Recensione Need for Speed Payback

Need for Speed Payback alla prova. Ecco cosa ne pensiamo dell'ennesimo capitolo di una serie infinita.

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a cura di Lorenzo Quadrini

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Need for Speed Payback

 

Need for Speed Payback è il ventitreesimo titolo della fortunata saga di motori dedicata al mondo delle corse clandestine.

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CONTRO: Approccio arcade poco attento alla competitività in single player; Qualche difetto tecnico di troppo.

VERDETTO: Un videogioco da comprare per gli appassionati del tuning e per i veri fan della serie, che con questo prodotto fa qualche timido passo avanti rispetto al recente passato.

Need for Speed, il cui primo capitolo risale all'ormai lontano 1994, ha visto avvicendarsi moltissime software house alle prese con edizioni più o meno di successo. Gli ultimi tre capitoli prodotti e, a partire dal penultimo anche sviluppati, da Ghost Games hanno impressionato positivamente gli utenti assicurando un'esperienza solida e divertente, anche se non rivoluzionaria.

La banda di Tyler

Il gioco segue le orme automobilistiche di Tyler e della sua banda, composta da Mac e Jess (più il burbero meccanico). Il trio si dedica ai "colpi" e alla vita delle corse di strada, fino a quando non decide di derubare uno dei più ricchi uomini di Fortune Valley.

Assistito da Lina Navarro (interpretata nel gioco dall'inconfondibile Dominique Tipper, la Naomi della serie televisiva "The Expanse") il gruppo riesce nel furto, se non fosse per un piccolo dettaglio: Lina tradisce tutti e gli allegri malfattori sono costretti a ritirarsi dalle scene.

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A Tyler non resta che vendicarsi della "Loggia" (la gang pseudo mafiosa di cui fa parte Lina, che ormai controlla le strade della città) e per farlo decide di riunire la banda e chiedere una mano proprio all'uomo precedentemente rapinato.  

L'intera trama del videogioco ruota attorno al concetto del mascalzone dal cuore d'oro, uno stereotipo tutto americano secondo il quale correre clandestinamente, rubare e compiere pericolosissime manovre automobilistiche non arreca poi così tanti danni.

Chiaramente il messaggio piace al videogiocatore: Fortune Valley è una specie di enorme autodromo, dove tutto è in funzione dei motori e dove effettivamente il confine di giusto e cattivo è traslato verso le quattro ruote. La trama impegna per una ventina abbondante di ore, a seconda che si riesca a superare con più o meno facilità le oggettivamente poco difficili missioni.

Quantità più che Qualità

Dal punto di vista del gameplay, Payback punta tantissimo sulla quantità, a discapito della qualità. Naturalmente, fermo restando la solida struttura arcade, non abbiamo di fronte un gioco raffazzonato o sgradevole, ma viene a mancare sempre qualcosa, sia dal punto di vista della giocabilità che delle attività.

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Dopo le prime missioni-tutorial, Fortune Valley si schiude completamente, lasciando libero il giocatore di esplorare le diverse zone dell'alter ego di Las Vegas, offrendo terreni e piste molto eterogenee. Montagna, deserto, città: le esigenze di tracciato saranno pienamente soddisfatte.

Principalmente il gioco richiederà pazienza: per andare avanti nella trama è necessario battere le diverse gang di corridori sparse per la metropoli e nel farlo bisogna completare gare di ogni tipo. Corse classiche, sterrato (qui interviene Mac), fuga dalla polizia (che non è presente casualmente ma solo in queste determinate sfide), accelerazione e derapata. In più il prodotto mette a disposizione tantissime altre quest casuali, nonché la possibilità di cercare i "catorci", telai di super-car che andranno risistemati pezzo dopo pezzo.

Dal punto di vista della giocabilità vera e propria Payback non spicca il volo, a causa di un approccio arcade che non strizza né l'occhio alla totale noncuranza delle leggi fisiche ma neanche a un pizzico di realismo in più.

Pertanto le gare saranno quasi sempre contraddistinte da fastidiosi sali scendi di posizione, durante i quali la vittoria sarà sancita o dalla micidiale potenza della nostra auto o dalla oggettiva facilità di gioco (sposata a un sapiente uso della nitro).

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L'IA insomma, come spesso accade soprattutto nei prodotti di corse arcade, diventa aggressiva solo quando raggiungeremo le prime posizioni, rimanendo invece quasi passiva nel momento del recupero. Un aspetto molto fastidioso, alla luce anche del fatto che questo tira e molla continuo si traduce in primo luogo in prestazioni improbabili (gli avversari, recuperando a volte gap di interi secondi, dovrebbero viaggiare a 400 km/h) e in secondo luogo in una notevole frustrazione quando ci si rende conto che la vittoria è quasi sempre assicurata dalla macchina e non dal pilota.

Le caratteristiche di guida tra vetture esistono, ma sono limitate al minimo sindacale, rivelando un certo pressapochismo prestazionale. Il sistema di aggiornamento del rendimento invece è affidato al sistema di "card": schede da installare sulle quattro ruote, vincolate alla macchina proprietaria e dotate di differenti caratteristiche, tra cui quella di fare sinergia con altre carte simili.

In generale quindi, vista la possibilità di vendere e riassemblare carte, al giocatore viene richiesta una certa dose di abilità nel gestire e apportare la migliore configurazione, pur non rilevando nessun tipo di ulteriore conoscenza o capacità tecnica.