A quanto pare nel mondo succede qualcosa di strano, e cioè che ci sono lavoratori che dicono di essere in ufficio ma in verità sono altrove.
Da dicembre però Microsoft Teams potrà rivelare se la persona è davvero in ufficio, sollevando il capo da dover controllare di persona. Sembra surreale eppure la nuova funzione di Teams sembra pensata proprio per questo e, dalle reazioni online, sembrerebbe che sia "altino" il numero di persone che dice di essere in ufficio ma in verità sta "facendo smart" altrove. Altri poi temono che sia un ulteriore strumento di controllo. Qualcosa che è apparentemente innocuo, ma che contribuisce a creare un sistema di sorveglianza indebito a cui dovremmo opporci.
Come funziona il rilevamento Wi-Fi
La funzionalità, in arrivo sui client Windows e macOS, è presentata da Microsoft come un modo per "ottimizzare la collaborazione", ma il suo impatto è chiaramente percepito nel campo del people management. L'elemento cruciale è il metodo di rilevamento: la piattaforma esegue una scansione diretta della rete Wi-Fi a cui il dispositivo è collegato.
Perché ciò avvenga, l'amministratore IT aziendale deve mappare le reti wireless degli uffici, registrando i loro SSID (il nome della rete) e, in particolare, i BSSID (l'identificativo unico del punto di accesso). Teams confronta il segnale di rete locale con questi identificativi registrati.
Se c'è una corrispondenza, l'utente è "In Ufficio"; in caso contrario, lo stato viene aggiornato a "Remoto". La compagnia sottolinea che il sistema è disattivato di default e richiede sia l'abilitazione degli amministratori che il consenso esplicito dell'utente.
La VPN può nascondere la posizione?
No, non funziona. Sebbene una VPN (Virtual Private Network) sia utile per crittografare la connessione e nascondere l'indirizzo IP esterno, essa opera a un livello che non impedisce all'applicazione Teams di leggere gli identificativi locali della rete Wi-Fi.
Il controllo si basa sull'identità fisica della rete (BSSID), non sul punto di uscita del traffico (IP). Di conseguenza, né una VPN personale né una VPN aziendale standard saranno sufficienti a ingannare il sistema, facendoti risultare connesso alla rete fisica dell'ufficio se in realtà sei altrove.
È bene ribadire che, fuori dall'ufficio, il sistema non traccia la posizione esatta (non è un GPS), ma stabilisce solo che non ti trovi in una delle sedi aziendali mappate.
Controllare va bene, senza essere retrogradi
L'introduzione di un controllo sulla presenza come questo da una parte è sacrosanto: se la richiesta è di essere in ufficio, è assolutamente sensato e legittimo assicurarsi che le persone ci siano veramente.
E, a ben guardare, è triste e miserevole trovarsi in un mondo dove è necessario questo tipo di controllo. Dovremmo tutti avere l'etica del lavoro minima per essere veramente in ufficio dopo aver detto che sia saremmo andati. Tuttavia è vero che anche se si chiede di essere in ufficio dovrebbe bastare un'occhiata del capo per sapere chi è fisicamente presente, e i sistemi di controllo digitali portano con loro sempre qualche complicazione.
Sicuramente noi preferiamo le soluzioni di smart working in ogni possibile situazione, tranne ovviamente dove il lavoro stesso vada svolto in loco (manifattura, ristorazione, eccetera ..). Proprio per questo, se la richiesta di tornare in ufficio non è giustificata da ragioni più che solide, in genere ci si trova nello scenario del capo medievale. Quel capo, cioè, che pretende il lavoro in ufficio perché sì ... perché tutto sommato gli mancano la cultura e la competenza per gestire veramente il lavoro, perché non si fida dei suoi collaboratori, perché non sa organizzare il lavoro per obiettivi e risultati.
Ma solo dove la leadership è in grado di misurare i risultati e gli obiettivi raggiunti, non le ore passate alla scrivania, il lavoro può dirsi veramente "smart". L'ostacolo principale è rappresentato da quei "capi medievali" che insistono su un modello gerarchico e visivo della produttività. Se la della leadership inizia e finisce nel vedere le persone sedute davanti al PC, si sta lavorando male.
Dunque, se si lavora bene e i lavoratori vanno in ufficio quando ci si aspetta che lo facciano, non ci saranno problemi dovuti alla novità di Microsoft Teams.
Preoccupazioni da prendere sul serio
Tuttavia alcune preoccupazioni possono avere senso e bisogna fare attenzione.
Questa mossa di Microsoft Teams, pur mirando all'efficienza, rischia di essere cooptata da manager impreparati. Come detto, va contro il principio di fiducia e autonomia che dovrebbe essere alla base del lavoro agile, un elemento essenziale, visto che lo smart working in Italia non funziona senza la giusta cultura manageriale.
Il dibattito sulla privacy si fonde con quello sul management: il timore è che si aggiunga un tassello a un sistema di sorveglianza indebita e che si ignori il quadro delle normative GDPR in Europa. Rilevare la posizione del lavoratore potrebbe portare a qualche grattacapo legale, anche se al momento sembra improbabile.
Continuare a investire in strumenti che monitorano la presenza anziché la performance non farà altro che aumentare il turnover e demotivare i dipendenti più competenti. Il rischio è che questa rincorsa al controllo saboti l'essenza stessa del lavoro agile, come abbiamo analizzato in lo Smart Working e i capi medievali, parte 2. La vera sfida per le aziende è resistere alla tentazione dell'iper-controllo e investire sulla maturità di gestione.