Forspoken | Recensione - Diverte... ma non sorprende

Square Enix sfodera una nuova IP piena di magia e velocità con Forspoken, ma che non ci ha conquistato troppo.

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a cura di Marco Patrizi

Editor

Quello che viviamo è un momento abbastanza critico per l’industria videoludica, anche se in pochi se ne rendono davvero conto. I costi sempre più alti necessari per la realizzazione di un titolo tripla A rendono tremendamente rischiosa qualsiasi produzione che non sia un sequel, un remake o un tie-in, che non a caso ricoprono una buona fetta dell’offerta odierna e futura. Di conseguenza, quando una software house annuncia una nuova IP è comprensibile che questa finisca per raccogliere delle aspettative fin troppo pesanti da parte di un pubblico sempre più desideroso di “qualcosa di nuovo”. Forspoken è una vittima esemplare di questo processo e arriva alla soglia della release piuttosto malconcio dopo una serie di polemiche più o meno assennate, alle quali (va detto) ha prestato il fianco una campagna marketing non proprio lungimirante.

Da una visione d’insieme, bisogna riconoscere a Square Enix il merito di aver voluto scommettere su una nuova IP, come pure l’iniziativa tutt'altro che consueta di coinvolgere nello sviluppo diversi autori occidentali, tra l’altro per ruoli importanti come la sceneggiatura e la colonna sonora. D’altro canto, nonostante l’evidente impegno e l’alto valore produttivo, Forspoken rimane invischiato in diverse criticità che non gli permettono di elevarsi come avremmo voluto.

Un mondo in rovina. E viceversa

Durante la mia precedente prova di Forspoken l’apparato narrativo non mi aveva fatto una grandissima impressione, ma avevo sospeso ogni giudizio in quanto si trattava delle prime ore di gioco, e soprattutto perché confidavo nell'esperienza del team di sceneggiatori. Tra questi troviamo nomi importanti come Amy Hennig, nota per aver scritto e diretto la saga di Legacy of Kain: Soul Reaver e i primi 3 Uncharted, e Gary Whitta, che ha contribuito alla sceneggiatura di The Walking Dead di Telltale, ma anche di Rogue One: A Star Wars Story. 

La storia è quella della problematica newyorkese Frey, che si ritrova inavvertitamente nella fantastica terra di Athia, spaesata e improvvisamente dotata di straordinarie abilità magiche derivate dal vincolo col bracciale senziente Cuff. Un misterioso miasma distruttore chiamato “la Rovina” ha trasformato Athia in una terra dilaniata e contorta; gli animali sono stati trasformati in temibili bestie sanguinarie e le persone in zombie. Ma l’effetto più grave è stato quello di aver fatto impazzire le quattro Tantha, un tempo sagge e benvolute matriarche che governavano le rispettive regioni di Athia, ora divenute tiranne spietate.

Nonostante le ottime premesse autoriali, la trama di Forspoken non è riuscita a trasportarmi né a stimolarmi mentalmente. Ma non perché si tratta di una cattiva storia, anzi, sotto diversi aspetti è simile a quella di Horizon Zero Dawn (anche se coniugata al genere isekai), ivi compresi purtroppo i suoi noti limiti. 

Il personaggio di Frey, ben interpretato dall'attrice Ella Balinska, è l’unico che presenta un certo grado di conflittualità interiore e di sviluppo. Attorno a lei purtroppo ci sono pochi comprimari e antagonisti dalla caratterizzazione tagliata con l’accetta, privi di sfumature, che si esprimono per lo più con dialoghi abbastanza cliché e molto poco interessanti.

Il world building è affidato a una serie di documenti disseminati in dungeon opzionali e rovine di città. Malgrado la sua lore, l’attrattiva di Athia è minata dal fatto di essere sostanzialmente desolata e privo di vita, fatta eccezione per la sola città di Cipal. Questo limite è ovviamente giustificato dalla Rovina, ma cionondimeno l’effetto è l’avermi impedito di affezionarmi davvero al mondo di gioco.

Probabilmente quello che più rovina il reale godimento della storia è il suo inefficace ritmo narrativo. La trama prosegue abbastanza compassata per gran parte del tempo, e gli unici due colpi di scena arrivano a metà dell’avventura e verso le sue battute finali — e il primo di questi è atrocemente troppo citofonato. Dopodiché, tutti i dettagli sul passato di Athia e sulla sorte delle Tantha vengono rivelati in una lunga sequenza appena prima del confronto finale. Questa gestione è altamente svantaggiosa per un gioco open world, che potenzialmente può far passare diverse ore tra un plot point e l’altro, e dando così al giocatore poca sostanza per coinvolgerlo adeguatamente.

Coinvolgimento a parte, ho trovato la storia di redenzione di Frey decente ma fin troppo banale. E purtroppo mi ha deluso vedere come diversi particolari sul passato dei personaggi e le loro motivazioni siano stati lasciati in sospeso senza un reale approfondimento, che magari avrebbe reso la narrazione più corposa e comunicativa.

Esplorando Athia

Se il comparto narrativo non valorizza adeguatamente il setting di Forspoken, dal punto di vista artistico le cose sono sicuramente più positive, anche se non eccelse. Le terre di Athia offrono un colpo d’occhio impressionante in quanto a vastità e gradevolezza visiva. Da un lato è confortante vedere che per una volta sia stata evitata la “lista della spesa” dei biomi (area montuosa, area desertica, area innevata, ecc…) fin troppo frequente in altri titoli del genere, ma dall’altro una maggiore varietà di ambientazioni e di ricchezza di particolari sarebbe stata sicuramente gradita.

Anche il design di creature e personaggi è ammirevole; è davvero un peccato che si hanno poche occasioni per apprezzarlo appieno, dato che i combattimenti contro i vari avversari sono frenetici e per lo più dalla lunga distanza.

Il Luminous Engine è progredito molto da Final Fantasy XV e fa adeguatamente il suo lavoro nel mantenere una buona stabilità durante l’esplorazione e i combattimenti, anche se certamente non fa gridare alla next gen ed è lontano dal competere con il Decima Engine. Al di là dei vincoli qualitativi fisiologici per un open world, le animazioni dei modelli poligonali e delle espressioni facciali durante le cutscene tradiscono dei limiti dell’engine che ci rimandano ancora alla generazione passata.

L’altalenante personalità del mondo può contare sull’ottimo contributo di un comparto sonoro a opera di due autori d’eccezione: Bear McCreary, già compositore dei due ultimi God of War, Battlestar Galactica e Gli Anelli del Potere, e Garry Schyman, che ha curato la trilogia di BioShock, Dante’s Inferno e la dualogia de L’Ombra di Mordor di Monolith Productions.

La colonna sonora di Forspoken sa esaltare efficacemente con toni epici l’avventura di Frey e inonda di drammaticità le fasi di combrattimento, soprattutto in occasione delle boss fight.

Una maga non è mai in ritardo

L’aspetto che mi ha più impressionato di Forspoken è sicuramente il gameplay. Gli elementi di azione frenetica free roaming e i combattimenti basati esclusivamente sulle magie probabilmente non “inventano” formalmente niente di nuovo, ma non si può neanche dire che il loro connubio sia una cosa così comune.

Immaginate di potervi muovere in un mondo fantasy con delle meccaniche abbastanza simili a quelle di Infamous: Second Son e Marvel’s Spiderman. Con la pressione di un tasto, il parkour magico permette di correre ad altissima velocità, scavalcare ostacoli e arrampicarsi su sporgenze molto alte in modo fluido e agevolato, restituendo una piacevole sensazione di agilità supereroistica. Certo, ci vuole un bel po’ di pratica prima di ottenere un flow efficace, dato che l’estrema rapidità dei movimenti di Frey possono renderla una vera e propria scheggia impazzita, un altro spiacevole lascito del Luminous Engine, che rende più frustrante del necessario controllare il personaggio con precisione.

La straordinaria capacità di Frey nel coprire lunghe distanze facilita parecchio l’esplorazione della mappa, dove possiamo vedere diversi punti di interesse pronti per essere ispezionati. Se da un lato il loro posizionamento crea un virtuoso “effetto cesto di ciliegie”, dall'altra distrae forse troppo dall'avventura principale. Il che non sarebbe un difetto in sé per un gioco di questo genere, anzi le missioni secondarie sono un ottimo modo per potenziare l’equipaggiamento e le abilità della protagonista. 

Il problema è che le diverse attività disseminate per Athia ricalcano fin troppo ripetutamente i crismi classici dei comuni open world, senza apportare novità o un’adeguata varietà. Ritroviamo le tipiche torri, le città da ripulire dai nemici, le prove a tempo, dei mini dungeon opzionali fin troppo lineari ecc. E soprassederemo sulle tediose subquest nella città di Cipal per non infierire ulteriormente.

È nel vivo dei combattimenti che Forspoken dà il meglio di sé, rivelandosi un gioco veloce e frenetico che ci mette a disposizione una notevole quantità di abilità da poter usare contro i nemici.

Anche se nelle prime ore di gioco gli incantesimi a nostra disposizione sono limitati, proseguendo nell'avventura si sbloccano progressivamente fino a quattro branche di magia elementale, ognuna col proprio skill tree che ci dà accesso a tre tipi di attacchi caricati e svariate abilità di supporto. Il numero di possibilità è enorme e l’aspetto divertente è che il gioco non ci richiede tanto una pianificazione metodica e tattica dei combattimenti, ma ci sprona a sperimentare e scatenare tutti i nostri poteri magici; anche se ovviamente bisognerà fare attenzione alle debolezze elementali dei nemici e al cooldown degli incantesimi. 

Dato che il combat system è incentrato quasi totalmente su incantesimi dalla distanza, gli sviluppatori hanno reso i vari avversari particolarmente aggressivi e capaci di raggiungere Frey con balzi e cariche improvvise. E qui è fondamentale sapersi difendere, contrattaccare, ma soprattutto schivare i pericoli col parkour magico, che ci permette di renderci estremamente sfuggevoli. La danza che si crea tra schivate, posizionamenti e susseguirsi di potenti incantesimi è appagante e molto scenografica da vedere, grazie a degli effetti particellari davvero spettacolari.

Certo, tutta questa azione non è esente da difetti, in particolare una certa tendenza alla caoticità nelle situazioni in cui si è circondati dai nemici e un sistema di lock-on abbastanza capriccioso, che combinati possono generare  della frustrazione. Tuttavia è qualcosa che va a diminuire progressivamente nel tempo con una buona dose di pratica e nel complesso devo dire che il combat system mi ha genuinamente divertito ed esaltato.