La SIAE non è un carrozzone, intona il presidente Gino Paoli

Il Presidente SIAE Gino Paoli tenta di fare chiarezza sulla storia dell'equo compenso. Parla di diritto d'autore, ma qualcosa nei calcoli non torna.

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a cura di Dario D'Elia

"La SIAE non è un carrozzone", parole di Gino Paoli. No, non diventerà il tormentone musicale della prossima estate. Al massimo echeggerà sui social network per qualche giorno. Una meteora.

Il neo presidente SIAE Gino Paoli oggi, in un'intervista al Corriere della Sera, tenta di difendere quello che lui definisce una "un presidio di libertà per gli autori". Come a dire che cambierà la musica. Con lui in cabina di regia la SIAE diventerà un'altra cosa. Sarà, ma sulla storia del rincaro dell'equo compenso, nelle farmacie in questi giorni staranno registrando un'impennata delle richieste di antistaminico. Sì, proprio le pomatine per curare l'orticaria.

"La SIAE non è un carrozzone" 

Qualcuno ha detto equo compenso? "La definizione è importante. Questa situazione è complicata perché ci sono troppi equivoci. Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell'autore", ha puntualizzato il cantautore.

"Si tratta di un compenso in cambio della possibilità di effettuare una copia personale di registrazioni, tutelate dal diritto d’autore. Questo compenso, però, non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film. È previsto anche in Francia e Germania".

Ok, ma se la procedura di rimborso per i produttori è bizantina e loro ci marciano ricaricando direttamente sul consumatore finale, di chi è la colpa? Secondo Paoli bisogna puntare il dito sulle multinazionali. "Spesso non pagano nemmeno tutte le tasse in Italia e che di certo non producono qui. Mentre la Siae rappresenta un milione e mezzo di lavoratori, che paga le tasse in questo Paese. Dobbiamo ricordarci che l’industria culturale vale il 5% del nostro PIL", prosegue Paoli.

Ecco, SIAE non vuole che si parli di tassa, bensì "compenso". E questo dovrebbe essere in linea con gli altri mercati europei, come prevedeva l'aggiornamento del decreto che il Ministro per i Beni Culturali ha bloccato a dicembre. Ad analizzare le tabelle c'è da perdersi, anche perché non in tutto il resto d'Europa esiste il "balzello" e comunque viene applicato in modalità diversa.

Diciamo che da noi se domani sbarcasse sul mercato un frullatore con memoria integrata, sarebbe "equo compensato" pure quello. Il Ministro Bray non a caso ha parlato di indagine conoscitiva: davvero tutti i prodotti in lista sono usati dagli italiani per fare copie private?

"Il problema è mal posto. Noi stiamo rivedendo la tariffa. Il resto sono solo ipotesi. Potrebbero vendere di più, come di meno. Ma il punto è il diritto d'autore", conclude Paoli riferendosi alle aziende hi-tech.

Diritto d'autore. Si badi bene. Non SIAE. Che ha un debito da ripianare e fondamentalmente fa quadrare i conti grazie agli investimenti finanziari, come ha calcolato l'avvocato Guido Scorza. "La società, infatti – come già accaduto nel 2013 – ripianerà il buco di bilancio da inefficienza, proprio grazie alla propria inefficienza ovvero al ritmo con il quale distribuisce – e continuerà a distribuire – agli autori ed editori le somme incassate a titolo di diritto d’autore".

Senza fine…