C'era una volta... il Nintendo Game Boy

A 31 anni dalla sua uscita, riscopriamo la storia dietro all'immenso successo raggiunto dall'iconico Game Boy di Nintendo.

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a cura di Andrea Maiellano

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Il 21 Aprile 1989 il Game Boy di Nintendo veniva, ufficialmente, rilasciato sul mercato dando il via a una delle più importanti rivoluzioni dell’industria del videogioco. Una piccola console, dal design semplice e dalle specifiche tecniche meno performanti delle concorrenti che sarebbero uscite nei mesi a seguire, che si ritrovò a essere la portatrice della cultura videoludica nelle tasche di milioni di utenti, elevando il videogioco stesso da “giocattolo elettronico” a fenomeno culturale. In 31 anni il Game Boy è passato dall’essere una celebre console portatile, a venire utilizzato nelle maniere più disparate (basti pensare che ci sono interi dischi realizzati usando Game Boy riadattati), diventando una vera e propria icona della cultura pop….e pensare che la sua storia comincia su di un treno in Giappone.

Le origini del Game Boy risalgono agli albori degli anni 80, quando Gunpei Yokoi, vedendo un uomo d’affari intento a premere i tasti di una calcolatrice digitale, in preda alla noia, sul treno in cui stava viaggiando, ebbe l’idea di creare una linea di videogiochi che ricoprissero l’importante ruolo di “passatempo portatile”. L’idea si concretizzò, nel 1981, nella celebre serie di Game & Watch, dei piccoli handheld contenenti un unico gioco, di stampo arcade, e dotati di un orologio LCD che ne garantisse una doppia funzionalità atta a solleticare una specifica utenza maggiormente adulta e, normalmente, non interessata al videogioco. Nei successivi dieci anni, la popolarità ottenuta dai Game & Watch, portò Nintendo a produrre 60 differenti versioni, alcune su licenza, altre raffiguranti versioni riadattate di celebri brand del colosso nipponico e le restanti utilizzando una sorta di “stickman”, ribattezzato in seguito Mr. Game & Watch, intento a ricoprire i ruoli più disparati in semplici giochi arcade atti a impegnare i tempi morti durante la frenetica vita degli impiegati giapponesi. Il successo ottenuto dai Game & Watch portò altri produttori, di cui Tiger si rivelò il più celebre e longevo, a investire su quella specifica tipologia di videogioco portatile negli anni a venire… ma Nintendo aveva ben altri progetti.

Gunpei Yokoi, dopo aver visto il successo ottenuto dai Game & Watch, cominciò subito a progettarne la naturale evoluzione. Il suo scopo era quello di creare un dispositivo portatile che, oltre a permettere di giocare in mobilità, fosse anche attraente per tutte le fasce d’età, mantenesse un costo accessibile a tutti e rappresentasse la forte identità “videoludica” che Nintendo aveva in quegli anni, grazie al celebre NES. Nel 1989, quindi, vide la luce il Game Boy e la concezione di videogioco portatile cambiò definitivamente.

L’architettura del Game Boy, nella sua semplicità, era la summa di tutti i desideri di Gunpei Yokoi. La console aveva innanzitutto un design semplice, immediato e che ne garantisse la comprensione a chiunque ci si raffrontasse, con un pulsante d’accensione immediatamente riconoscibile e un’ampia fessura posta sul retro atta ad ospitare le cartucce di gioco, analogamente a quanto si poteva fare con il NES. Sempre sulla parte posteriore del Game Boy si trovava il vano batterie, mentre sui lati erano posizionate due rotelle, atte a regolare il contrasto dello schermo e il volume dell’altoparlante interno, un jack per le cuffie e un connettore che permettesse il collegamento di due console assieme. 

La prima, ovvia, rottura con il passato era rappresentata dalla possibilità di poter cambiare gioco senza necessariamente cambiare l’intero dispositivo. Un design minimale, e compatto, delle cartucce (che ricordavano sia per colore che per formato una versione miniaturizzata di quelle del NES) permetteva agli utenti di portare comodamente con se differenti giochi per poter variare la propria esperienza videoludica durante le trasferte più lunghe. Questo importante dettaglio, oltre a garantire un ciclo di vita più lungo alla console, permetteva di contenere il costo dei singoli giochi e offriva a qualunque software house la possibilità di sviluppare nuovi titoli per il Game Boy, ampliandone, potenzialmente all’infinito, il suo catalogo.

Un Catalogo potenzialmente infinito

In lenta ma costante crescita! Non si potrebbe definire altrimenti la ludoteca disponibile per Game Boy che, negli ultimi anni, ha visto numerosi sviluppatori di terze parti, realizzare giochi per l’immortale console portatile di Nintendo. Fra progetti amatoriali, disponibili in pochissimi esemplari, e recenti release, quali Tobu Tobu Girl prodotto dalla First Press Games, è sorprendente come, a oltre trent’anni dalla sua uscita, ci sia ancora un mercato di nicchia atto a mantenere vivo il catalogo del Game Boy.

Il celebre schermo grigio/verde troneggiava nella parte frontale del Game Boy. Un pannello LCD, da 4,7X4,3 cm, che fin dalla sua prima presentazione raccolse pareri contrastanti a causa della scelta di Nintendo di non optare per uno schermo a colori. I motivi dietro a questa decisione erano molteplici ma potrebbero essere riassunti, molto semplicemente, con la volontà di mantenere un costo finale del prodotto accessibile e garantire consumi ridotti. A rafforzare la decisione di Nintendo ci pensò il Game Gear, prodotto dalla storica rivale SEGA, che costava 50$ più del Game Boy, offriva dimensioni meno portatili, richiedeva due pile AA addizionali per poter funzionare e disponeva di un’autonomia sensibilmente inferiore rispetto alla sua celebre rivale. Furono queste importanti differenze a rendere il Game Boy una scelta pressoché obbligata se si voleva possedere una macchina da gioco che, sulla distanza, costasse meno in termini di alimentazione.

Un altro elemento molto importante per Gunpei Yokoi, che proseguiva la volontà di mantenere una linea di design e di esperienza similare fra le varie console di Nintendo, fu la realizzazione della plancia dei controlli. Il Game Boy era dotato degli stessi pulsanti presenti sul celebre NES, con delle piccolissime variazioni (zigrinatura del D-Pad e convessità dei tasti A e B) atte a offrire un’ergonomia maggiore. Lo scopo ultimo dell’inventore giapponese era quello di offrire una sorta di “continuità tattile” negli utenti che già possedevano un NES o che lo avrebbero acquistato in seguito all’apprezzamento riservato al Game Boy. 

Un piccolo aneddoto, che magari alcuni di voi non conosceranno, è che la celebre croce direzionale, oramai diventata uno standard nell’industria del videogioco, fu inventata proprio da Gunpei Yokoi, nel 1982. Fu una semplice idea atta a sostituire, proprio nei precedenti Game & Watch, il canonico Joystick presente in tutte le piattaforme di gioco allora presenti sul mercato. Dopo aver optato per un sistema a quattro pulsanti individuali, oltre che a un rudimentale mini-joystick, durante la realizzazione dell’handheld dedicato a Donkey Kong, Gunpei necessitava un sistema di controllo intuitivo e che permettesse ai giocatori di non guardare costantemente i pulsanti, garantendogli una sensazione più naturale, e immediata, di controllo.

Il tutto si trasformò in un componente di plastica, dalla canonica forma a croce, sorretto da una sfera centrale che ne permettesse l’oscillazione e inserito in un incavo che ne delimitasse i movimenti nelle quattro direzioni. La cosa divertente è che nemmeno Gunpei pensava di aver rivoluzionato un’industria fino a che non notò l’accoglienza riservata a quel semplice, ma innovativo, sistema di controllo. Fortunatamente, però, un impiegato di Nintendo, tale Ichiro Shirai, consigliò di brevettare la croce direzionale nel 1983, durante lo sviluppo del NES, rendendo “de facto” il più celebre form factor dei D-Pad a essere, fino al 2005 quando scadde la registrazione del brevetto, un’esclusiva di Nintendo. Questo fu il motivo per cui la concorrenza non copiò mai il sistema ideato da Gunpei, creando D-Pad con un’architettura differente che generarono alcune delle varianti più celebri, o tremendamente criticate, viste fino a oggi… ma questa è un’altra storia.

A completare il concetto di “NES portatile” vi era un connettore per collegare due console assieme, oltre a numerosi altri accessori usciti nel corso degli anni, per permettere di giocare in compagnia di altre persone. Se, però, il NES puntava molto su un mercato di giocatori, prettamente, giovani, il Game Boy doveva entrare nella ventiquattrore di quell’uomo d’affari incontrato su quel treno… e per raggiungere questo risultato bisognava avere un gioco che, come quei semplici ma immediati Game & Watch, riuscisse a fare presa sulla totalità dell’utenza. Fu qui che entrò in gioco Tetris. Minoru Arakawa, direttore di NIntendo Of America, nel 1988 scoprì Tetris durante l’Arcade Expo di quell’anno. Divenne ossesisonato da quel gioco e fu fortemente convinto che fosse il titolo perfetto da abbinare assieme a ogni Game Boy. In merito alle origini del celebre rompicapo ideato da Aleksej Leonidovič Pažitnov si potrebbe parlare per ore ma in questo contesto vi basta sapere che il sodalizio fortemente voluto da Arakawa, fu, senza alcun dubbio, il fattore scatenante della Game Boy Mania, oltre che uno dei motivi per il quale Tetris è, ancora oggi, il secondo videogioco più venduto di tutti i tempi (con oltre 170 milioni di copie distribuite nel corso degli anni). 

Tetris si rivelò il cavallo di Troia che il Game Boy aveva bisogno per imporsi sul mercato, portando Nintendo a vendere, nel solo 1989, oltre un milione di console. Il catalogo di titoli disponibili si espanse fin dai primi mesi, portando non solamente tutte le IP più famose di Nintendo ma qualsiasi licenza fosse stata realizzata nei dieci anni seguenti, a solcare le sponde tascabili del Game Boy. Questo importante fattore, unito a una serie di mosse commerciali dannatamente riuscite, portarono a un risultato totalmente fuori scala, anche per la stessa Nintendo. Nel 1991 sembrava che ogni persona possedesse un Game Boy e negli anni successivi lo stesso nome della console divenne sinonimo di “videogioco portatile”. Era una cosa naturale sentire persone poco esperte in materia chiamare “Game Boy” ogni console di gioco portatile che avrebbe visto la luce negli anni a venire e se questo errore vi farà sorridere, provate a pensare all’immenso impatto che il Game Boy ha avuto nella cultura di massa, oltre alla potenza che questo brand ha tutt’ora. Una moltitudine di insospettabili celebrità, che fossero personaggi politici, studiosi, sportivi o divi del cinema, furono immortalati più volte mentre si intrattenevano con la console di Nintendo, un segno di una cultura che cambiava, almeno in parte, aprendosi a un prodotto che fino a poco tempo prima veniva semplicemente considerato come un “giocattolo elettronico”.

Il successo raggiunto dal Game Boy, unita all’importanza intrinseca che aveva nella cultura di massa, portarono la più celebre delle portatili di Nintendo a rimanere attuale fino al 2001. Si, avete capito bene, il Game Boy può fregiarsi di essere una delle console con il ciclo vitale più elevato di sempre con ben 12 anni prima di vedere un reale successore, nella fattispecie il Game Boy Advance, che lo andasse a sostituire. Nel corso di poco più di una decade, Nintendo produsse alcune revisioni della sua console portatile atte a ridurne le dimensioni, introdurre uno schermo retroilluminato o, nel caso del Game Boy Color, offrire il tanto richiesto schermo a colori, seppur solamente nel 1998. Pur con l’elevata serie di varianti messe in commercio nel corso degli anni, resta sorprendente come il primo modello di Game Boy, quello uscito nel 1989, sia stato dismesso solamente nel 2003 quando la produzione fu dichiarata interrotta a tempo indeterminato.

Con oltre 118 milioni di console vendute, 1055 giochi unici presenti nel suo catalogo, escludendo le produzioni indipendenti di cui vi accennavamo poc’anzi, una moltitudine di accessori atti a trasformare la console in qualsivoglia device portatile (basti pensare alla Game Boy Camera o alla Pocket Printer) e una fama ancora oggi inossidabile, non stupisce che il Game Boy, oltre a riportare alla mente di chiunque sia stato adolescente negli anni 90 dei dolci ricordi, sia stato inserito nella Toy Hall Of Fame nel 2009. Un riconoscimento che fino a quel momento era stato riservato solamente all’Atari 2600, grazie ai meriti della stessa Atari nell’essere stata la prima compagnia a riuscire nell’arduo compito di rendere il gaming casalingo popolare e alla portata delle tasche di tutti, e che il Game Boy ha ottenuto per essere stato in grado di cambiare, per sempre, il concetto di gioco in mobilità divenendo uno degli esponenti di maggior rilievo all’interno dell’evoluzione dell’industria videoludica.

Oggi Nintendo Switch Lite è indubbiamente la naturale evoluzione del celebre Game Boy, la cui nuova colorazione corallo sarà disponibile a breve.