Nintendo Switch non è una console per chi ama lo sport

Nintendo Switch è una console ricca di titoli per ogni esigenza, ma è l'ideale per un appassionato di sport? Quando tra FIFA ed NBA, a spuntarla è Mario!

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a cura di Pietro Spina

Quella appena conclusasi è stata un’estate davvero memorabile, da incidere a fuoco negli annali degli appassionati di sport: “It’s coming Rome” con Florenzi che saluta la mamma e Bonucci che dice agli inglesi di mangiare più pasta, il record di medaglie olimpico nel nome di Tamberi, Jacobs e il centesimo di Tortu, la doppietta del volley Europeo tra Egonu e Michieletto… incredibile.

Sono abbastanza sicuro che se sfogliassimo qualche quotidiano locale potremmo scoprire di esserci aggiudicati l’oro anche nei mondiali di briscola chiamata e panificazione acrobatica - tanto ormai vale tutto.Mettiamoci sotto come colonna sonora “Zitti e Buoni” dei Maneskin per creare la perfetta cartolina tricolore per i servizi televisivi e siamo pronti a rivivere quest’epifania sportiva in un lungo amarcord, per poi trasferirci sulle nostre console a inscenare le gesta dei nostri eroi... a meno che non abbiate Nintendo Switch

Nelle lande di Mario e soci le competizioni sportive sono sempre state vissute in modo scanzonato, colorato e assolutamente privo di consapevolezza per le regole del gioco - sebbene si debba riconoscere una certa profondità simulativa nelle recenti iterazioni golfistiche e tennistiche - lasciando di fatto agli appassionati del “realismo” ben poco di cui godere.

C’è stato un tempo in cui anche un semplice Mario Golf era talmente efficace e rilevante da essere markettizzato al pari dei first party dedicati a Link o Samus. Su questo la casa di Kyoto si è in un certo senso adagiata, proponendo di generazione in generazione capitoli sempre meno interessanti per il pubblico di massa, travolto dagli enormi progressi in campo tecnico e sociale (in particolare grazie al gioco online) delle simulazioni sportive brandizzate, ad esempio, FIFA o NBA.

Di certo non ha fatto bene in quest’ottica lo straripante successo di Wii e del suo Wii Sports. Sia chiaro, a Kyoto in quel periodo si accendevano i sigari con i paperdollari e di certo non era loro premura pensare ad un futuro che mettesse al centro le simulazioni sportive, ma l’atmosfera family friendly imposta dai nuovi sistemi di controllo aprì ad un un oceano blu di potenziali clienti in cui si tuffarono a bomba un po’ tutti, anche con i boxer slacciati che puntualmente riemergevano a bordo piscina.

FIFA con i pupazzetti e PES da giocare come un RTS (per quanto avesse i suoi estimatori) sono state ferite profonde, figlie di una semplificazione concettuale ingiustificata alla luce della capacità di penetrazione delle simulazioni calcistiche vista negli anni recenti, nonostante la tentacolarità dei controlli che all’apparenza avrebbe dovuto allontanare i più.

Neppure Mario Striker Charged Football riusciva a riempire quel vuoto, quel bisogno di “Clamoroso al Cibali” che solo una telecronaca di Caressa e Bergomi potevano colmare, nonostante in fase promozionale Nintendo avesse coinvolto (allora) campioni come Philipp Lahm nelle proprie campagne.

Da lì in poi, un limbo di sfiducia, con FIFA che inciampa su Wii U per via di una mezza release una tantum (FIFA 12 ricorreva al gameplay dell’anno precedente e mancava delle feature più famose, come FUT), PES che si dilegua per evitare la figuraccia del rivale e perfino Mario appende gli scarpini al chiodo, scomparendo dai radar e lasciando i fan ancora in attesa di un nuovo Strikers. I campi verdi si erano tramutati in aride distese di terra ed erbacce, pregne del medesimo entusiasmo che arieggia nelle trasmissioni sportive delle TV private del nord Italia, ricolme di vecchie glorie disidratate e giornalisti degni di partecipare ad una puntata di Ciao Darwin.

I sogni di gloria formato Champions hanno dovuto attendere l’avvento di una console che avesse finalmente un successo sufficiente a giustificare l’impegno minimo indispensabile da parte dei grandi colossi del videogioco. FIFA 18 arriva su Nintendo Switch con il suo carico di feature mancanti e gameplay della generazione precedente, dando vita all’ormai noto fenomeno “Legacy Edition” che tanti meme ci ha regalato.

Intendiamoci, FIFA 18 al lancio rappresentava una valida proposta, coprendo le esigenze di chi desiderava un titolo calcistico di spessore che potesse seguirlo in ogni suo spostamento. Il modello di gioco, sebbene mutuato dalle versioni old-gen, offriva al tempo sufficiente soddisfazione e si giustificava con il primo approdo ad un nuovo hardware, che richiedeva l’utilizzo di un motore dedicato (l’implementazione del Frostibite era follia).

Il silenzio di Konami smarcava la produzione Electronic Arts da qualsiasi intralcio, consentendole di ripresentarsi negli anni successivi con semplici aggiornamenti delle rose venduti a prezzo pieno. Il popolo ha corrucciato un po’ la fronte per poi comunque fare spallucce, acquistando ogni anno titoli senza virtù che mai hanno provato a offrire un complemento degno di un “The Journey” o “Volta”.

Se entriamo nel mondo della palla a spicchi, le cose migliorano ma solo marginalmente. È innegabile che l’impegno di 2K lato tecnico sia ben più consistente di quello profuso a Vancouver, con il risultato di presentare al pubblico versioni del tutto sovrapponibili a quelle viste su PS4 e Xbox One - al netto di qualche compromesso grafico.

Il problema sorge quando questa “sovrapponibilità” va comprendere anche elementi dannosi per quella che è l’esperienza del giocatore che vive di mobilità tra partite in locale e in portatile: quante modalità sono effettivamente giocabili senza il costante accesso a internet? Questi giochi diventeranno superfluo spazio nelle nostre memorie dopo un paio d’anni, con la chiusura dei server? Perché non offrire soluzioni differenti dal download di quantità improponibili di giga sulla nostra scheda MicroSD addizionale?

Approcciarsi a Nintendo Switch in maniera così divergente dalla sua filosofia non è certo la scelta ideale, per quanto è apprezzabile l’intento di presentare sugli scaffali un prodotto completo - terribili microtransazioni e lootboxes comprese.

Come al solito pare che ci si debba affidare, nuovamente, alle gesta del nostro eroe tricolore esperto di tubature e funghi: Mario è un poliedrico atleta, capace di mettersi in mostra in ogni sport, e lo dimostra ampiamente quando fa comunella con il suo amico Sonic (chi l’avrebbe detto, qualche anno fa?) per inscenare i Giochi Olimpici videoludici - siano questi estivi o invernali. Alla luce di questa esperienza ormai consolidata, siamo convinti che potrebbe giocarsela perfino con il nostro Jacbos.

Mario & Sonic ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020 è un buon titolo, adatto a tante tipologie di giocatori grazie alle numerose discipline presenti e una modalità storia che strizza l’occhio alla vecchia scuola, ma ha avuto la sfortuna di scommettere sul proprio lancio con un anno di anticipo rispetto alla partenza di Tokyo 2020. Il rinvio della manifestazione all’anno successivo, causa pandemia, e le numerose polemiche nel merito della sua fattibilità che hanno scosso il Giappone, hanno visto la casa di Kyoto defilarsi prontamente dal proprio ruolo di partner, cancellando tutta una serie di attività già programmate e facendo letteralmente sparire dai radar il gioco. Ah, per caso vi siete accorti che è uscito un gioco ufficiale delle Olimpiadi di Tokyo 2020 senza Mario & Sonic?

Approcciandoci all’uscita dell’ennesima versione “copincolla” di FIFA 22, con il pensiero ad un NBA 2K22 che ad oggi ha solo tre, poco incoraggianti, recensioni su Metacritic, non è facile trovare un reale senso all’inadeguatezza dell’offerta sportiva su una piattaforma da 90 milioni di pezzi nel mondo. La giustificazione da parte dei grandi publisher per ogni passo incerto, ogni capitolo saltato o qualsivoglia disimpegno è sempre stata il rischio economico.

La base installata di Nintendo Switch e il sorprendente attach-rate per numero di software venduti su singola console raccontano una storia diversa, quella di un mercato potenzialmente remunerativo se affrontato con il giusto approccio.

Purtroppo la virata decisa verso il recurrent consumer spending ha letteralmente offuscato qualsiasi forma di visione a lungo termine, limitando sul nascere ogni possibilità di sperimentare con le possibilità offerte al di fuori del mercato base. Non importa se il prodotto che arriva su Nintendo Switch non sia studiato a dovere sulla piattaforma, ciò che conta è trasportare senza troppi intoppi le dinamiche predatorie legate alle microtransazioni. Il resto è danno collaterale.

Con un po’ di malincuore ci si rifugia nei ricordi, in tempi migliori, quando “sport” su console Nintendo era sinonimo della chioma di Galfano che svolazzava nei campi di International Superstar Soccer Deluxe o del trovarsi spalla a spalla sul divano per partite a 4 giocatori su Nba Courtside.

Ci siamo perfino concessi il lusso di vedere Mario apparire come guest star speciale negli sportivi estremi della serie “Big” di EA Sports, mentre giocavamo Winning Eleven 6 Final Evolution grazie al mitico Freeloader. Il nintendaro ha sempre dovuto ritagliarsi uno spazio personale, costruito ad hoc, per godere dello sport sulle proprie console: da un lato divertendosi come un matto, dall’altro chiudendo un occhio per non farsi ammaliare dalle meraviglie presenti altrove.

Ma sì, dai, facciamo finta che FIFA non esista e andiamo a correre sui campi di Mario Golf: Super Rush, che è sicuramente meno frustrante online, fa spendere meno soldi e fa bene alla salute! Vero?