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a cura di Lorena Rao

Per parlare del passato non occorrono date o ricorrenze speciali. O almeno, non solo. Per parlare del passato basta un film, una canzone, addirittura un videogioco. Questo perché i media vanno matti per la Storia, al punto che gran parte di essi trae la loro ispirazione da ciò che l’uomo ha fatto ieri. Un discorso che non riguarda solo le produzioni mediali basate su un contesto propriamente storico, perché il bello del passato è quello di poterlo trovare anche nelle espressioni del presente. Che ci piaccia o no, dentro di noi portiamo l’eredità degli eventi che furono e la reinterpretiamo secondo un’ottica contemporanea.Attraverso la rubrica Storia in Pixel, viaggeremo tra le epoche, nel tentativo di capire che tipo di interpretazione e di rappresentazione sono state date agli eventi, alle persone, alle credenze, secolari e non, presenti, anche in forma velata, nei principali titoli videoludici.

Dato l’incredibile freddo di questi giorni invernali, il nostro viaggio comincia in una terra desolata, coperta di nevi, abitata da puma e orsi, attorno alla quale gravita una secolare leggenda: quella di Kitež, mitica città della Russia, sommersa dalle acque del lago per volere dei suoi abitanti, che si rivolsero alla preghiera per porre fine all’assedio dei mongoli nel XIII secolo.La visitiamo con Lara Croft, perché il titolo che ci dà lo spunto per affrontare il seguente discorso è Rise of the Tomb Raider (2015), il secondo capitolo dell’apprezzato reboot dedicato all’archeologa inglese.

La leggenda di Kitež non se la sono inventata gli sceneggiatori di Crystal Dynamics, ma sopravvive tra gli abitanti del territorio di Nižnij Novgorod. Ha addirittura la sua pagina Wikipedia.Eppure non è questo l’argomento che tratteremo durante il nostro viaggio, bensì un altro, forse secondario.Nel gioco ha il ruolo di caratterizzare l’atmosfera, conferendogli il tono cupo oramai tipico della serie, oltre al fatto di creare l’espediente per alcune sfide e collezionabili. Ci riferiamo al Gulag.Dal Medioevo alla Russia sovietica degli anni Trenta: facciamo un salto di tre secoli per parlare di uno degli aspetti più truci del comunismo sovietico.

Stalin ti osserva

Prima di addentrarci nel lato più macabro e crudo della Storia, occorre un attimo specificare la situazione politico-economica della Russia dopo la morte di Lenin, avvenuta nel 1924.Il paese, rispetto alle altre potenze europee, si trovava in una posizione arretrata a causa di uno scarso tasso di alfabetizzazione, e un’economia mista basata sull’agricoltura, che da una parte veniva retta da un partito comunista sempre più forte e autoritario, dall’altra dalla NEP (Nuova Politica Economica) che intendeva portare a una liberalizzazione del mercato per favorire i contadini e i piccoli imprenditori.Un’antitesi marcata nella rivoluzionaria Russia. Tuttavia, la vittoria di Stalin per la dirigenza del partito comunista portò a un’unica scelta possibile, quella dello stato-partito. La NEP entrò in crisi e si disciolse.L’obiettivo divenne quindi la crescita del paese attraverso l’industrializzazione forzata e la collettivizzazione dell’agricoltura.Dal 1928 al 1940 le persone con il posto in fabbrica salirono da 4 a 11 milioni, mentre sorsero città, infrastrutture, regioni industriali dove prima non vi era nulla.Ci fu effettivamente una crescita con i piani quinquennali promossi da Stalin, ma a caro prezzo: i contadini furono costretti ad accorparsi in cooperative o aziende statali, inoltre il clima era estremamente oppressivo.

Stalin seppe creare il culto della sua persona, accentrò il potere politico, divenne il volto unico dell’Unione Sovietica. Un uomo talmente megalomane da non accettare la minima critica al suo operato e alla sua persona. La società russa venne dunque riplasmata dal suo Stato-Partito, per mezzo della repressione e del capillare sistema di controllo. Questi erano strumenti della Direzione della politica di stato (GPU), la quale riusciva a insinuarsi ovunque. Si formò una società fondata sul conformismo e sulla disciplina, in quanto anche il più piccolo dubbio sul partito poteva trasformarsi in tremende conseguenze: dalla perdita del lavoro alla fucilazione.Questo clima divenne particolarmente intenso sul finire degli anni Trenta, quando Stalin diede inizio alle purghe, ovvero una caccia spietata alle streghe. Solo tra il 1936 e il 1938 si possono contare 2,5 milioni di arresti, e 2 milioni di prigionieri internati nei gulag.

La vita dentro i Gulag

Come abbiamo detto poc'anzi, lo stalinismo ha un ruolo marginale in Rise of the Tomb Raider. Del dittatore poco viene detto, e la dura vita nei gulag viene manifestata attraverso lettere, documenti e cadaveri scheletrici dei vecchi prigionieri. Persino la sezione dedicata a Baba Yaga rimanda al desiderio di rivalsa contro i sovietici. Tolta però la componente esoterica del DLC, com’era effettivamente la vita nei gulag?Il termine è in realtà un acromino tratto da Glavnoe Upravlenie Lagerei (GULag, Amministrazione Centrale dei Lager), e intende il sistema concentrazionario sovietico. Nacque formalmente nel 1930, ma già in epoca zarista esistevano campi di prigionia per i lavori forzati dove rinchiudere i criminali. In seguito alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, Lenin estese gli “ospiti” dei centri includendo i cosiddetti nemici della classe.Fu però con Stalin che i gulag ebbero un ruolo centrale nella storia sovietica, perché, durante gli anni Trenta, il dittatore diede inizio alle note “purghe”. In generale il termine GULag si diffuse grazie al saggio di A. I. Solženicyn, Arcipelago Gulag.

Al suo interno si trovavano dissidenti politici, intellettuali, contadini contrari alla collettivizzazione dell’agricoltura, nazionalisti di altri paesi. Vi potevano stare mesi, anni, o, per sempre.Gli oppositori dello stalinismo presero la definizione di "deviazionisti", in quanto la loro visione si discostava dalla via maestra proposta dal partito.Le condizioni di vita nei centri erano tremende. Uno dei disagi principali era legato al clima siberiano, con picchi che arrivavano fino a -20 a gradi. In un documentario della BBC, il Colonnello Nikolai Abakumov afferma che l’unico punto del corpo scoperto delle guardie erano gli occhi, dato che per tutto il resto potevano usufruire di pellicce, stivali imbottiti, cappelli con i copri-orecchie, e così via. Eppure il freddo era talmente tagliente, che erano costretti a coprirsi un occhio con la mano, fino a quando questa non congelava e allora si faceva il cambio.Se le guardie soffrivano così tanto il gelo, pensate ai prigionieri, che non potevano di certo contare sullo stesso equipaggiamento. Furono in tanti infatti i morti per assideramento.

Un altro problema era la mancanza di cibo. Sempre nello stesso documentario BBC, una sopravvissuta racconta che tuttora vive con il terrore costante di restare senza pane, perché durante i giorni passati a lavorare nel gulag, la fame è un’acerrima nemica, e un pezzo di pane può separare la vita dalla morte.I ritmi di lavoro erano disumani, soprattutto per i prigionieri non specializzati che, privi di qualifiche, venivano impiegati per tagliare la legna, lavorare in fabbrica o in miniera, a differenza ad esempio di ingeneri o scienziati che potevano contare su ritmi più lenti e rispettati.Chi finiva a lavorare nelle miniere di uranio, il più di volte non tornava vivo. Molti dei gulag sorsero in prossimità di cave minerarie per favorire il progresso industriale voluto da Stalin.

Infine, l'ennesimo disagio era rappresentato dal sovraffollamento: donne e uomini stavano separati, ma il numero di prigionieri di entrambi i sessi era inappropriato. Non a caso nel paragrafo precedente abbiamo parlato di 2 milioni di prigionieri. Molte volte nei dormitori esplosero epidemie di pidocchi, e altri parassiti. Diverse persone morirono di pellagra per l’impossibilità di ottenere le vitamine.In ogni caso era impossibile spezzare questa routine mortifera, perché pure il minimo dissenso voleva dire chiusura forzata per giorni, senza luce e senza cibo, dentro celle di isolamento.Questo perché le guardie e i responsabili dei centri erano molto duri, sia per cattiveria personale - in special modo contro i prigionieri nazionalisti ucraini - sia per rispetto del partito. D’altronde la gente che viveva in quelle condizioni era perché andava contro Stalin e alla sua ideologia divenuta fondamentale nel paese. Nelle loro menti gli anti-sovietici meritavano quelle condizioni.

Non si sanno ancora con precisione quanti morti ci siano stati dentro i gulag: alcuni storici, come Conquest, parlano di 2 milioni, altri affermano 800 mila.A prescindere dei numeri – elevati in entrambe le opzioni - i gulag rappresentarono una rete spietata volta ad aumentare l’autorità dello stato, favorire l’industrializzazione, e soffocare il dissenso.I gulag rimasero operativi a pieno regime fino alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953. Con l’arrivo di Chruščëv, che avviò un processo di destalinizzazione, molti prigionieri vennero rilasciati e la vita all’interno dei centri fu più permissiva. Fu però solo con Gorbačëv nel 1987 che vennero smantellati.

In Rise of the Tomb Raider viviamo questo spaccato di Storia attraverso immagini e suggestioni, non per coinvolgimento diretto con l'avventura di Lara. Abbiamo già specificato come l'elemento storico principale nel gioco sia Kitež. Probabilmente l'aggiunta del gulag è stato un espediente ricercato dal team di sviluppo per arricchire un'atmosfera che altrimenti sarebbe stata troppo spoglia. Anche perché, facendo una semplice ricerca su Google Maps, la regione dove si trova la città leggendaria non è stata toccata dai gulag nella realtà. Ciò dimostra la sapienza di Crystal Dynamics nell'utilizzare un elemento storico estraneo per caratterizzare un ambiente crudo, spietato ma troppo scialbo, anche a livello cromatico, dato che tutto è ricoperto di neve. La differenza infatti è netta con il coloratissimo e vivido Perù di Shadow of the Tomb Raider.

Per tornare al discorso fatto nell’introduzione, la Storia la si può trovare anche nei dettagli. Anziché del preponderante medioevo di Kitež, abbiamo preferito dare spazio a un altro elemento per creare uno spunto di analisi.Questo perché quando giochiamo, non giochiamo e basta, ma assimiliamo, inconsciamente, tanti significati.Spetta a noi approfondirli se spinti dalla curiosità.