Ve lo ricordate, Unreal Tournament? Se avete qualche capello bianco (o vi comincia a uscire proprio ora come me), o se semplicemente amate la storia dei videogiochi, quel nome non può che evocare un'eco decisamente potente nelle nostre menti. Un misto di notti insonni, di adrenalina pura e del suono assordante del Flak Cannon che fa a pezzi un avversario.
Io me lo ricordo bene. Ricordo l'attesa spasmodica per l'uscita di un nuovo capitolo, la rivalità quasi filosofica con i fan di Quake, e la sensazione, netta e inebriante, di trovarmi di fronte a qualcosa di rivoluzionario e pensate che io ero solo un ragazzino.
Oggi, però, quel nome è avvolto da un silenzio assordante. Che fine ha fatto Unreal Tournament? Perché uno dei pilastri degli sparatutto in prima persona è svanito nel nulla? Per rispondere, dobbiamo fare un viaggio indietro nel tempo, in un'era in cui i modem a 56k cantavano la loro melodia metallica e il concetto di "multiplayer online" stava appena iniziando a plasmare il nostro modo di giocare.
Quando il gioco si fece "Unreal"
Tutto ebbe inizio alla fine degli anni '90. Il mondo degli FPS era dominato da id Software e dal suo popolarissimo Quake. Era il re incontrastato, il punto di riferimento. Poi, dal nulla o quasi, arrivò Epic Games, all'epoca una software house di talento ma non ancora il colosso che conosciamo oggi. Nel 1998 pubblicarono Unreal, un titolo che già dal nome dichiarava le sue ambizioni: essere "irreale". E lo era. Grafica mozzafiato per l'epoca, un'intelligenza artificiale dei nemici spaventosa e un'ambientazione, il pianeta Na Pali, che trasudava mistero e pericolo. Tutto bello, ma la parte divertente è che il vero colpo di scena doveva ancora arrivare.
Unreal aveva una componente multiplayer, certo, ma era nel 1999, con Unreal Tournament, che Epic fece scalpore. Abbandonata quasi del tutto la campagna per giocatore singolo, UT si concentrava anima e corpo sull'arena, sulla competizione pura e sull'online. E lo faceva con una personalità straripante. Se Quake III: Arena, il suo diretto concorrente uscito quasi in contemporanea, era la quintessenza della velocità e della perfezione balistica del rocket jump, Unreal Tournament era più "sporco", più tattico, più vario.
Le armi erano un vero e proprio arsenale di morte creativa. Certo, c'era il classico fucile da cecchino e il lanciarazzi, ma come dimenticare il Flak Cannon, un'arma brutale che sparava schegge incandescenti in un colpo primario devastante a corto raggio, o una granata di shrapnel con il fuoco secondario? O il Ripper, che lanciava dischi affilati che potevano rimbalzare sulle pareti e decapitare un nemico ignaro? Ogni arma aveva una doppia modalità di fuoco, una caratteristica che da sola apriva un ventaglio di possibilità tattiche inaudite.
E poi c'erano le modalità di gioco. Oltre al classico Deathmatch e Team Deathmatch, UT introduceva o perfezionava modalità che avrebbero fatto scuola. Capture the Flag, con mappe iconiche come la leggendaria Facing Worlds, due torri contrapposte in un paesaggio spaziale, divenne l'emblema del gioco di squadra. Domination, in cui si dovevano controllare punti strategici della mappa, e Assault, dove una squadra attaccava una base e l'altra la difendeva in una serie di obiettivi concatenati, aggiungevano una profondità strategica che all'epoca era semplicemente sbalorditiva (ed era anche la mia modalità preferita).
Il successo fu travolgente. Unreal Tournament non era solo un gioco, divenne una vera e propria piattaforma costantemente supportata dai fan. Grazie all'Unreal Editor, incluso nel gioco, la community poteva creare mappe, modalità e modifiche di ogni tipo. Nacquero clan, si organizzarono i primi tornei, si gettarono le basi di quello che oggi chiamiamo eSport. La rivalità con Quake III: Arena era feroce, ma sana. Erano due filosofie di gioco diverse, due modi di intendere l'arena shooter che si contendevano il cuore dei giocatori. E noi, in mezzo, eravamo solo felici di poter godere di due capolavori assoluti.
L'evoluzione e i primi scricchiolii
La saga continuò con Unreal Tournament 2003 e, soprattutto, con Unreal Tournament 2004, da molti considerato l'apice della serie. Quest'ultimo era un pacchetto contenutistico spaventoso: introduceva i veicoli e una nuova modalità su larga scala, Onslaught, che mescolava il combattimento a piedi e motorizzato in mappe gigantesche. UT2004 era veloce, frenetico, colorato, e portava all'estremo la formula originale, raffinandola e ampliandola.
Poi, nel 2007, arrivò Unreal Tournament 3. Basato sul nuovo e potentissimo Unreal Engine 3, il gioco cambiò radicalmente stile. Abbandonati i colori brillanti di UT2004, si presentava con un'estetica "gritty", più realistica e oscura (parzialmente ispirata da Gears of War), nel tentativo di inseguire i gusti di un mercato che stava cambiando, dominato da Halo e Call of Duty. Nonostante fosse un gioco tecnicamente impressionante e con un gunplay solido, qualcosa si era incrinato. Il feeling non era più lo stesso per molti veterani, e il gioco non riuscì a replicare l'impatto dei suoi predecessori, schiacciato tra la sua eredità "hardcore" e la volontà di aprirsi a un pubblico più vasto, quello delle console.
Fu il primo, vero campanello d'allarme. Il mercato degli sparatutto stava prendendo un'altra direzione. L'era degli arena shooter puri, basati sull'abilità individuale, sulla raccolta di armi e power-up sulla mappa, stava tramontando in favore di esperienze più guidate, con classi, loadout personalizzabili e progressione del personaggio.
L'alba di Fortnite e la fine di un'era
Dopo anni di silenzio, nel 2014 Epic Games fece un annuncio che riaccese il cuore dei fan. Un nuovo Unreal Tournament, sviluppato in collaborazione con la community, con un modello free-to-play non invasivo e basato sull'Unreal Engine 4. Sembrava un sogno. Lo sviluppo partì, una versione pre-alpha fu resa disponibile e per un po' sembrò che il re stesse per tornare. Si poteva giocare, contribuire, vedere il gioco crescere. Ma il processo era lento, e all'orizzonte si profilava un ciclone.
Quel ciclone aveva un nome: Fortnite. Inizialmente concepito come un gioco co-op di sopravvivenza (la modalità "Salva il Mondo"), Fortnite era un progetto su cui Epic lavorava da anni con risultati altalenanti. Poi, quasi per scommessa, il team decise di creare una modalità "Battle Royale", ispirandosi al successo di PlayerUnknown's Battlegrounds. Inutile sottolineare che fu come accendere una miccia collegata a una polveriera.
Il successo di Fortnite: Battle Royale fu qualcosa di mai visto prima. Un fenomeno culturale globale, una macchina da soldi inarrestabile che catapultò Epic Games in un'altra stratosfera. Di fronte a un successo di tale portata, tutte le altre priorità, inevitabilmente, passarono in secondo piano. Lo sviluppo del nuovo Unreal Tournament, che richiedeva tempo e risorse per un pubblico di nicchia, fu prima rallentato, poi di fatto congelato. Gli sviluppatori furono spostati sul progetto che stava generando miliardi di dollari.
Nel 2018, la doccia fredda divenne ufficiale. Tim Sweeney, il fondatore di Epic, confermò che lo sviluppo attivo di Unreal Tournament era terminato. Non c'era stato un annuncio in pompa magna, nessuna cerimonia funebre. Il re era semplicemente morto in silenzio, abbandonato in un angolo mentre tutte le attenzioni erano rivolte al nuovo, incredibilmente più popolare, figlio prediletto. Di recente, persino i server dei vecchi capitoli sono stati spenti, e un timido tentativo di ripubblicare gratuitamente UT3 è stato cancellato, mettendo la parola "fine" in modo definitivo sulla saga.
L'eredità di un re decaduto
Che fine ha fatto, quindi, Unreal Tournament? La risposta è semplice, brutale e triste: è stato soppiantato. Soppiantato da un modello di business più redditizio, da un tipo di gioco che ha catturato l'immaginario collettivo in un modo che gli arena shooter non avrebbero mai potuto fare. Non c'è un colpevole, se non il mercato stesso e la natura dell'industria. Epic Games è un'azienda e ha seguito la strada che le garantiva un futuro roseo.
Oggi, il DNA di Unreal Tournament sopravvive nel suo motore grafico, l'Unreal Engine, che è diventato lo standard dell'industria videoludica e non solo. Ogni volta che giochiamo a un titolo che usa quella tecnologia, una piccola parte del lavoro fatto su Unreal e UT continua a esistere. E vive nel cuore di quella community che non ha mai smesso di amarlo, che ancora oggi popola i server privati e che ricorda con nostalgia i giorni dei "M-M-M-Monster Kill!".
A me, personalmente, manca da morire. Mi manca la sua purezza, la sua onestà. Non c'erano fronzoli, non c'erano scorciatoie. C'eravate solo voi, la vostra abilità, la vostra conoscenza della mappa e delle armi. Era una danza di morte e precisione, una scarica di adrenalina che pochi altri giochi hanno saputo regalarmi.
Forse, in un futuro diverso, in un'altra linea temporale, c'è un mondo in cui Epic Games è riuscita a far convivere il gigante Fortnite con il suo vecchio re. Ma non in questo. In questo mondo, Unreal Tournament riposa nel cimitero dei capolavori dimenticati, un monumento a un'epoca d'oro del gaming che, purtroppo, non tornerà più. E a noi, vecchi soldati dell'arena, non resta che il ricordo. E il suono, in lontananza, di un "Headshot!".
