Abuso di posizione dominante: Google nel mirino dell’AGCM italiana

L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana ha aperto un’istruttoria per valutare possibili violazioni della normativa europea sull'abuso di posizione dominante, da parte del colosso di Google: ci spiegano tutto i nostri consulenti legali.

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a cura di Redazione Diritto dell’Informatica

Google LLC sembra non trovare pace, e dopo l’istruttoria attivata dal dipartimento di giustizia statunitense per presunta concorrenza sleale, anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana
 ha aperto un’istruttoria per valutare possibili violazioni della normativa europea da parte del colosso del digitale. Google, peraltro, non è nuova a vicende di questo tipo ed richiamato varie volte l’attenzione delle autorità antitrust, soprattutto per quanto concerne il presunto abuso di posizione dominante
 che spesso le viene recriminato. Nel caso di specie, le contestazioni dell’autorità italiana riguardano l’abuso di posizione dominante, da parte di Google, nel display advertising italiano.

Ma proviamo a capire di cosa si tratta e quali questioni vengono sollevate nello specifico dall’AGCM nei confronti di Google.

Display advertising: cos’è e perché viene utilizzato da Google

Il display advertising è una delle forme più utilizzate di web marketing e forse quella più adattabile alle diverse esigenze di chi ne usufruisce. In pratica, questo servizio permette ad un soggetto di acquistare uno spazio su una o più pagine web che aderiscono ad una sorta di "circuito" di siti, allo scopo di utilizzare questi spazi per pubblicare i propri annunci pubblicitari. Una metodologia semplice e mirata, che tramite banner (immagini, video e testi) solleva l’attenzione di una fascia di utenti selezionata.

Il display advertising permette quindi di costruire una "campagna pubblicitaria" ad hoc per diversi target di utenti, indirizzando i vari annunci pubblicitari nei confronti di coloro che hanno mostrato, tramite ricerche e accessi a determinati siti web, una particolare prepensione o interesse verso specifici prodotti o servizi, cui si aggiunge l’utilizzo strategico dell’elemento grafico e visivo. Minimo sforzo: massima resa!

In particolare, si possono individuare diverse tipologie di "campagne display":

  • Campagne remarketing: se un utente, in precedenza, aveva visitato uno specifico sito web è possibile ripresentargli il medesimo brand, anche quando non è più sullo specifico sito web;
  • Targeting per interesse: la profilazione degli utenti avviene in questo caso in base agli interessi che emergono dalle loro attività in rete, con lo scopo di predisporre una pubblicità mirata sia in base agli interessi su lungo termine che su le intenzioni di acquisto future;
  • Targeting per argomento: gli annunci degli inserzionisti verranno inseriti in siti web che riguardano, lo stesso tipo di prodotto/servizio che si vuole pubblicizzare, rendendo l’insieme più armonioso e più appetibile per l’utente che lo visualizza.

L’efficacia delle strategie di marketing di questo tipo è testimoniata dal fatto che, solo in Italia, circa il 47% degli annunci a cui gli utenti hanno fatto accesso è stato fatto da persone che rientrano perfettamente nel target considerato.

Per compiere un’attività di questo tipo, per far sì che il servizio sia funzionale all’aumento della consapevolezza del brand e alla massimizzazione del ritorno economico, Google deve acquisire una quantità enorme di dati. E proprio su questo aspetto l’Autorità Garante ha rilevato una serie di possibili criticità.

Le contestazioni dell’AGCM nei confronti di Google e la normativa di riferimento

L’AGCM, autorità amministrativa indipendente italiana che ha il compito di tutelare la concorrenza e il mercato, ha aperto un’istruttoria nei confronti di Google per la sua presunta posizione anticoncorrenziale nel settore del digital advertising. La presunta violazione, infatti, sarebbe stata resa possibile dall’infinita mole di dati in suo possesso. In particolare, l’AGCM contesta una violazione dell’articolo 102 del TUE (Trattato dell’Unione Europea) da parte di Google.

La norma in questione rappresenta il pilastro su cui si fonda la legislazione antitrust europea e che definisce "incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo". Come corollario di questa norma cardine, nel panorama nazionale, possono essere citate la Direttiva 2014/104/UE, relativa alle norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati Membri e dell’Unione europea, recepita dall’Italia con il d.lgs 19 gennaio 2017, n.3 e la legge 10 ottobre 1990, n.287, che ricalca pedissequamente quanto contenuto nel TUE.  Ciò che, alla luce della normativa citata, l’AGCM contesta a Google, è "l’uso discriminatorio della mole di dati raccolti attraverso le proprie applicazioni, che impedisce ai concorrenti di competere in modo efficace", oltre al fatto che il perpetrare di queste condotte possa portare a "forti ricadute anche sui consumatori".

Oltre a ciò, la situazione è ovviamente amplificata anche dal contesto generale in cui si muove Google, avvantaggiato dalla fortissima diffusione del sistema operativo Android, insieme all’utilizzo del browser Google Chrome. Queste, e tante altre, sono le fonti da cui Google attinge l’enorme mole di dati da poter utilizzare ai fini di pubblicità mirata per i propri utenti.

Il quadro descritto diventa ancora più incisivo se si pensa che il settore del display advertising nel 2019, solo in Italia, vanta un fatturato pari a 1,2 miliardi di euro.

Da tutti questi elementi hanno avuto origine le verifiche dell’AGCM nei confronti di Google, ora impegnata in accertamenti ispettivi per raccogliere elementi utili ai fini delle indagini sul caso.

Il quadro sanzionatorio

Il regime sanzionatorio che regola l’abuso di posizione dominante si articola su più livelli.

Prima di tutto, la normativa di riferimento è rappresentata dal Regolamento (CE) 1/2003, che disciplina l’applicazione delle regole di concorrenza a livello europeo, affidando alla Commissione il compito di dare applicazione all’articolo 102 del TUE. In particolare, la Commissione:

  • può accertare, dopo una denuncia o d’ufficio, un’infrazione dell’articolo 102 TUE e conseguentemente obbligare, mediante decisione, le imprese coinvolte a porre fine all’infrazione costatata; può, a questo fine, imporre alle imprese in questione rimedi proporzionati all’infrazione commessa e idonei a far cessare la violazione;
  • può, in caso di particolare urgenza, adottare delle misure cautelari, se ritiene che vi sia un rischio grave e irreparabile per la concorrenza;
  • può comminare delle ammende, ai sensi dell’articolo 23 del regolamento 1/2003.

I ricorsi presentati avverso le decisioni della Commissione che hanno previsto sanzioni o penalità di mora saranno poi di competenza giurisdizionale della Corte di Giustizia Europea.

A livello interno, invece, le Autorità di controllo nazionali e il giudice sono tenuti all’applicazione dell’articolo 102 TUE quando la condotta di abuso di posizione dominante ha un impatto a livello comunitario. La normativa di riferimento in Italia è la legge 10 ottobre 1990, n. 287, la stessa che ha istituito l’Autorità Garante del commercio e del mercato e che deve comunque essere applicata rispettando i principi europei in materia di concorrenza. Alla luce del combinato di queste due normative, all’Autorità antitrust nazionale sono riconosciuti gli stessi poteri delle Commissione europea, quindi ordinare la cessazione di una violazione riscontrata, disporre misure cautelari e comminare ammende, penalità e ogni altro tipo di sanzione prevista dalla normativa nazionale. Nel caso in cui, quindi, ci sia una violazione dell’articolo 3 della legge 287/1990, e conseguentemente dell’articolo 102 TUE, l’Autorità italiana può direttamente infliggere delle sanzioni amministrative pecuniarie, il cui valore deve essere non inferiore all’1% e non superiore al 10% del fatturato delle imprese sanzionate.

La risposta di Google

La risposta di Google non si è fatta attendere ed è stato dichiarato che: "la pubblicità digitale aiuta le aziende a trovare clienti e supporta i siti web e i produttori di contenuti che le persone conoscono e apprezzano. I cambiamenti oggetto dell’indagine sono in parte misure per proteggere la privacy delle persone e rispondere ai requisiti del Gdpr. Continueremo a lavorare in modo costruttivo con le autorità italiane su questi aspetti importanti, in modo che tutti possano ottenere il massimo dall’uso di internet".

L’atteggiamento che si evince da questo comunicato sembra essere di collaborazione e dialogo da parte di Google. Sicuramente un approccio collaborativo può essere da aiuto sia all’Autorità sia alla stessa Google, al fine di chiarire più rapidamente e in modo definitivo se le violazioni ipotizzate abbiano fondamento o meno. Nei prossimi mesi, all’esito dell’istruttoria appena avviata, si avranno le prime risposte concrete sulla vicenda: nell’ipotesi peggiore per Google, questo potrebbe rappresentare un colpo pesante ai danni del colosso statunitense.