Facebook e Google, la rivoluzione inizia dalle fake news?

Video violenti, razzismo, estremismo, fake news. Nessuna azienda vuole vedere i propri marchi associati a contenuti discutibili, e i grandi inserzionisti ora minacciano di tagliare gli investimenti se Google e Facebook non risolvono la situazione.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

"In quanto uno dei più grandi inserzionisti del mondo, non possiamo accettare un ambiente dove i nostri consumatori non si fidano di ciò che vedono online". A pronunciare questa frase è stato Keith Weed, direttore marketing di Unilever, e per rendere più concreta l'affermazione, ha ventilato la possibilità di tagliare i fondi a Facebook e Google.

Il punto della questione sono le notizie false, meglio note come fake news, ma anche quei contenuti che incitano all'odio e alla discriminazione. Un argomento che in Italia abbiamo riscoperto negli ultimi giorni, drammaticamente trasformato in strumento di campagna elettorale.

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"Non possiamo continuare", aggiunge Weed, "a sostenere una catena digitale - che porta oltre un quarto dei nostri annunci ai nostri consumatori - che a volte in termini di trasparenza è appena meglio di una palude". Unilever dunque "non investirà più in piattaforme o ambienti che non proteggono i nostri figli o che creano divisioni nella società, e promuovono rabbia o odio".

Joeppoulssen
Immagine: Joeppoulssen / Depositphotos

Come altre aziende prima di essa, Unilever non vuole vedere il proprio marchio associato a contenuti discutibili. Video che rappresentano violenza, che invitano all'odio, che veicolano informazioni false e così via. Negli ultimi mesi Google ha messo in atto una stretta sui video di YouTube, con un'operazione ora nota come adpocalypse. E ora, a quanto pare, Facebook dovrà fare lo stesso.

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A ben guardare in effetti il social network ha già cominciato, rivedendo gli algoritmi che regolano il News Feed (le notizie che vediamo quando apriamo Facebook) e la visibilità delle pagine pubbliche. Misure che, secondo Mark Zuckerberg, aiuteranno a "migliorare la qualità" dei contenuti. Prima di questo, Facebook aveva preso iniziative per controllare l'affidabilità delle fonti.

Ma come molti hanno già affermato, per fermare questi odiosi fenomeni l'unico modo efficace è colpirli dove fa male, vale a dire il portafogli. Finché inventarsi contenuti falsi o devianti farà guadagnare, la gente continuerà a farlo.

Ed ecco perché l'intervento di Keith Weed è rilevante: Unilever da sola ha investito quasi otto miliardi di euro in marketing nel 2017, ed è seconda dopo Procter & Gamble - società che ha già fatto dichiarazioni simili. Facebook e Google, da parte loro, raccolgono invece circa il 90% del mercato pubblicitario online mondiale.

Ora i due colossi del web sono (nuovamente) avvisati: se le misure intraprese non saranno adeguate dovranno inventarne altre, oppure rischiare di perdere la loro gallina dalle uova d'oro. Resta da vedere in che misura queste minacce potranno tradursi in realtà: Weed ha affermato la volontà di investire in "piattaforme responsabili, impegnate nel creare un impatto positivo sulla società".

Che sono parole bellissime, ma bisogna poi anche trovarle queste "piattaforme responsabili". Qualcuna esiste, ma nessuna che possa anche lontanamente avvicinarsi alla portata di Facebook e Google. Per questo alcuni analisti sentiti dal Guardian hanno ventilato la possibilità che gli investimenti più grandi restino in televisione, dove in effetti è molto più semplice per l'inserzionista scegliere quali contenuti sono accettabili oppure no.