AIFOD (AI for Developing Countries Forum) è un'iniziativa globale pionieristica che colma il divario di accessibilità dell'intelligenza artificiale tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Nelle sale conferenze del Palazzo delle Nazioni Unite a Vienna, Fabrizio Degni, esperto del settore, ha parlato degli obiettivi dell'associazione nel contesto dell'IA globale, dove la tecnologia rischia di diventare una nuova forma di colonialismo.
L'iniziativa nasce dalla consapevolezza che i paesi in via di sviluppo rischiano di trovarsi "alla mercé" delle grandi potenze tecnologiche, principalmente statunitensi, che oggi controllano quasi interamente il panorama dell'intelligenza artificiale globale. OpenAI, Microsoft, Amazon e Google rappresentano infatti gli "hyperscaler" di questo settore, con un potere di influenza che si estende ben oltre i confini commerciali per toccare aspetti culturali, sociali e di governance.
Durante il summit viennese, durato tre giorni, otto panel tematici hanno affrontato diverse sfaccettature del problema. L'obiettivo dichiarato è sviluppare framework normativi e iniziative di governance che siano eticamente responsabili e universalmente agnostiche rispetto agli interessi commerciali delle singole nazioni o corporation.
"Molte volte si organizzano appuntamenti che nascono e muoiono sul momento. La difficoltà principale è portare fuori questi temi, che sembrano appartenere ad altri ma che invece possono influenzare il mondo di domani".
La filosofia Ubuntu contro l'individualismo tecnologico
"L'incontro è utile per pensare che quanto condiviso abbia una lascito concreto. Idee che possano impattare sugli sviluppi più vicini dell'IA, in quanto a leggi e codici" spiega Degni. "Alcuni dei contenuti che ho affrontato sono stati recepiti bene anche da altri speaker. Voler portare il benessere tecnologico verso Paesi che si trovano più indietro vuol dire adattare l'innovazione, evitando una sorta di livellamento culturale".
Uno degli interventi più significativi ha proposto un approccio radicalmente diverso nell'implementazione dell'IA nei paesi emergenti, basato sulla filosofia Ubuntu. "Non c'è un 'io' assoluto. Il mio essere vale se lo è anche per gli altri. Questo concetto, che può essere riassunto nell'espressione "io sono se noi siamo", ribalta completamente la prospettiva occidentale centrata sull'individuo".
La proposta prevede di presentare le tecnologie di intelligenza artificiale non come strumenti per il miglioramento delle performance individuali, ma come beneficio comune per l'intera comunità. Si tratta di una visione che contrasta con il marketing tipico delle IA occidentali, che promettono maggiore produttività personale, efficienza individuale e vantaggi competitivi singoli.
La filosofia Ubuntu applicata alla tecnologia implica ripensare completamente il modo in cui l'innovazione viene "esportata" nei paesi in via di sviluppo. Non si tratta più di trasferire semplicemente la tecnologia 'così com'è', creando dipendenza, "ma di dare più importanza alla comunità".
I costi nascosti dell'indipendenza tecnologica
Il dibattito però non ha evitato le questioni più spinose. Durante i panel è emerso con forza il tema dei costi reali dell'indipendenza tecnologica. Molti speaker hanno promosso l'adozione di piattaforme locali invece di soluzioni SaaS per implementare modelli di IA, sottolineando i vantaggi in termini di riduzione dei costi e protezione della privacy.
Tuttavia, sono state sollevate obiezioni significative sui costi occulti di questa strategia. "Quante aziende nei paesi in via di sviluppo dispongono realmente di dipartimenti specializzati in IA? Quanti data scientist, data engineer e specialisti nella gestione di modelli di intelligenza artificiale sono disponibili localmente?" dice Degni. La competenza tecnica necessaria per gestire autonomamente questi sistemi rappresenta un collo di bottiglia che spesso viene sottovalutato nelle presentazioni più ottimistiche.
La realtà è che l'implementazione locale richiede investimenti in hardware, licenze software, formazione del personale e monitoraggio continuo dei processi. Non ci si può improvvisare nell'IA aziendale, e la mancanza di preparazione può trasformare quello che sembrava un risparmio in un costoso fallimento.
L'evento viennese rappresenta comunque un tentativo importante di creare una cassa di risonanza per questi temi a livello globale. L'obiettivo non è limitarsi al classico incontro di condivisione di idee, ma generare un seguito concreto che possa influenzare policymaker e codificatori di leggi. I partecipanti continuano a mantenere vivo il dibattito attraverso social media come LinkedIn e canali di comunicazione diretta, nel tentativo di dare concretezza alle discussioni teoriche.
"La sfida rimane quella di bilanciare ideali etici e interessi economici, trovando modelli sostenibili che permettano ai paesi emergenti di beneficiare dell'intelligenza artificiale senza perdere la propria autonomia culturale e tecnologica". Riusciremo a trasformare i principi discussi nelle sale viennesi in azioni concrete e misurabili nel mondo reale?