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a cura di Alberto Costantini

retrocult

Nota del curatore. Risale senz'altro a decine di migliaia di anni fa, il momento in cui abbiamo cominciato a raccontarci storie di spiriti, di anime vaganti, di fantasmi. Divinità, semidei, mostri, volontà fuori dal nostro controllo, azioni che si compiono da sole. Abbiamo inventato lo spirito e lo abbiamo messo nelle nostre Storie, quando avevamo appena cominciato a raccontarle.  

Più recentemente quelle storie abbiamo cominciato a scriverle, e in quel momento è iniziato qualcosa di diverso. Le storie restavano - e restano - sempre le stesse, ma qualcosa cambia, si evolve, si adatta. La scrittura stratifica la narrativa, permette al racconto di diventare ciclico e di rinnovarsi a ogni ciclo.

Così dallo spiritismo preistorico si salta alla Divina Commedia, magistralmente citata dal nostro nuovo autore Alberto Costantini. Poi Ariosto, non molto tempo dopo, pensa persino che la ragionevolezza possa essere una a cosa a sé stante, diversa dall'anima E così Astolfo si vede costretto ad andare sulla Luna a cercare il senno di Orlando.  

Con un'inevitabile crescita esponenziale il rapporto e la distanza tra anima e corpo è diventata un topos statuario. Nelle mani del Narratore diventa fondamenta della storia, microscopio per osservare il Personaggio. Dalla preistoria fino agli androidi di Blade Runner 2049 o Ex Machina, si dipana una ricerca che ancora non ci ha dato risposte. E forse non ce le darà mai, ma il viaggio finora è stato meraviglioso.

Valerio Porcu

La lezione di Dante

dante alighieri

Di solito, quando si giunge al trentatreesimo canto di Dante, ci si arriva sfibrati da un anno durissimo, in cui il povero studente ne ha viste di tutti i colori, dal rosso fiamma al nero fumo; per cui, approdati finalmente al conte Ugolino, si dice "bene, anche per quest'anno è fatta".

Peccato, perché nello stesso canto si trova un episodio interessante, un dialogo che s'intreccia nel Cocito, il lago ghiacciato che fa da fondo all'Inferno, e nel quale, come tanti sofficini Findus sono surgelati i traditori, precisamente nel settore dei traditori di ospiti, chiamato Tolomea. Qui Dante incontra frate Alberigo, diventato famoso ai suoi tempi per avere fatto entrare gli sgherri incaricati di assassinare i convitati con la parola d'ordine "portate la frutta", divenuta così proverbiale che, presentandosi al fiorentino, può dire semplicemente "I' son frate Alberigo; i' son quel da le frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo", ossia che paga salatissimo il suo peccato (il dattero era allora, a differenza del fico, un frutto pregiato).

Ma non è di frutta o di peccatori che vogliamo parlare in questa sede. Vedendo Alberigo, Dante rimane sorpreso: non gli risultava che fosse morto. Il dannato gli spiega che, quando un peccato tanto abominevole viene commesso, succede spesso che l'anima piombi immediatamente all'Inferno, mentre il corpo continua a sopravvivere per tutti i giorni che gli erano stati destinati al momento della nascita, condotto provvisoriamente da un diavolo. Dopo di che, a conferma delle sue parole, gli presenta il suo vicino, il genovese Branca Doria. Al che Dante si ribella: eh no! Caspita! Branca è vivo, lo so per certo: "Io credo", diss'io lui, "che tu m'inganni; ché Branca Doria non morì unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni".

Secondo Dante c'è sul nostro pianeta un corpo che agisce, si muove, parla, "e mangia e bee e dorme e veste panni" eppure non ha più l'anima, è solo un meccanismo semi-automatico, un robot programmato dalla terribile Giustizia di Dio per vivacchiare sino alla morte. La parte responsabile, razionale, l'anima, la coscienza, la personalità, chiamiamola come vogliamo, si scinde dal corpo mentre questo ancora vive, e il corpo si muove secondo dinamiche sue, quando l'anima è già al luogo destinato per scontare i peccati.

Nel brano dantesco, non si parla di trasformazione di un corpo in qualcos'altro, una metamorfosi alla Ovidio, per intendersi; Dante, sempre lui, in verità, si vanta di saper fare scambi migliori del suo modello. Si veda l'episodio dei ladri, che gli fa esclamare:

Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio;

ché se quello in serpente e quella in fonte

converte poetando, io non lo 'nvidio;

 ché due nature mai a fronte a fronte

non trasmutò sì ch'amendue le forme

a cambiar lor matera fosser pronte.

Qui la psiche dei personaggi, i ricordi, la loro identità, restano invariate, mentre sono i corpi a riplasmarsi, assumendo forme diverse: ad esempio, l'uomo e il rettile si abbracciano e si fondono in un unico ammasso, che poi si rescinde originando una serpe al posto dell'uomo, un uomo al posto della serpe. Come, fisicamente, tutto ciò possa avvenire, non è un problema che tocchi più di tanto il Sommo Poeta: in fondo, siamo all'Inferno, dove tutto può accadere.