Verso gli uomini bionici, installata una mano robotica di nuova generazione

La mano robotica è una protesi che restituisce al paziente una funzionalità molto simile a quella originale.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

È un nuovo passo verso l'uomo cibernetico quello compiuto dai medici svedesi, che hanno donato a una paziente un "impianto transradiale (sotto il gomito) stabile e permanente per il controllo di una mano robotica". Ce ne dà notizia la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha collaborato allo sviluppo della protesi è che da anni è all'avanguardia nello sviluppo di mani robotiche.

L'intervento ha permesso l'installazione di "impianti in titanio nelle due ossa dell’avambraccio della donna (radio e ulna)", spiega il comunicato stampa, "sfruttando la tecnica dell’osteointegrazione combinata alle interfacce muscolari. L’impianto potrà essere utilizzato nella vita di tutti i giorni e consentirà di controllare in modo naturale la mano robotica e di restituirne le percezioni sensoriali".

Un cambiamento profondo, dunque, per questa paziente e per tutti quelli che in futuro riceveranno protesi simili. È infatti possibile usare la mano artificiale quasi come quella originale, compreso il senso del tatto.

L'impianto infatti "funge da tramite tra lo scheletro e la mano robotica" sviluppata presso l'istituto toscano. La tecnica in questione permette di "superare i limiti delle protesi convenzionali", e permette movimenti più precisi e una manipolazione più fine. Ciò è possibile grazie a una combinazione di fattori: l'integrazione con la muscolatura e lo scheletro da una parte, un sistema cibernetico raffinato e un feedback sensoriale limitato dall'altra. Grazie ad elettrodi collegati ai nervi, infatti, il paziente può "sentire" il mondo circostante, quando afferra un oggetto o tocca un'altra persona.

La protesi transradiale sviluppata all’interno del progetto DeTOP apre nuovi scenari nello sviluppo di un impianto di fissaggio scheletrico perché prevede non solo una maggiore stabilità a lungo termine, ma anche un sensibile miglioramento delle funzionalità motorie e percettive dell’amputato grazie alla presenza di molti più muscoli da cui estrarre i comandi neurali.

Un risultato storico, ottenuto nell'ambito del progetto di ricerca europeo DeTOP (Dexterous Transradial Osseointegrated Prosthesis with neural control and sensory feedback), coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e finanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma Horizon 2020. Lo sviluppo finale dell'impianto è avvenuto in Svezia, presso l'azienda Integrum, in collaborazione con la Chalmers University of Technology. L'intervento invece ha avuto luogo presso lo Sahlgrenska University Hospital, in Svezia.

Il comunicato stampa della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, poi, ricorda che l'installazione di questa protesi è importante anche perché "si tratta della prima tecnologia utilizzabile nella vita di tutti i giorni, non solo all’interno di un laboratorio di ricerca". È innovativa, inoltre, la possibilità di lavorare sulle due ossa piccole del braccio - mentre si erano già ottenuti buoni risultati lavorando su impianti transomerali, cioè sopra al gomito.

Al momento la paziente sta eseguendo un programma di riabilitazione per recuperare la forza muscolare, e allo stesso tempo sta imparando a usare la protesi tramite la realtà virtuale. Altri due paziente, uno in Italia e l'altro in Svezia, sono in attesa dello stesso intervento. L'intervento italiano sarà eseguito presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma, in collaborazione conl’Istituto Ortopedico Rizzoli.

Le protesi robotiche sono solo la più recente tappa nella strada che iniziò Erasistrato nel terzo secolo a.e.v, quando volle inquadrare il corpo umano come macchina composta da diversi elementi, ognuno dei quali si poteva considerare separatamente. La medicina moderna, compresa la scienza delle protesi, è ancora basata almeno in parte sullo stesso concetto - che si è naturalmente evoluto e raffinato in 2.300 anni circa.