Foxconn pensa a delocalizzare la produzione in Indonesia

Foxconn ha avviato trattative con le autorità indonesiane per la costruzione di nuovi impianti. Il costo del lavoro locale è nettamente inferiore rispetto a quello cinese: ecco profilarsi la nuova frontiera della produzione hi-tech.

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a cura di Dario D'Elia

Foxconn, il fornitore di Apple e della maggior parte dei colossi hi-tech, sta vagliando la possibilità di esternalizzare alcune produzioni in Indonesia. Al momento pare che siano in atto un'azione esplorativa e qualche primo confronto con gli esponenti politici locali. "Per ora non c'è un piano di investimento. Costruire una fabbrica da 10 miliardi o da 1 miliardo non rientra nei piani", ha dichiarato il portavoce del colosso cinese Simon Hsing.

Eppure la stampa orientale sostiene che la strategia del gruppo preveda un ampliamento della capacità produttiva extra-nazionale. Dopo l'apertura degli stabilimenti brasiliani e indiani ecco quindi l'opzione indonesiana - definibile per altro entro la fine dell'anno. Ovviamente sarebbero ben accolti dal Governo di Giacarta che non aspetta altro di offrire alla popolazione nuove opportunità di lavoro.

Salari alti in Foxconn?

L'aspetto ancora poco chiaro è quali siano i fini di questa operazione, perché se da una parte Hsing ha parlato di un diverso modello produttivo per soddisfare le esigenze locali, molti credono che possa trattarsi di una mossa per ridurre i costi su larga scala. Com'è risaputo in Cina la neo-sindacalizzazione e il miglioramento delle condizioni di lavoro stanno lentamente facendo crescere i salari e quindi il prezzo della manodopera. L'Indonesia è povera e ha 250 milioni di abitanti: le condizioni sembrano essere perfette per impiantare poli produttivi.

Secondo James Roy, analista di China Market Research Group, la Cina nei prossimi anni dovrà confrontarsi con un incremento percentuale (a doppia cifra) degli stipendi. Invece che opporsi a questa tendenza cercherà di sfruttare la manodopera low-cost del Sud-Est Asiatico e quella africana - dove è già in atto un baratto tra materie prime e opere civili.

"Questa potrebbe essere la prima mossa per capire come funziona la produzione in Indonesia, un test su piccola scala", ha sottolineato Roy. "Non escluderei la possibilità che questo diventi eventualmente qualcosa di più grande".

Di fronte a una notizia di tale portata c'è da domandarsi quale possa essere il destino dell'industria manifatturiera europea. La sensazione è che alcuni settori siano destinati a trasformarsi in strumenti di walfare: insomma, saranno tenuti in piedi artificialmente per non mandare la gente per strada o in pre-pensionamento. Alcuni distretti italiani sono già finiti, ma l'illusione non sembra essersi svelata a tutti. Intanto in Cina delocalizzano in Indonesia.