GameStop è già una parte indimenticabile della nostra vita di videogiocatori

Nonostante tutto, GameStop ha scandito la nostra vita da videogiocatori: proviamo a ripercorrere quei momenti, con uno sguardo al presente.

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a cura di Alessandro Tonoli

La favola d’amore tra videogioco e videogiocatori è sempre stata un rapporto a tre. Come nelle storie più travolgenti, anche questa vive di una contesa che sin dall’alba del medium porta i videogiocatori di tutto il mondo a dividere l’amore più puro, provato verso il gioco, con un amore diverso, un amore che sposta la sua attenzione dal prodotto, e si concentra sull’experience d’acquisto, nel luogo dove questa magia avviene, ovvero: il negozio di videogiochi. Attualmente sinonimo di GameStop.

Chi conta ormai un bel po’ di candeline sulla sua torta però potrà raccontarvi di paesi, città, dove i negozietti di videogiochi proliferavano floridi, e fungevano da vero e proprio punto di riferimento, senza il quale la propria passione sarebbe stata totalmente abbandonata a se stessa, in un mondo che ancora non aveva internet a unirci, a permetterci di avere informazioni diverse da quelle stampate sulle poche riviste di settore o sugli scarni manuali presenti all’interno dei giochi. Quell’era finì, e ne iniziò una diversa, potenzialmente migliore, con la nascita di un unico vero punto di riferimento, sparso un po’ ovunque, che avrebbe permesso a nuovi modi di intendere il commercio di videogames di farsi strada, unendo offerte commerciali capaci di interessare una sempre più vasta platea di giocatori a un’estetica riconoscibile in ogni luogo: appunto GameStop. Questo rapporto come sappiamo, rispetto alla storia d’amore con i negozietti indipendenti, ha vissuto di alti e bassi.

La catena di negozi, nel tempo, ha cambiato molti volti, e spesso le sue manifestazioni non hanno saputo incontrare il benvolere dei suoi clienti (soprattutto la fascia hardcore), a causa di un’offerta commerciale non sempre così vantaggiosa; anche la sensazione di trovarsi in un luogo dove la preparazione del personale non fosse sempre del livello atteso per un negozio specializzato, ha istigato una certa dose di mormorii duri a frenarsi. Eppure, GameStop è un pezzo di storia, che piaccia o meno. E da giocatore, nonostante mi sia trovato a confronto con tutte le sue diverse facce, non posso fare a meno di emozionarmi ancora oggi ogni volta che varco la soglia di uno dei punti vendita. Che dir si voglia, Gamestop dai primi anni duemila ci ha accompagnato nella nostra crescita di videogiocatori, e per molti di noi rappresenta ormai un vero e proprio luogo dell’anima. Visitiamolo dai nostri occhi, e da quelli del mercato, per capire dove si trova esattamente ora.

Attimi fuggenti fra le mura di un negozio

Per scrivere questo articolo, prima di tutto, è necessario distaccarsi dalla somma di malumori accumulati durante le varie peregrinazioni in social e forum, per tutti questi lunghi anni. E scivolare via, verso un posto diverso, un posto più nostro: un angolo del cuore. Quel posto che riesce ad aiutarci a comprendere più chiaramente perché la scritta di GameStop avrà sempre un significato importante per noi, a prescindere dalle future evoluzioni della compagnia (che purtroppo ha proprio di recente annunciato nuovi tagli).

Cosa troviamo all’interno di quell’antro sentimentale? Prima di tutto, un sacco pieno di momenti, e di ricordi che vanno ben oltre il semplice momento di acquisto. Il negozio di videogiochi era ed è un luogo dove, per larga parte di noi, si è sempre finalizzato un processo di acquisto articolato, che partiva da lontano: la scelta, covata per lungo tempo, rispetto all’acquistare o meno una determinata console o un titolo. Come ben sappiamo, diversamente da quello che accade negli altri media, questo tipo di scelta prevede un periodo di valutazione approfondito, vuoi un po’ per il prezzo non sempre così contenuto, vuoi perché videogiocare significa anche “prendere parte”, divenire attori: una partecipazione effettiva ed emotiva di alto impatto propria solo del nostro amato medium. Tutto questo iter di assimilazione, optando per l’acquisto fisico, si va a finalizzare proprio nel negozio, e da lì la genesi di tanti piccoli attimi fuggenti.

Come dimenticare ad esempio il tragitto fatto per andare ad accaparrarsi finalmente una nuova generazione di console? La porta verso un nuovo mondo di sogni, per lunghi anni desiderata. Il percorso, magari brevissimo, diventa un viaggio di transizione, accompagnati magari da amici che condividono la nostra passione e ci tengono ad essere parte del momento. Il tempo sembra rallentare appena si varca la soglia del negozio: a conti fatti l’acquisto avviene in una ventina di minuti al massimo, ma nel mondo della memoria i contorni si fanno totalmente indistinti, immortalando piacevolmente situazione e location di sfondo. È così che la sua insegna bianca e rossa assume un’importanza maggiore di quella che la sua natura commerciale le attribuisce: diventa personale, viene avanti con noi nella vita. Insieme alle chiacchiere scambiate con i commessi (tra una Game Protection - non richiesta - e l’altra), che in un attimo si trasformano in dei piccoli forum, con altri clienti che intervengono nel dialogo: ci si scambiano pareri, si condividono emozioni, e le pareti del negozio, sempre ricolme di gadget e spunti di conversazione, costituiscono un contenitore perfetto per questi banali attimi che contraddistinguono la vita di un videogiocatore qualunque, e che hanno un valore che non conosce scadenza o obsolescenza.

La battaglia contro il tempo

Nonostante questi sentimenti, è naturale distaccarsi il tanto che basta per riuscire a comprendere anche l’altra faccia di GameStop, o “le altre facce”, l’insieme di tutti i mutamenti che la catena ha messo in atto per riuscire ad adeguarsi ai tempi, con lo spettro del digitale che mano a mano ha iniziato a cambiare l’identità di quella che non è mai stata “solo” una catena di negozi dedicata alla vendita di giochi e console. Con il suo futuro in ballo, fra il costante ridimensionamento dei punti vendita e i tagli al personale, la catena è stata in grado di proporre nel tempo soluzioni a volte addirittura in grado di anticipare il trend dei tempi. Il “Gamepass” di GameStop ,“Power Pass”, è roba del 2017, un sistema che permetteva all’utente di beneficiare di tutti i titoli usati in catalogo semplicemente pagando una quota mensile. Da modelli che si sono rivelati insostenibili (la sua vita è stata di pochi mesi), a quelli invece costantemente redditizi, capaci di valorizzare tutto ciò che non poteva essere digitalizzato per rendere questa catena ancora di più un punto di incontro e di experience per i giocatori. L’area dedicata ai gadget se nei primi anni duemila occupava il 20% dello spazio del negozio è arrivata a conquistare una fetta preponderante degli scaffali disponibili. A questi, nel tempo, si sono aggiunti modelli di business collaterali, come le collaborazioni in veste di co-sviluppo di titoli sotto l’etichetta di GameTrust Games, o il più recente mercato degli NFT, già purtroppo rivelatosi non così remunerativo. E poi comunicazione. Tanta comunicazione.

Accanto alla redazione di Gamesoul, ecco una GamStop TV capace di intrattenere il suo pubblico con volti cari e firme di rilievo del giornalismo videoludico: un segnale coerente coi tempi, dove il concetto di clientela viene sostituito da quello di community. Community che si rivelerà protagonista dell’improvvisa e storica bolla speculativa che ha visto la compagnia protagonista nel boom delle azioni del gennaio 2021, con tanto di documentario recentemente sbarcato su Netflix che potete recuperare per farvi un bell’approfondimento. Tanta carne al fuoco insomma, tanti cambi di rotta, non molti quelli felici, ma l’intenzione traspare cristallina: “non vogliamo essere il nuovo Blockbuster e tenteremo ogni strada possibile per non diventarlo”.

Nonostante tutto, ancora irrinunciabile

Quello che vi abbiamo riassunto è solo uno spaccato della dimensione di una compagnia multidimensionale, realmente difficile da leggere. Considerati questi elementi però, cosa rimane davvero oggi? Tralasciando i sentimenti nostalgici e le miriadi di trasformazioni più o meno riuscite a cui l’azienda ci ha abituato, cosa dobbiamo aspettarci? Cosa ci fa avere ancora bisogno di lei come consumatori, e come videogiocatori?Motivi ne rimangono, ed eccovene alcuni lampanti: prima di tutto, la sua concentrazione di negozi in punti di passaggio obbligati. Un fattore che ci rende semplice buttare l’occhio a offerte commerciali e novità interessanti, puntando su un istinto d’acquisto immediato alla vista di oggetti tangibili che, anche in questo mondo sempre più digitale, si ritaglia comunque una bella fetta del cash flow del settore. Un effetto vetrina a cui anche gli hardware manufacturer sanno di non poter rinunciare. Secondariamente, ci sono le generazioni pre- millennials, che vedono ancora questo medium e questo mercato come un mare in tempesta, e quando hanno bisogno di comprare/regalare qualcosa, necessitano del faro di riferimento.Terzo, per ora ultimo, ma forse fattore più determinante sul lungo periodo: quell’experience, più volte in questo articolo accennata, raccolta ed ereditata da tutti i negozi di videogiochi che sono venuti prima di questa gigantesca catena, una gemma di cui la compagnia si ritrova quasi inconsapevolmente in possesso, insieme ai cuori dei videogiocatori che, probabilmente inconsapevoli, non sanno di aver ancora bisogno di luoghi del genere. Posti in cui la propria passione possa sentirsi accolta, fra mura che la rappresentano. Anche solo per uno sguardo veloce, tra uno spostamento e l’altro.

Esperienza che però ora necessità di venire raffinata, seriamente, da una compagnia che deve essere conscia, per sopravvivere, che i primi due driver di sopravvivenza che abbiamo elencato sono legati al tempo, e pertanto verranno mano a meno a cedere. Mentre, come ci insegna la storia del teatro, del cinema, delle fumetterie, la fisicità intesa come esperienza rimane un valore irrinunciabile per qualunque modello di vendita o fruizione artistica: non c’è mezzo digitale capace di escluderla totalmente dalle leggi del mercato. GameStop lo sa. Il gioco ora è solo quello di non farsi sottrarre lo scettro da sotto al naso, capitalizzando al meglio la storia di una compagnia che, con più o meno gloria, è già una pagina incancellabile della storia di questo medium. E delle nostre vite di videogiocatori.