Il mondo videoludico si trova ad affrontare ancora una volta la dura realtà dell'indie development: anche quando dietro un progetto c'è una firma celebre come quella di Keita Takahashi, creatore dell'iconico Katamari Damacy, il successo non è affatto garantito. Il suo ultimo titolo To a T, pubblicato da Annapurna Interactive su PC, PlayStation 5 e Xbox Series X|S, non ha raggiunto i risultati sperati, costringendo il game designer giapponese a lasciare il Nord America e fare ritorno in patria. Una vicenda che solleva interrogativi importanti sulla sostenibilità economica dei progetti più sperimentali in un'industria sempre più polarizzata tra blockbuster AAA e piccole produzioni indipendenti.
Takahashi ha abbandonato Namco nel lontano 2010, trasferendosi prima a Vancouver e poi a San Francisco per lavorare su nuovi concept attraverso il suo studio Uvula. Ma come rivelato in un'intervista a Games Radar, l'insuccesso commerciale di To a T ha avuto conseguenze concrete sulla sua vita: "Di recente sono tornato in Giappone, e una delle ragioni per cui ho dovuto farlo è che To a T non ha venduto bene. Questo è il rischio dell'essere indipendenti, e sono disposto ad accettarlo". Una dichiarazione che evidenzia quanto sia precaria la situazione di molti sviluppatori creativi, anche quando possono vantare un curriculum di tutto rispetto.
Il designer non possiede i diritti intellettuali della sua creazione più famosa, Katamari Damacy, rimasti in mano a Namco che ha continuato a produrre capitoli della serie senza il suo coinvolgimento diretto. Questa situazione è tristemente comune nell'industria: molti autori perdono il controllo delle proprie IP quando lavorano per publisher tradizionali, ritrovandosi poi senza la possibilità di capitalizzare sul riconoscimento del proprio nome legato a quelle franchise.
To a T rappresenta un'esperienza particolarmente atipica anche per gli standard di Takahashi: il gioco racconta la storia di un bambino bloccato in una T-pose, quella posizione rigida tipica dei modelli 3D non animati nei videogiochi. Dietro l'apparente assurdità ludica si cela un'esplorazione tematica seria sulla disabilità, filtrata attraverso l'umorismo e la positività che caratterizzano lo stile del designer. Takahashi ha spiegato che il concept è nato come reazione all'"atmosfera deprimente del luogo in cui vivevamo", con l'obiettivo di creare qualcosa di molto positivo e assurdo.
Il problema del titolo non sembra essere la qualità: la critica specializzata ha apprezzato la capacità del gioco di catturare la stranezza della vita attraverso gli occhi di un bambino. Tuttavia, nel mercato attuale anche progetti interessanti faticano a trovare il proprio pubblico. "Non credo sia una questione di nicchia o tradizionale, è una questione se alla gente piace o meno", ha osservato Takahashi con lucidità. Il designer ritiene che ci sia "ancora spazio per nuove idee", ma ammette che "sfortunatamente To a T semplicemente non è stato adatto".
La situazione di Takahashi riflette un dilemma più ampio per l'industria indie: come finanziare e sostenere progetti sperimentali che potrebbero non avere appeal di massa immediato? Anche il coinvolgimento di un publisher riconosciuto come Annapurna Interactive, noto per il supporto a titoli autoriali, non è bastato a garantire il successo commerciale necessario. Il designer ha lanciato un appello diretto alla community e agli investitori: "Non sono sicuro, ma sta diventando sicuramente più difficile per me. Se qualcuno vuole investire in Uvula, fatemi sapere. Facciamo più giochi divertenti e bizzarri!"