale al 2017, quando ancora il gioco era nelle sue fasi preliminari dell'accesso anticipato su Steam, Thing Trunk ha speso questi anni ad affinare la propria opera, a bilanciarla per renderla appagante per gli utenti più esigenti e al tempo stesso accessibile anche a chi ha poco tempo per giocare o non ha la stessa esperienza di chi macina hack and slash. Il lancio ufficiale è arrivato solo nel 2019, seguito un anno più tardi dalle versioni mobile e console, quest'ultima sviluppata da Sonka e oggetto di esame proprio di questa recensione. A incuriosirmi di questo progetto è sempre stata l'aspirazione alla sua base: creare una collezione di giochi - ognuno unico per tema e genere - che funzioni in parte come tributo e in parte come re-immaginazione di alcuni grandi classici. Book of Demons è infatti un chiaro omaggio a Diablo, una parodia ma anche qualcosa in più perché a suo modo cerca di distinguersi per non rimanere scottato dalle fiamme dell'inferno.

La presentazione iniziale inquadra già una delle particolarità di tutto il lavoro concettuale svolto sul progetto Return 2 Games: ogni tomo presente è la via di accesso a un gioco che viene stilizzato come l’avventura di un libro pop-up. Sagome di carta prendono forma sullo schermo e dopo che la voce narrante ha finito di anticipare gli scontri che ci attendono in questo Cartaverso, siamo dentro le pagine del libro, in una cittadina che funge da piccolo hub prima di dedicarci all’esplorazione dei dungeon. A mano a mano compariranno quattro personaggi che oltre a raccontarci un po’ di storia e qualche curiosità su ciò che incontreremo lungo il cammino, serviranno per recuperare mana e vita, potenziarci, indentificare oggetti misteriosi e riscuotere qualche premio. Il dungeon, invece, si presenta come una lunga discesa negli inferi passando per diverse zone tematiche e dovendo affrontare alcuni boss intermedi prima del faccia a faccia con l’Arcidemone che si trova nelle profondità infernali nascoste proprio sotto la cattedrale del villaggio. I fan di Diablo riusciranno a cogliere tutte le similitudini con il gioco del 1996, ma è appena varcata la soglia del primo scenario che siamo chiaramente di fronte a una diversa concezione di dungeon crawler.

Book of Demons: solo un Diablo su binari?

Il movimento avviene proprio come se fossimo pedine in un mondo di carta, lungo sentieri generati dal gioco e quindi senza poterci muovere liberamente, ma solo andando avanti e indietro o a destra e sinistra se sono presenti incroci. Questa scelta definisce il modo in cui possiamo attaccare, infatti solo i mostri all’interno del nostro raggio di visione possono essere colpiti. Book of Demons presenta anche un sistema di auto attacco, basterà infatti che il nemico sia visibile e verrà attaccato automaticamente dal nostro personaggio. Ovviamente sarà un attacco più lento e che ignora completamente la priorità dei bersagli. Premendo il taso azione volontariamente, il danno sarà accelerato e ci si potrà concentrare sui nemici più particolari. Alcuni indossano scudi che possono essere distrutti solo premendo ripetutamente il tasto cerchio del nostro DualShock – e l’equivalente per le altre versioni console – mentre con altri nemici dobbiamo dosare bene il tempismo perché colpirli troppo velocemente li manderà in stato di rabbia.

Il bestiario è discretamente ampio considerate le diverse famiglie e varianti di nemici a seconda anche dello stato elementale che possono infliggere. Oltre ai già citati, ad agire in modo differente dai mostri comuni ci sono gli spettri che possono attraversare le pareti o i ragni giganti che se uccisi lasciano sul campo delle versioni più piccole di loro stessi. Nei livelli è poi possibile incontrare dei boss con un nome tutto loro, che per essere eliminati devono essere colpiti durante diverse fasi. Al termine di ogni fase il boss è immune e si prepara a un attacco speciale, spesso evoca altri minion o fa cadere ostacoli sul terreno. Alcuni dei nemici sono protetti da altri mostri e solo spezzando quei legami saranno vulnerabili. Chiaramente se vi piacciono gli hack & slash, in Book of Demons c’è molto a cui dar la caccia anche se queste meccaniche per costringere a premere bottoni diversi dall’attacco potrebbero non incontrare il favore di tutti.

Data la difficoltà a muoversi liberamente, può capitare di essere circondati e di non avere molte chance di uscire dall’angolo se non prima eliminando tutti i nemici per ritagliarsi una via di fuga. Il trucco è quello di mantenere sempre le dovute distanze, capendo quando avanzare e quando indietreggiare tanto anche l’attacco corpo a corpo del guerriero in realtà colpisce a distanza. Se vi capita però di rimanere spesso bloccati, Book of Demons fa affidamento su un sistema di carte per utilizzare gli attacchi ad area o le mosse evasive. Siamo di fronte a una componente deck building ma non nella stessa misura in cui magari si appoggia a questa meccanica un gioco come Slay the Spire. Diciamo che a Book of Demons serviva un modo coerente per dare senso alle abilità del proprio personaggio e si è pensato di realizzarle in forma di carte. Una scelta condivisibile a cui però corrisponde anche un pizzico di strategia infatti potete adattare il deck al vostro stile di gioco e in funzione dei nemici presenti nel livello. Ad esempio, con il guerriero l’istinto è quello di gettarsi nella mischia quindi lo abbiamo costruito per respingere gli attacchi, generare cuori in base ai colpi subiti e fare attacchi che spazzano via i nemici nelle vicinanze. Al contrario il mago ci ispirava un approccio diverso basato più su attacchi elementali e una maggiore mobilità per ripristinare le distanze nei momenti più critici.

Le carte si dividono in artefatti che danno anche dei bonus passivi, oggetti consumabili ricaricabili, carte incantesimo e carte potenziamento che servono per “craftare” delle versioni migliori delle altre carte ottenute. La scelta non è indiscriminata, prima di tutto perché bisognerà progressivamente espandere gli slot a disposizione acquistandoli in città, in aggiunta le carte richiedono determinate quantità di mana. In particolare, le carte artefatto se equipaggiate bloccano parte del nostro pool di mana. Il mana bloccato dall’equipaggiamento di artefatti non può essere utilizzato per eseguire abilità. Questo crea un sistema bilanciato che obbliga a scegliere in modo strategico la composizione del proprio mazzo chiave. In ogni momento durante la partita si può ritornare sui propri passi per combinare diversamente le carte in proprio possesso.

Nel gioco sono presenti diverse modalità in base al proprio livello di esperienza con giochi dello stesso genere tra cui anche una modalità di difficoltà "roguelike" con una maggiore casualità del drop e una complessità più elevata. Uno degli elementi più importanti nel determinare la grandezza e il livello di sfida di una partita è però il Flessiscopio. Questo sistema permette di indicare idealmente quanto tempo si vuole dedicare alla prossima esplorazione del dungeon. Più il tempo è basso – ad esempio una decina di minuti - più condensata diventa l’esperienza e minore sarà l’avanzamento verso l’obiettivo finale. I piani da ripulire diminuiscono e anche la quantità di nemici e la tipologia può variare. Di conseguenza anche l’esperienza e il numero di oggetti e denaro che è possibile raccogliere diminuiscono. Questa meccanica si rivela interessante e permette di fare delle partite anche con poco tempo a disposizione senza dover rinunciare a giocare. L’ispirazione arriva chiaramente dal fatto che essendo un gioco che omaggia il passato, il pubblico di riferimento a cui si è pensato in fase di sviluppo potrebbe non avere più l’età per concedersi ore e ore davanti a uno schermo. Ritengo che Thing Trunk abbia centrato l’obiettivo quando si tratta di partite di minore durata, ma quando i minuti iniziano a salire c’è un elevato tasso di ripetitività negli scontri e nel design del dungeon.

Nel complesso il gioco su console non incontra particolari problemi, solo raramente su PS4 non PRO si è verificato qualche leggero rallentamento nelle fasi più esplosive con molti nemici su schermo. Nulla davvero in grado di pregiudicare l’esperienza. Il sistema di controllo è stato adattato abbastanza bene rispetto a mouse e tastiera o ai controlli touch. La levetta destra funziona da puntatore, le schede chiave vengono richiamate con i tasti della croce direzionale e si sceglie tra le varie carte attivabili con i dorsali. Una minore precisione e reattività rispetto agli alti metodi di controllo è da mettere in conto tuttavia le partite si sono susseguite senza accusare nessuna limitazione di sorta dovuta all’uso di un GamePad.