Videogiocare ingrossa il cervello, ma non si diventa Einstein

Uno studio condotto sulle risonanze magnetiche dei cervelli di 150 adolescenti ha rivelato che i videogiocatori abituali hanno una parte di materia grigia che si evolve maggiormente rispetto a chi non gioca. Si tratta dello striato ventrale, che gioca un ruolo interessante nelle dipendenze comportamentali.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Giocare troppo modifica il cervello. È questa la conclusione dell'ennesimo studio sull'argomento, condotto in Belgio e Germania, basato sulle immagini delle risonanze magnetiche del cervello di oltre 150 ragazzini di 14 anni dediti ai videogiochi. 

Secondo gli studiosi la parte del cervello che evolve maggiormente è quella che gli specialisti chiamano striato ventrale, e nei giocatori abituali avrebbe un volume più elevato rispetto a chi non gioca.

Secondo uno studio videogiocare modifica la struttura celebrale

Lo studio è interessante in quanto è il primo che esamina il cervello e il suo volume in relazione alle sessioni di gioco. Osservando le immagini dei cervelli è emerso che trascorrere molto tempo con i videogiochi modifica la struttura cerebrale, e incide sulle aree del cervello che sono legate alla ricompensa. Per questo motivo gli scienziati ipotizzano che questi soggetti sono quelli che cercano di ottenere il massimo dal gioco, mentre chi gioca sporadicamente è meno accanito.

Simone Kuehn della Ghent University e Juergen Gallinat della Charite University hanno quindi scritto nelle loro conclusioni che "i risultati dimostrano che lo striato ventrale ha un ruolo significativo nell'uso eccessivo dei videogiochi e contribuisce alla comprensione della dipendenza comportamentale". Precedenti studi si erano basati invece sulla ricerca della dopamina, rilasciata nella stessa area del cervello e possibile imputato per la dipendenza da giochi, sia d'azzardo che elettronici.

L'area interessata è lo striato ventriale

A far sorgere qualche dubbio è uno dei punti fermi di questa ricerca. Medici e ricercatori di tutto il mondo stanno dibattendo da anni sulla definizione tra normale utilizzo di videogiochi e dipendenza (intesa come forma di disturbo mentale).

Gli studiosi dell'università di Ghent e di quella di Charitè di Berlino hanno stabilito arbitrariamente che l'uso medio settimanale dei videogiochi è di circa 12 ore a settimana, al di sopra delle quali si parla di dipendenza. I 150 adolescenti usati come cavie sono quindi stati suddivisi fra chi giocava meno di 12 ore e chi andava oltre.

È corretto fissare il limite a un periodo di tempo inferiore alle due ore al giorno? Se si parlasse di gioco d'azzardo quasi tutti sarebbero concordi su una risposta affermativa. Trattandosi di giochi al computer o alla console, e considerato il tempo libero degli adolescenti in età scolastica pare un po' esagerato.

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Inoltre c'è da chiedersi se sia corretto usare il numero di ore per definire una dipendenza, invece di valutare i cambiamenti comportamentali nel momento in cui si interrompe il gioco. Si può pensare a una dipendenza se si manifestano i sintomi di astinenza, o se piuttosto di non smettere di giocare si tende a saltare i pasti o a non voler uscire di casa. Se, al contrario, il soggetto riesce a stare una settimana senza giocare e manifestare problemi, l'ipotesi patologica potrebbe decadere.

In ogni caso la ricerca non ha dato nessun responso certo e definitivo, perché gli studiosi non sono riusciti a stabilire scientificamente se le differenze strutturali rilevate nel cervello dei giocatori erano causate dall'attività ludica o da qualsiasi altra abitudine. Henrietta Bowden-Jones della divisione neuroscienze dell'Imperial College di Londra ritiene che i risultati siano importanti perché ora i medici hanno un elemento in più per "colmare il divario" tra la dipendenza da videogiochi e le altre dipendenze, ma sottolinea come "il passo avanti più difficile sarà quello di riuscire a determinare se le differenze volumetriche del cervello sono la causa o l'effetto di un eccesso".

Dello stesso avviso è Luke Clark del dipartimento di Psicologia Sperimentale dell'Università di Cambridge, secondo cui "la domanda scottante è se la differenza evidenziata dalle risonanze è un cambiamento strutturale causato dal gioco frequente". Prima di poter dare un senso alla scoperta, quindi, c'è bisogno di "monitorare la struttura del cervello nel tempo".