A Hollywood sceneggiature e attori li sceglierà l'intelligenza artificiale

L'intelligenza artificiale è sempre più utilizzata anche nel mondo del cinema. A Hollywood ad esempio sempre più case di produzione si affidano agli algoritmi per scovare con sicurezza il prossimo blockbuster mondiale.

Avatar di Alessandro Crea

a cura di Alessandro Crea

Un'intelligenza artificiale può essere un produttore cinematografico migliore di un essere umano? A Hollywood ne sembrano convinti, vista la crescente influenza che l'industria del cinema statunitense sta riconoscendo a diverse aziende che promettono di identificare il prossimo blockbuster tramite i propri algoritmi.

Di aziende ce ne sono già diverse, dalla californiana Cinelytic alla belga ScriptBook, fino all'israeliana Vault. La prima, oltre a incrociare i dati cronologici relativi alle prestazioni dei singoli film con quelli su alcuni temi e aspetti chiave, consente ai propri clienti di giocare al FantaCinema: dopo aver inserito una sceneggiatura e un'ipotesi di cast infatti sarà possibile sostituirne ciascun membro con un altro attore, per vedere come possono variare le proiezioni al box office.

ScriptBook invece promette di riuscire a stabilire se un film sarà o meno un successo di cassetta esclusivamente analizzandone la sceneggiatura, mentre Vault sostiene di poter anticipare la composizione demografica del pubblico semplicemente analizzando il modo in cui i trailer vengono recepiti online.

Sebbene le aziende in questione siano restie a fornire numeri concreti riguardo alla reale efficienza dei propri algoritmi e gli studi scientifici indipendenti sull'argomento siano ancora piuttosto scarsi e frammentari, le major sembrano essere sempre più interessate all'argomento, tanto che lo scorso novembre la 20th Century Fox ha spiegato come impieghi già attualmente l'IA per rilevare la presenza di oggetti e scene in un trailer e quindi anticipare quale micro segmento di platea potrebbe trovare il film più attraente.

Nonostante la scarsità di dati però alcune cose sembrano già piuttosto evidenti: non serve certo un software supercostoso per comprendere che un titolo che possa contare sulla presenza di una super star incasserà sicuramente di più a parità di storia. Ma soprattutto, da un punto di vista strettamente tecnico, basandosi sull'analisi dei film che hanno funzionato in passato, gli algoritmi saranno portati a essere piuttosto conservativi nell'analisi e nelle decisioni, e non sono quindi ‎ in grado di prevedere i cambiamenti, culturali e di gusto, che si verificheranno in futuro.

C'è però un rischio più ampio e meno considerato in questo approccio, simile per certi versi a quanto accade per i siti e i dati disponibili sul Web attraverso Google. Utilizzare l'intelligenza artificiale per comprendere e forse anticipare i gusti del pubblico porta inevitabilmente a un appiattimento del gusto su quello della maggioranza, in un circolo vizioso in cui l'uno rafforza l'altro fino ad eliminare qualsiasi pluralità di sguardi e di preferenze.

Non sarebbe poi solo il pubblico a pagarne le conseguenze, ma anche la creatività in generale, perché riducendo tutto a formule matematiche certe si elimina l'apporto individuale e si evita l'emergere di nuove tendenze e punti di vista differenti. Chissà come sarebbe andata nel 1994 se l'intelligenza artificiale avessero analizzato la sceneggiatura di un film come Pulp Fiction, o se nel 1979 avessero fatto lo stesso con Alien e, nei decenni seguenti o precedenti con mille altri titoli che rompevano gli schemi, proponendo allo spettatore ciò che non aveva chiesto e non si aspettava. Le case produttrici forse sarebbero un po' più ricche, ma noi saremmo tutti più poveri.