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Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse | Recensione

Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse fa il suo ritorno dopo quindici anni, con tutti i suoi pregi e nuovi difetti.

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Avatar di Lorenzo Ardeni

a cura di Lorenzo Ardeni

Pubblicato il 16/03/2023 alle 12:00

Il mio rapporto con il franchise di Project Zero è davvero molto particolare, così come il modo in cui la serie è stata riproposta nel corso degli anni. Il primo contatto è stato ormai più di 15 anni fa, quando mio padre giocava a uno dei primissimi capitoli su PS2, e mai dimenticherò come rimasi terrorizzato dalle scene uniche che, ancora oggi, caratterizzano il più recente Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse.

“Recente” si fa per dire, perché l’opera che ho avuto modo di provare non è altro che una remaster dell’originale capitolo uscito in esclusiva Nintendo Wii. Quella che abbiamo di fronte, tuttavia, non è una riedizione che riesce a brillare per il comparto tecnico e per l’operazione di rimasterizzazione. Al contrario, Mask of the Lunar Eclipse si ripresenta tanto nella sua peculiare bellezza, quanto in difetti piuttosto evidenti.

project-zero-mask-of-the-lunar-eclipse-271505.jpg

Ritorno all’isola di Rogetsu

Ma facciamo un passo indietro e comprendiamo il contesto in cui l’opera va a posizionarsi. Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse, quarto capitolo della serie, venne rilasciato originariamente nel 2008 su Wii, ottenendo voti discordanti dalla stampa. Il titolo, pubblicato da Koei Tecmo e Nintendo, e sviluppato da Grasshopper Manufacture (lo studio dietro No More Heroes), narrava la storia di tre protagoniste femminili, che si recano su un isola apparentemente maledetta per indagare la morte di altre due ragazze. In passato, le cinque erano state rapite da un uomo e portate in una grotta, e il retaggio di una giovinezza segnata per sempre è ciò che spinge le superstiti a far luce su quanto avvenuto.

Così il giocatore viene immerso nel setting caratteristico della serie Project Zero - “Fatal Frame” nel resto del mondo - fatto di ambienti e situazioni che si rifanno meravigliosamente al folklore giapponese. L’opera, che è a tutti gli effetti un’avventura in terza persona con un tocco action, si è sempre contraddistinta per la tipologia di horror che propone, decisamente differente da molti altri titoli rilasciati sul mercato ad oggi. L’orrore di Project Zero trasuda del tradizionalismo del sol levante in ogni suo aspetto, dalla direzione artistica generale all’impianto sonoro. Va da sé che tutti gli appassionati del genere potrebbero letteralmente innamorarsi di quello che è, senza dubbio, uno dei giochi horror più peculiari di sempre.

project-zero-mask-of-the-lunar-eclipse-271507.jpg

Credo infatti che sia proprio il setting l’elemento più riuscito di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse, che riesce a contraddistinguerlo ancora oggi come per magia. Le atmosfere cupe, le scene animate con movimenti della telecamera studiati ad-hoc, i suoni e le apparizioni dei fantasmi non sentono mai il peso degli anni ma, al contrario, riescono a convincere nella loro arte dell’essere pregi unici e distintivi.

Il peso della tradizionalità

Ad apparire invece più datato è l’intero impianto ludico, che si presenta eccessivamente lento sotto quasi ogni punto di vista. I movimenti delle protagoniste sono spesso difficili da gestire, oltre che ad essere legnosi come pochi altri visti in passato, anche più del capitolo della serie più moderno, Maiden of Black Water. Questo innegabile difetto diventa ancor più evidente se consideriamo l’elemento di backtracking, dal momento in cui spostarsi da una parte all’altra della mappa risulta quasi sempre un processo tedioso e, purtroppo, noioso.

Discorso analogo per quello che possiamo considerare il sistema di combattimento: nella serie di Project Zero, infatti, le protagoniste possono scacciare gli spettri utilizzando una macchina fotografica dell’occulto, la Camera Obscura. Ci sono state differenti rielaborazioni della meccanica nel corso degli anni e quasi sempre le più riuscite erano proprio quelle per console Nintendo, rispettivamente di Mask of the Lunar Eclipse e il già citato Maiden of Black Water. Questo perché, banalmente, i due titoli sfruttavano i controlli di movimento del Telecomando Wii e del Wii U GamePad, rendendo l’esperienza meno statica e più immersiva di quanto si possa pensare.

La remasterizzazione di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse ha inevitabilmente richiesto una rielaborazione dei controlli, che sfruttano ora la levetta analogica sinistra. Per quanto possa apparire a tratti lenta, posso affermare che la mira con uno schema del genere è quasi sempre affidabile e gestibile, sebbene credo si sarebbe dovuto lavorare di più in tal senso. Su Nintendo Switch è anche possibile utilizzare i controlli di movimento, funzione che permette di riavvicinarsi all’esperienza originale e che, col senno di poi, avrei davvero voluto provare. Peraltro, è un peccato non poter sfruttare la stessa funzionalità anche su PS4 e PS5, dato che i controller hanno dei giroscopi.

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Una remaster pigra

A non esser invecchiato bene è però anche il comparto grafico. Da una parte, l’aumento di risoluzione e frame rate è molto evidente, che raggiungono i 4K e 60 fps, cosa che rende questa edizione di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse quella visivamente migliore. Da un altro lato, al contrario, molte texture si presentano spesso nella loro scarsissima qualità, cosa che grava non poco sull’esperienza complessiva con l’opera. 

Va infatti considerato che uno degli elementi che contraddistinguono il franchise - in particolar modo Mask of the Lunar Eclipse - sono gli ambienti angusti e spenti, che quindi tengono la telecamera quasi sempre vicina a pareti o altri oggetti. Se teniamo conto anche del fatto che la visuale passa in prima persona quando lottiamo i fantasmi con la Camera Obscura, diventa più evidente quanto la presenza di texture in bassa risoluzione gravi sull’impianto visivo generale.

Credo, però, che sia stato fatto un buon lavoro con il sistema di illuminazione generale, così come dell’occlusione ambientale. Non mi sento di criticare negativamente il comparto grafico soltanto sulla base delle texture perché, a conti fatti, presenta più pregi che difetti se consideriamo che abbiamo di fronte una remaster. Resta innegabile che si poteva fare di più, soprattutto su PC, per rendere questo Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse un pizzico meno datato (e non “più moderno”).

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