I dazi di Trump ostacolano la produzione del Tesla Cybercab

I dazi imposti dal Presidente americano ostacolano la produzione del Cybercab di Tesla per il mercato domestico. Cosa farà ora Musk?

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a cura di Tommaso Marcoli

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Il tumulto dei dazi trumpiani mette in crisi i piani produttivi di Tesla. L'azienda di Elon Musk ha dovuto rivedere completamente la strategia di approvvigionamento per due dei suoi modelli più attesi, il Cybercab e il Tesla Semi, a causa dell'escalation delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Secondo quanto rivelato da fonti interne, Tesla aveva pianificato di importare componenti cruciali dalla Cina per avviare la produzione di questi veicoli presso la Gigafactory in Texas e nel nuovo stabilimento in Nevada entro fine anno, con l'obiettivo di raggiungere la piena capacità produttiva nel 2026. Tuttavia, l'aumento esponenziale dei dazi doganali imposti dall'amministrazione Trump ha costretto l'azienda a sospendere questi piani.

La decisione di Tesla evidenzia come anche le aziende con elevati livelli di integrazione verticale non siano immuni dagli effetti dirompenti della guerra commerciale. Pur avendo costruito una catena di approvvigionamento relativamente autonoma rispetto ad altri costruttori automobilistici, Tesla dipende ancora in modo significativo da fornitori esteri. L'improvvisa impennata dei dazi al 145% rappresenta un colpo devastante per qualsiasi azienda manifatturiera che si appoggia a componenti cinesi. Secondo quanto riportato da Reuters, Tesla era inizialmente disposta ad assorbire i costi aggiuntivi quando Trump aveva imposto dazi del 34% sulle merci cinesi. La situazione è però radicalmente cambiata quando le tariffe hanno superato questa soglia, rendendo economicamente insostenibile proseguire con i piani di importazione. La fonte, che ha preferito rimanere anonima data la delicatezza della questione, ha confermato che i piani di spedizione sono stati sospesi indefinitamente.

L'impatto della politica commerciale trumpiana si estende oltre i confini americani. In risposta alle misure statunitensi, il governo cinese ha implementato contromisure tariffarie sui beni americani, costringendo Tesla a interrompere l'accettazione di nuovi ordini per i modelli Model S e Model X nel mercato cinese. Questo effetto a catena illustra come le guerre commerciali raramente producano vincitori chiari, creando invece danni collaterali su più fronti. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni azionisti Tesla, che vedevano nei dazi un potenziale vantaggio per l'azienda grazie alla sua integrazione verticale, la realtà si sta rivelando ben diversa. Sebbene Tesla possa vantare un livello di integrazione superiore rispetto ai concorrenti, questo vantaggio è relativo. L'azienda continua a dipendere da un numero significativo di componenti provenienti dall'estero, in particolare dal Messico (circa il 25% delle parti dei veicoli prodotti negli USA), ma anche dalla Cina.

Attualmente, i dazi sui componenti automobilistici provenienti da Canada e Messico sono temporaneamente sospesi nell'ambito dell'accordo USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement), ma Trump ha segnalato che questa situazione potrebbe cambiare. Per quanto riguarda i dazi sulla Cina, questi colpiscono principalmente il settore energetico di Tesla, che si basa su celle di batterie cinesi a basso costo, ma con un'aliquota del 145%, anche l'importazione di altri componenti diventa economicamente insostenibile.

Un futuro di adattamenti forzati

La difficoltà maggiore per Tesla e altre aziende manifatturiere non risiede solo nell'entità dei dazi, già di per sé problematica, ma nella loro imprevedibilità. L'approccio erratico di Trump, caratterizzato da continui cambiamenti di posizione ed eccezioni non sempre trasparenti, rende estremamente complessa qualsiasi pianificazione a lungo termine. Le aziende si trovano costrette a valutare costantemente scenari alternativi senza poter contare su un quadro normativo stabile.

Le opzioni per Tesla appaiono limitate: attendere un eventuale ammorbidimento della posizione di Trump sui dazi cinesi, tentare di ottenere un'esenzione attraverso l'influenza di Musk (che ha sostenuto la campagna elettorale di Trump con donazioni per 250 milioni di dollari), cercare fornitori in paesi non soggetti a tariffe punitive, o, come auspicato dai sostenitori dei dazi, riportare la produzione di questi componenti negli Stati Uniti.

Quest'ultima possibilità, pur allineandosi con la retorica del "Make America Great Again", appare la meno probabile nel breve termine. La rilocalizzazione della produzione richiederebbe infatti investimenti massicci e tempi lunghi, incompatibili con i piani di lancio dei nuovi modelli Tesla. Più verosimilmente, l'azienda cercherà fornitori alternativi in paesi non colpiti dai dazi, contribuendo a una riconfigurazione globale delle catene di approvvigionamento che potrebbe avere conseguenze durature sull'economia mondiale.

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