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Facebook non è gratis, lucra sui nostri dati. La pronuncia del TAR del Lazio

Confermata una parte della sanzione elevata dall'AGCM a Facebook per pratica commerciale scorretta nel dicembre 2018. Altroconsumo esulta e chiede una class action per risarcire gli utenti.

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Avatar di Manolo De Agostini

a cura di Manolo De Agostini

Pubblicato il 11/01/2020 alle 09:19

Il TAR del Lazio ha confermato nella giornata di ieri una parte della sanzione a Facebook per pratica commerciale scorretta. Nel dicembre 2018 l’AGCM - Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – aveva multato l’azienda statunitense per presunte violazioni del Codice del consumo per un totale di 10 milioni di euro. La pronuncia conferma una delle due accuse, e quindi il social dovrà versare nelle casse dello Stato la metà della cifra, 5 milioni di euro.

L'autorità aveva infatti sanzionato Facebook per due condotte scorrette da 5 milioni ciascuna. La prima riguardava il claim "è gratis e lo sarà per sempre", ritenuto ingannevole perché induceva le persone a registrarsi senza che fossero adeguatamente informate all'atto della registrazione che il social avrebbe poi usato i loro dati personali per fini commerciali. Un problema insomma di scarsa trasparenza e abuso nell’uso dei dati personali.

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Facebook quindi è tenuta a rispettare gli obblighi di "chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore", si legge su La Repubblica.

Il TAR ha annullato la seconda sanzione, da altrettanti 5 milioni di euro. L’AGCM sosteneva che la piattaforma avesse esercitato "un indebito condizionamento" nei confronti dei suoi utenti, i cui dati sarebbero stati trasmessi a siti web e app di terzi senza consenso. Il TAR ha ritenuto che questa accusa non avesse fondamento, in quanto Facebook richiede il consenso.

Secondo Altroconsumo si tratta di “una decisione storica perché si mette nero su bianco che i dati personali hanno un valore economico e che Facebook non ha informato i suoi iscritti di questo e del modo in cui li ha utilizzati”. La pronuncia dice quindi ai giganti del Web che sono tenuti a informare i loro utenti in modo chiaro su cosa intendono fare con le informazioni che gli utenti condividono con loro.

Allo stesso tempo, la pronuncia ha riconosciuto che i dati personali possono "costituire un asset disponibile in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di controprestazione in senso tecnico di un contratto".

Ora non resta che aspettare la pronuncia del giudice sull'ammissibilità della class action avanzata da Altroconsumo, a cui hanno già aderito oltre 125mila persone. “Abbiamo richiesto un risarcimento di 285 euro per ogni utente e per ogni anno di iscrizione al social. Ma dopo questa decisione del Tar le nostre richieste sono ancora più fondate”.

L’Associazione dei consumatori ricorda in una sua nota che “a partire dal 2016 Facebook ha messo in piedi un vero e proprio sistema di monitoraggio autorizzato dei dati attraverso cui ha tenuto sotto controllo le attività di migliaia di ragazzi tra i 13 e i 35 anni”.

“Stando a quanto diffuso dal sito TechCrunch, è stato sufficiente installare l'app Facebook Research per permettere al social network di avere una panoramica piuttosto ampia sulle attività degli utenti online. Attraverso l'app il sistema riusciva a tenere sotto controllo tutte le piattaforme del gruppo (Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp) ma non solo: monitorava anche altre attività come la cronologia degli acquisti Amazon”.

“Abbiamo inviato una lettera a Facebook, per chiedere che venga fatta ulteriore chiarezza sulla vicenda. L'inchiesta di TechCrunch ha evidenziato che l'intento di tutta l'operazione era quello di migliorare l'offerta e studiare il comportamento degli utenti online. Un'attività che ha portato nelle tasche degli utenti circa 20 dollari al mese: segnale che per l'azienda i dati un valore lo hanno eccome. Lo stesso valore che reclamiamo con la nostra class action contro Facebook”.

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