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Dipendenti contro ritorno in ufficio, è solo un licenziamento mascherato?

Starbucks impone il ritorno obbligatorio in ufficio sotto la nuova leadership: dipendenti segnalano un cambiamento culturale nell'azienda del caffè

Avatar di Valerio Porcu

a cura di Valerio Porcu

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 21/07/2025 alle 11:00

La notizia in un minuto

  • Il CEO di Starbucks Brian Niccol ha inaprito la politica di rientro in ufficio da 3 a 4 giorni obbligatori, scatenando proteste interne con volantini anonimi e tensioni tra i dipendenti della sede di Seattle
  • Chi non può trasferirsi a Seattle o Toronto riceve pacchetti di uscita volontaria fino a 100.000 dollari, mentre i dirigenti ottengono bonus azionari fino a 6 milioni se raggiungeranno gli obiettivi di riduzione costi
  • I dipendenti denunciano un allontanamento dalla filosofia "partner first" storica dell'azienda, temendo la perdita di competenze specializzate e un cambio culturale che contrasta con l'immagine pubblica di Starbucks

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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La decisione del CEO di Starbucks Brian Niccol di inasprire ulteriormente la politica di rientro in ufficio, passando da tre a quattro giorni obbligatori di presenza fisica, sta generando tensioni crescenti tra i dipendenti della sede centrale di Seattle. La misura, annunciata lunedì scorso, rappresenta l'ennesima stretta in una strategia aziendale che molti interni percepiscono come una deriva autoritaria rispetto ai valori storici dell'azienda. I malumori si sono già trasformati in azioni concrete di protesta, con volantini anonimi apparsi negli uffici e discussioni accese sui canali Slack interni.

La rivolta silenziosa negli ascensori di Seattle

Venerdì scorso, un volantino di protesta è apparso all'interno di un ascensore della sede centrale, firmato da un gruppo che si definisce "Partners for the Preservation of Starbucks Culture, Mission, and Values". Il documento, che riporta due foto di Niccol accompagnate da un elenco di rimostranze, denuncia apertamente la direzione intrapresa dalla nuova leadership. "Tornare a Starbucks non significa solo sedie comode, ma riguarda la nostra cultura, i valori, la missione e il modo in cui trattiamo le persone e l'ambiente", recita il testo. "Questa è la direzione sbagliata. Per favore, fermatevi".

Leggi anche: Lo smart working funziona. Il problema sono certi capi medievali

Le proteste non si limitano a questo singolo episodio. Secondo quanto riferito da un dipendente con oltre sette anni di esperienza nelle operazioni aziendali, altri volantini anonimi sono comparsi in vari punti dell'edificio, tutti accomunati dalle critiche ai cambiamenti promossi dal nuovo CEO.

L'ultimatum: ufficio o addio

Il messaggio di Niccol è stato inequivocabile: tornare in ufficio quattro giorni alla settimana o lasciare l'azienda. La direttiva ha colpito particolarmente i "people leader", manager responsabili di team, ai quali è stato completamente eliminato lo status di lavoro remoto. Chi non può o non vuole trasferirsi a Seattle o Toronto ha ricevuto pacchetti di uscita volontaria compresi tra 20.000 e 100.000 dollari, a seconda del ruolo ricoperto.

Tornare a Starbucks non significa solo sedie comode

La reazione dei dipendenti è stata immediata. Kristina Lawson, program manager con oltre 18 anni di servizio, ha pubblicamente annunciato su LinkedIn la sua intenzione di cercare nuove opportunità lavorative: "Mentre Starbucks sceglie di richiedere a tutti i responsabili di team di trasferirsi a Seattle, mi trovo nella posizione di dover considerare l'esplorazione di altre opportunità".

La cultura aziendale sotto esame

Quattro dipendenti della sede centrale hanno confidato le loro preoccupazioni riguardo a quello che percepiscono come un progressivo allontanamento dalla filosofia "partner first" che ha storicamente contraddistinto Starbucks. Un veterano dell'azienda con quasi vent'anni di servizio ha espresso il suo disagio: "Penso che per noi che siamo qui da tempo, stiamo assistendo a un cambiamento culturale nell'organizzazione dove la nostra faccia pubblica non corrisponde più necessariamente a quella privata".

Lo Smart Working e i capi medievali, parte 2

La preoccupazione non riguarda solo le politiche di lavoro, ma l'impatto che queste decisioni potrebbero avere sulle competenze aziendali. Come ha spiegato un dipendente di Seattle: "Ci sono alcuni partner remoti che possiedono conoscenze e competenze di nicchia che lasceranno enormi vuoti se decideranno di accettare il pagamento di uscita".

La strategia del ritorno forzato

La mossa di Starbucks si inserisce in un trend più ampio che sta attraversando il mondo aziendale americano, da Amazon a Zoom, con approcci differenziati che vanno dagli incentivi alle minacce dirette. Secondo alcune analisi, queste politiche di rientro forzato potrebbero nascondere l'obiettivo di spingere i dipendenti alle dimissioni volontarie, evitando così i costi delle buonuscite e dell'assistenza sanitaria tipici dei licenziamenti.

Niccol, arrivato da Chipotle lo scorso settembre, ha difeso la decisione affermando che "facciamo il nostro lavoro migliore quando siamo insieme. Condividiamo le idee più efficacemente, risolviamo creativamente i problemi difficili e ci muoviamo molto più velocemente". Il CEO ha anche riconosciuto che "la cultura aggiornata in ufficio potrebbe non funzionare per tutti", nell'ambito della sua iniziativa di rivitalizzazione "Back to Starbucks".

Bonus milionari e tagli ai costi

Mentre ai dipendenti viene chiesto di adattarsi o andarsene, i documenti depositati presso la Securities and Exchange Commission rivelano che Starbucks sta offrendo ai dirigenti di alto livello bonus azionari fino a 6 milioni di dollari se l'azienda raggiungerà i suoi obiettivi di riduzione dei costi entro la fine dell'anno fiscale 2027. Un contrasto che non è passato inosservato tra i dipendenti già provati dai licenziamenti di febbraio, quando 1.100 lavoratori della sede centrale hanno perso il posto.

Un portavoce dell'azienda ha precisato che il mandato di ritorno in ufficio mira a rafforzare la cultura aziendale, non a ridurre ulteriormente l'organico. Tuttavia, le preoccupazioni dei dipendenti suggeriscono che la distanza tra le intenzioni dichiarate e la percezione interna continua ad ampliarsi.

Fonte dell'articolo: www.businessinsider.com

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