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Darksiders 3 Recensione, l'epopea di Furia nel terzo capitolo della saga

Darksiders 3, è il seguito del brand della compianta THQ, che in questo nuovo capitolo riprende in pieno storia e linguaggio narrativo dei predecessori, cercando al contempo di spingere l’acceleratore su alcune caratteristiche che nei primi due titoli erano molto meno accentuate.

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Avatar di Lorenzo Quadrini

a cura di Lorenzo Quadrini

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Pubblicato il 26/11/2018 alle 11:58

Darksiders 3 è l’ultimo della trilogia dedicata ai cavalieri dell’apocalisse, inaugurata dalla sfortunata THQ. Come molti lettori sapranno l’appena citata software house, una volta dichiarata bancarotta nel 2013, fu letteralmente smantellata. Fortunatamente molte delle IP della casa americana furono acquisite da sviluppatori terzi, tra questi figura anche Nordic, che rilevò non solo Darksiders ma anche il vecchio logo aziendale, trasformandosi in THQ Nordic.

Si giunge quindi a Darksiders 3, un videogioco che riprende in pieno storia e linguaggio narrativo dei predecessori, cercando al contempo di spingere l’acceleratore su alcune caratteristiche che nei primi due titoli erano molto meno accentuate.

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Furia, di nome e di fatto

Per questo numero 3 il giocatore veste i panni di Furia, considerata la meno potente dei quattro Cavalieri, subito dopo gli eventi disastrosi che hanno visto la Terra sprofondare nel baratro di una imminente (ma ancora non completata) apocalisse. L’Arso Consiglio, dopo aver imprigionato Guerra - accusato di aver iniziato l’armageddon, ma probabilmente incastrato in trame più subdole - e aver constatato l’assenza di Morte e Conflitto, decide di inviare Furia sulla Terra, con lo scopo di distruggere i sette peccati capitali, fuggiti con la rottura dei sigilli apocalittici.

Un primo neo si riscontra sicuramente per quel che concerne l’intreccio narrativo, che promette molto, inserendo personaggi e abbozzi di trame - come per esempio la presenza di una terza misteriosa potenza sullo scacchiere della guerra divina - che però sono trattati con sufficienza, tra l’altro glissando vistosamente sulle molte vicende dei precedenti due capitoli. La ricerca dei peccati, chiaramente nella loro forma antropomorfizzata, è indubbiamente un elemento di grande forza narrativa, sfruttato però solo a metà.

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Si tratta, risulta evidente, dei principali boss del videogioco, caratterizzati ognuno sulla base dello stato d’animo che i peccati dovrebbero ingenerare nella psiche umana. A parte però qualche piccolo filmato introduttivo e una non certo memorabile rappresentazione visiva, i peccati sembrano quasi tutti preda della semplice rabbia (e forse il meno rabbioso è proprio Ira), non riuscendo mai a suscitare le emozioni che dovrebbe suscitare, per esempio, l’incarnazione stessa dell’invidia o dell’avarizia.

La stessa Furia, pur essendo un ottimo anti-eroe (ed una protagonista femminile di tutto rispetto) non riesce a spiccare il volo. Quella che dovrebbe rappresentare la cieca furia della battaglia, la personificazione della rabbia sanguinaria e violenta, spesso e volentieri non è altro che una coraggiosa smargiassa, fortunatamente non stereotipata, ma egualmente piatta.

Non si può negare, comunque, che alla poca ispirazione contenutistica faccia da contraltare un ritmo narrativo eccellente. Gli eventi accadono con le giuste tempistiche, alternando l’uso - e non l’abuso - del climax a quello dell’anticlimax, riuscendo in poche parole a tenere sempre il giocatore con il pad in mano e la voglia di andare avanti e continuare a vedere cosa lo aspetta dietro l’angolo.

Il gameplay non si smentisce

Indubbiamente però, è il gameplay che dà il suo meglio all’interno della produzione targata THQ Nordic. Pur non esente da critiche, Darksiders 3 regala momenti di grande divertimento, oltre che di notevole intensità. Principalmente il titolo si dipana attraverso una struttura affine a quella dei dungeons crawler. Anche se privo di un vero e proprio open world (e di questo in realtà ne siamo anche grati), il gioco evita di muoversi su binari, lasciando completamente a disposizione l’intera mappa e le sue tortuose ramificazioni. Per esigenze narrative, chiaramente, alcune zone sono accessibili solo con l’acquisizione pilotata di determinati poteri, ma rimane il fatto che sia spesso possibile esplorare per intere ore una zona per poi rendersi conto di dover cambiare strada.

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Rimasti intatti i varchi serpentini (ossia i checkpoint con teletrasporto), l’approccio del titolo è virato verso l’action GDR. Uccidendo nemici si accumulano infatti anime, che servono sia come moneta di scambio (ma è sconsigliato) sia per salire di livello ed aumentare le tre caratteristiche del personaggio. Ancora, sebbene le armi a disposizione siano varie, esse sono fisse e corrispondono peraltro ai diversi poteri sbloccati da Furia. La loro personalizzazione dipende quindi dall’ottenimento di alcuni oggetti reperibili in via principale grazie all’esplorazione (frammenti di adamantite, schegge di adamantite ecc.).

Il combattimento vero e proprio si basa su una serie di combo standard (eliminate le mosse acquistabili) e sulla memorizzazione dei pattern dei nemici. Al contrario di tanti altri concorrenti, Darksiders 3 punta tantissimo sulla difficoltà: pedine e boss finali colpiscono duro, il recupero della vita è subordinato ai pochi e limitati oggetti consumabili e tendenzialmente Furia sopporta davvero un numero esiguo di danni. Il vero strumento di vittoria è invece la schivata, che se fatta con il giusto tempismo, oltre a garantire la solita frazione di tempo di invulnerabilità, consente di effettuare un contrattacco con danni arcani (e quindi maggiorati).

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L’assenza di QTE, l’importanza della schivata, la memorizzazione dei pattern e l’omogeneità della mappa di gioco sono tutti elementi che fanno accostare quasi all’istante il videogioco al fin troppo citato Dark Souls. Prima di parlare di deriva soulslike anche per Darksiders 3, però, è bene sottolineare che il brand abbia da sempre come obiettivo quello di fornire un’esperienza action dura e cruda, priva di scorciatoie di gioco o di orpelli cinematografici. Il che non è né un pregio né un difetto, ma più un dato di fatto. Comunque sia, nonostante i punti di vicinanza, il prodotto rimane attaccato ai dettami dei più classici titoli d’azione, pur prendendosi qualche libertà.

Qualche difetto di troppo

Sono presenti, però, due elementi negativi di un certo peso, che non possono non essere menzionati. Il primo attiene alle sessioni platform, durante le quali, complice la legnosità nei salti di Furia, nonché l’impossibilità di introdurre sezioni scriptate (che cozzerebbero con la mappa libera voluta da THQ Nordic) il giocatore è colpito da vera e propria noia. La protagonista si muove priva della plasticità ed eleganza propria delle sezioni jump&run di titoli affini, ed è una percezione che si palesa a partire dalle prime sequenze di gioco.

Il secondo, ben più grave, problema attiene alla telecamera. Abbandonata per motivi probabilmente di game design la telecamera fissa (come sopra, la componente esplorativa non si sposa con un punto di vista unico), l’inquadratura tende a spostarsi in maniera improvvisa, per nulla aiutata dal lock del nemico, che non solo ha un raggio molto limitato, ma che tende a togliersi senza apparente motivo. Sono anche completamente assenti le inquadrature forzate, tanto care a serie quali God of War, le quali fanno dell’effetto cinematografico - giustamente - un punto di forza. Un peccato, sia per quel che concerne la bellezza visiva del titolo, sia per la sua giocabilità.

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Dal punto di vista grafico e sonoro, Darksiders 3, come da tradizione, non stupisce ma compie in maniera solida il proprio compito. Certo, il videogame è adatto al 2018, con netti miglioramenti circa la gestione degli effetti di luce, dei colori e delle animazioni (i capelli di Furia sono davvero bellissimi), ma non urla al miracolo. Lo stile a volte quasi caricaturale, contraddistinto da fisionomie marcatissime, fisici esagerati e dimensioni mastodontiche rimane un marchio di fabbrica, certo è che ci si poteva aspettare qualche sforzo ulteriore.

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Nonostante questo il mondo di gioco, oltre ad essere ben disegnato, risulta anche molto più vivo e compenetrato nell’azione rispetto a quanto visto nel precedente capitolo. Infine i movimenti della protagonista risultano fluidi e sinuosi, in armonia con il personaggio, e gradevolmente inseriti nel contesto del combattimento. Unica chiosa - per quel che riguarda l’audio, sul quale c’è davvero ben poco da dire - che concerne il doppiaggio italiano: è presente - il che è una rarità di questi tempi - ma non è eccezionale, data sia la ripetitività delle frasi standard dei personaggi secondari, sia la poca forza evocativa delle cutscene.

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