Grafene e boro nitruro per sostituire i microchip al silicio

Grafene e boro nitruro esagonale, secondo i ricercatori della Penn State, sono la risposta a chi vuole produrre chip al grafene su scala industriale, cioè in wafer di grandi dimensioni. L'obiettivo è sviluppare la tecnica fino a farla scalare in modo da raggiungere le necessità dei produttori.

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a cura di Manolo De Agostini

Un team di ricercatori dell'Università Penn State ha compiuto un nuovo importante passo nello sviluppo dell'elettronica al grafene, realizzando un transistor a effetto di campo (applicabile nell'elettronica ad alta frequenza e in dispositivi optoelettronici) avvalendosi di grafene e boro nitruro esagonale su wafer da 75 millimetri.

Il grafene, probabile sostituto del silicio grazie alle migliori proprietà elettroniche, finora non si è dimostrato semplice da imbrigliare per creare microchip, né tantomeno da consentire una produzione industriale in volumi.

Come molti di voi sapranno, i chip che si trovano nei prodotti di tutti i giorni nascono dai cosiddetti wafer, da cui vengono "tagliati" e per questo è importante trovare un modo efficace, stabile ed economico per consentirne la realizzazione in un numero di unità molto elevato.

La risposta a queste necessità forse arriva proprio dalla Penn State, dove i ricercatori si sono avvalsi di cosiddetti materiali a strati bidimensionali, nel caso specifico una combinazione di grafene e boro nitruro esagonale (hBN), per consentire al grafene di conservare le sue caratteristiche su scala "wafer", come le prestazioni dalle due alle tre volte maggiori rispetto ai transistor tradizionali al silicio.

Le ricerche di altri studiosi hanno dimostrato in passato che il boro nitruro esagonale, un composto sintetico di boro e azoto che è usato come lubrificante industriale e si trova in molti cosmetici, è un potenziale rimpiazzo del diossido di silicio e altri dielettrici ad alte prestazioni che finora non si sono integrati bene con il grafene.

Il boro nitruro esagonale ha una disposizione degli atomi simile a quella del grafene, e non a caso è anche detto "grafene bianco". Per consentirgli di operare correttamente in scala wafer - da circa 3 pollici a circa 12 pollici (da 75 a 300 mm) - i ricercatori della Penn State hanno applicato una tecnica sviluppata in laboratorio per produrre uno strato ampio, uniforme e ad alta qualità di grafene epitassiale adatto ad applicazioni in alta frequenza.

Il tutto è stato realizzato unendo atomi di idrogeno al grafene. Subito dopo il boro nitruro esagonale è stato fatto "crescere" su un substrato metallico di transizione usando la tecnologia della deposizione chimica da vapore, usata comunemente in fase di produzione.

Infine, l'hBN è stato rimosso dal substrato e impilato sopra il grafene su un wafer da 75 mm, segnando così la prima integrazione di grafene epitassiale e hBN in una scala compatibile con le necessità industriali.

Secondo Joshua Robinson, uno dei ricercatori, questa ricerca mostra una via potenziale per l'uso del grafene nell'elettronica. Nel prossimo futuro il team della Penn State spera di realizzare circuiti integrati e dispositivi ad alte prestazioni a base di grafene adatti alla produzione su scala industriale usando wafer da 100 mm. Da non dimenticare che l'industria dei microchip usa wafer da 300 mm e guarda a quelli a 450 mm.

"Ci serviamo della litografia standard, e questo è importante per la nanoproduzione", ha dichiarato Robinson sottolineando forse l'aspetto più importante del traguardo raggiunto: parliamo del contenimento dei costi, decisivo per aumentare l'effettivo interesse delle aziende a lavorare con sempre maggiore intensità sui dispositivi al grafene, anche se come abbiamo visto nei giorni scorsi molte sono già all'opera.