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Pro
- È ancora uno dei migliori TPS di sempre
- Gratuito per chi possiede la Ultimate Edition
- Tecnicamente, tutto sommato, è ancora molto godibile
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Contro
- Poche novità tangibili rispetto all'Ultimate Edition
- Su PC soffre di alcuni problemi di performance
- Un po' di anni sulle spalle li ha e si sentono
Il verdetto di Tom's Hardware
Ci sono videogiochi che definiscono un genere e altri che definiscono una generazione. Pochi, pochissimi, riescono a fare entrambe le cose. Gears of War, nel lontano 2006, fu uno di questi. Non era semplicemente uno sparatutto in terza persona; era una dichiarazione di guerra tecnologica e stilistica, un ariete corazzato che sfondò le porte della settima generazione di console, trascinando con sé l'intera industria. L'eco del suo Lancer e il tonfo sordo delle sue coperture risuonano ancora oggi, quasi diciannove anni dopo, nei DNA di innumerevoli produzioni.
Oggi, quel titano ritorna con Gears of War: Reloaded, un'edizione tirata a lucido e, soprattutto, liberata dalle sue catene esclusive. Non è un remake, è bene chiarirlo subito, ma un ambasciatore. Un messaggero inviato da Microsoft sui lidi un tempo nemici di PlayStation e Steam con un compito preciso: ricordare al mondo da dove tutto è cominciato e, forse, reclutare nuove leve in vista delle battaglie future. La domanda che sorge spontanea, però, è tanto semplice quanto spietata: può un design di quasi due decenni fa, seppur avvolto in un nuovo splendore tecnico, reggere l'urto del tempo e catturare il cuore di un pubblico abituato a standard ludici radicalmente diversi?
Un'eredità pesante
Per comprendere appieno l'operazione Reloaded, è necessario un passo indietro. Bisogna tornare a un'epoca in cui l'alta definizione era una promessa esaltante e il "grigio-marrone" non era un meme, ma il colore della next-gen. Gears of War fu il manifesto di quell'epoca. Fu la killer application che costrinse Microsoft a rivedere i piani, aumentando la RAM di Xbox 360 e creando quella penuria al lancio che, col senno di poi, ne alimentò il mito. Fu la visione di Cliff Bleszinski che, salendo sul palco dell'E3 con una replica del Lancer, incarnò l'arroganza e la potenza di un'industria americana pronta a sfidare il dominio giapponese.
Il suo impatto fu tellurico. Il sistema di coperture "a calamita" divenne istantaneamente il nuovo standard aureo, tanto da spingere studi del calibro di Naughty Dog a ripensare dalle fondamenta il combat system di un certo Uncharted. Ha dato il via a un'ondata di "cover shooter" che ha saturato il mercato per anni, nel bene e nel male. Ha persino trasformato una malinconica cover di "Mad World" di Gary Jules in un fenomeno virale ante litteram, dimostrando la potenza narrativa del medium videoludico.
Reloaded si carica sulle spalle tutto il peso di questa eredità. Non prova a riscriverla, ma si limita a preservarla, consegnandola a chi, per ragioni anagrafiche o di piattaforma, non ha mai potuto viverla.
Reloaded, non ricostruito
Il cuore di questa nuova edizione risiede nella sua filosofia. Non siamo di fronte a un'operazione simile ai remake di Resident Evil o Final Fantasy VII. Gears of War: Reloaded è, nella sua essenza, la Ultimate Edition pubblicata dieci anni fa su Xbox One, ora potenziata con gli strumenti moderni e resa disponibile a un pubblico universale. L'obiettivo non è stupire i veterani con una rilettura, ma accogliere i neofiti con la miglior versione possibile dell'originale.
Il pacchetto di migliorie tecniche è quello che potremmo definire lo standard del settore per un'operazione di questo tipo: la risoluzione è stata ovviamente aumentata per adattarsi agli schermi moderni, il frame rate è stato sbloccato per garantire una fluidità impensabile nel 2006, il sistema di illuminazione è stato rivisto per donare maggior profondità e realismo agli scenari e, su PC, è stato introdotto il pieno supporto alle tecnologie di upscaling come DLSS e FSR. Il risultato è un'immagine pulita, nitida e fluida, che riesce a mascherare con efficacia l'età poligonale del codice originale.
Ciò che però distingue l'operazione di Microsoft dalla concorrenza è il modello di distribuzione. In un mercato dove far pagare 10€ per un upgrade tecnico è diventata la norma, la casa di Redmond ha scelto una via diversa, regalando Reloaded a chiunque possedesse già la Ultimate Edition. È un gesto encomiabile, un segnale di rispetto verso la propria utenza storica che, pur desiderando un remake completo, non può che apprezzare la gratuità dell'aggiornamento.
Questa scelta, unita alla pubblicazione multipiattaforma (con tanto di pregevole edizione fisica per PlayStation 5, acquistabile su Amazon), chiarisce in modo inequivocabile la strategia: Reloaded è un tassello fondamentale nella visione di un'Xbox "liquida", dove i giochi sono servizi accessibili ovunque. È un invito, un biglietto da visita per dire ai giocatori PlayStation e Steam: "Questo è ciò che vi siete persi. Benvenuti nella famiglia".
Le cicatrici del tempo
Se dal punto di vista tecnico e commerciale l'operazione è quasi inattaccabile, è sul fronte del gameplay che Gears of War: Reloaded mostra inevitabilmente le sue rughe. Giocare al primo Gears oggi è come mettersi al volante di un'auto d'epoca: il motore è ancora potente, il design è iconico e il fascino è innegabile, ma mancano l'agilità, la reattività e il comfort di guida a cui siamo abituati.
La "pesantezza" dei personaggi, che nel 2006 era un vanto realistico, si traduce oggi in una sensazione di lieve input lag, di una certa legnosità nei movimenti che stride se paragonata alla fluidità quasi acrobatica raggiunta da Gears 5. Tutto è più lento, più macchinoso. L'intelligenza artificiale delle Locuste, un tempo temibile, appare oggi rudimentale; i nemici tendono a seguire pattern prevedibili, a caricare a testa bassa o a rimanere ancorati alle coperture senza complesse strategie di accerchiamento.
Anche il level design tradisce la sua età. La struttura a corridoi che si aprono in arene, pensata per gestire le limitate risorse hardware di Xbox 360, risulta oggi ripetitiva. Si percepiscono gli "escamotage" di un tempo, quelle soluzioni furbe per mascherare i caricamenti o per gestire il numero di nemici a schermo, che oggi appaiono come limiti evidenti.
Nessuno di questi elementi, sia chiaro, "rompe" l'esperienza. Gears of War rimane un gioco dannatamente solido e godibile, con un ritmo incalzante e un'atmosfera opprimente che funziona ancora alla grande. Tuttavia, queste "farraginosità" sono le cicatrici lasciate da diciannove anni di evoluzione del genere. Per un nuovo giocatore, l'impatto potrebbe essere straniante. E qui si apre una riflessione strategica: era questo il modo migliore per rilanciare la saga? Con l'attesissimo prequel, E-Day, all'orizzonte, forse un remake completo, capace di allineare il gameplay del capostipite agli standard moderni della serie, avrebbe avuto un impatto più dirompente sulle nuove generazioni, creando un ponte perfetto verso il futuro. Lanciare la campagna di "reclutamento" con un capitolo che, per quanto iconico, accusa il peso degli anni, rischia di essere una mossa meno efficace del previsto.
Il multigiocatore da vecchi tempi
Un discorso a parte merita il comparto multigiocatore. The Coalition ha lavorato duramente per sistemare i problemi delle BETA, ascoltando i feedback della community. L'infrastruttura ora sembra solida, ma la vera sfida per Gears online non è tecnica, bensì filosofica. Il multiplayer del primo capitolo è sempre stato brutale, un'arena spietata dove non c'è spazio per l'errore. La "danza" con il fucile a pompa Gnasher, il tempismo perfetto della ricarica attiva e la conoscenza maniacale delle mappe sono abilità che richiedono ore e ore di dedizione.
Questo crea una barriera all'ingresso altissima per i nuovi giocatori, che rischiano di trovarsi di fronte a un muro invalicabile di veterani che padroneggiano queste meccaniche da quasi due decenni. La community storica, inoltre, si è sempre dimostrata molto conservatrice e restia ai cambiamenti, rendendo difficile per gli sviluppatori introdurre modifiche al meta per renderlo più vario o accessibile. Non sorprenderebbe, quindi, se molti neofiti abbandonassero il multiplayer dopo poche, frustranti partite. È un'esperienza elitaria, gratificante per chi decide di scalarne la vetta, ma indubbiamente respingente per chi cerca un'esperienza più casual.