Il mondo della musica vuole più soldi da Google

Google e gli editori musicali sono ancora ai ferri corti. L'azienda californiana afferma di aver fatto un buon lavoro contro la pirateria e di aver creato con Youtube una nuova fonte di profitto. Per i discografici però non è abbastanza.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Ieri Google ha pubblicato un post sul proprio blog per evidenziare come Youtube sia in effetti una grande fonte di guadagno per le industrie del settore musicale, nonché un potente strumento, insieme a Google Play, per combattere la pirateria.

Era una risposta indiretta alle molte critiche rivolte all'azienda, più volte accusata di non fare abbastanza per ostacolare la circolazione di materiale illecito. Un tentativo che però non è andato a buon fine: secondo i discografici inglesi, infatti, Google resta "uno dei fattori chiave che rendono possibile la pirateria mondiale".

youtube contentid

Secondo una portavoce della BPI, associazione che rappresenta l'industria discografica britannica, il post di Google è infatti solo un tentativo di ripulirsi l'immagine pubblica – il termine inglese scelto è greenwashing, usato generalmente per indicare quelle comunicazioni aziendali che cercano di far apparire una società più ecosostenibile di quanto non sia veramente. Critiche anche dalla IFPI (International Federation of the Phonographic Industry), la Federazione Internazionale dell'Industria Discografica.

Il nocciolo della questione è il sistema ContentID, il cui obiettivo è riconoscere automaticamente se in un video c'è musica prodotta da copyright, e fare in modo che l'editore originale possa ricevere un compenso. Secondo Google funziona quasi perfettamente, ma per i discografici non riconosce la musica protetta fino al 40% delle volte.

Le accuse più reiterate vanno però al motore di ricerca, da sempre indicato come lo strumento principe per trovare musica, film e software piratati. Google sottolinea i propri sforzi e i risultati ottenuti, mentre editori e autori ricordano come sia ancora piuttosto facile trovare materiale illecito.

Mark Savage della BBC ci ricorda poi che queste dichiarazioni non arrivano in un momento qualsiasi, ma proprio in concomitanza per il rinnovo degli accordi tra Google e gli editori discografici.  Secondo questi ultimi "Youtube è un business costruito sulla musica, ma non paga un prezzo adeguato". Google, di contro, nega che il pubblico di Youtube sia soprattutto alla ricerca di musica, quindi ogni profitto generato è da considerarsi un bonus che si aggiunge ai guadagni "veri" generati da Spotify, Google Play e altri servizi simili.