Cancel culture e inclusività: come evitare la censura senza perdere la nostra sensibilità

La cancel culture è l'unica possibilità di rispettare diverse sensibilità?

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a cura di Manuel Enrico

Facciamo subito un disclaimer: questo non è un pezzo polemico. Per quanto possa sembrare un preambolo eccessivo, si tratta di una premessa necessaria, considerato che ci stiamo per addentrare all’interno di un argomento quanto mai spinoso e incredibilmente attuale negli ultimi giorni: la cancel culture. L’attualità ha associato questo termine a due recenti eventi, la censura del Gongoro nella Saga di Paperon de’ Paperoni e la riedizione edulcorata dei libri di Roal Dahl, ma è da tempo che siamo accompagnati da questa revisione culturale, che ha visto il suo apice nella decisione di eliminare Via col Vento dal palinsesto di Disney Plus, pellicola di rea di raccontare una storia dai connotati razzisti, data la presenza dello schiavismo. Con poca considerazione del fatto che la storia sia ambientata durante la Guerra di Secessione, che proprio sull’abolizione della schiavitù vedeva una delle sue cause principali.

Per quanto controverso, il principio della cancel culture è comprensibile, e rientra nella volontà di mostrare una maggior consapevolezza nei confronti di sensibilità differenti, che storicamente sono state soggette ad atteggiamenti che, per quanto socialmente specchio di un’epoca, si scontrano con una necessaria evoluzione sociale. Atteggiamenti un tempo di uso comune e frutto di una mentalità figlia del proprio tempo sono memorie storiche non sempre particolarmente felici, un triste ricordo che sarebbe sin troppo facile estirpare come segno di una maggior sensibilità, ma è davvero questa la strada giusta da seguire?

La cancel culture è l'unica possibilità di rispettare diverse sensibilità?

Se da un lato questa accortezza rappresenta un istinto lodevole, non si può negare che spesso assume i toni di una sin troppo facile damnatio memoriae che appare più una facile scappatoia a potenziali polemiche. Ne è un esempio il citato caso del Gongoro di Don Rosa, dove la scelta di The Walt Disney Company di eliminare questo personaggio, visto come una potenziale offesa alla sensibilità della popolazione di colore, mostra di esser più figlia di una preventiva difesa che non di una ragionata possibilità di rendere questo personaggio una figura chiave di un discorso più concreto, educativo. Il Gongoro di Don Rosa non è la caricatura dell’africano tribale da operetta, bensì parte di un’allegoria che coinvolge il papero più ricco del mondo in una disamina delle conseguenze del colonialismo scellerato, offrendo al lettore attento una disamina culturalmente rilevante ed educativa.

Anziché rimuovere da La Saga di Paperon de’ Paperoni questo personaggio spaventati da come la sua presenza potesse tramutarsi in una pietra dello scandalo, si sarebbe potuto seguire un diverso approccio, riproponendo l’amata saga cult di Don Rosa in una nuova edizione, corredata di contenuti redazionali che contestualizzassero il Gongoro e offrissero una chiave di lettura che si rivelasse educativa, specialmente per le nuove generazione. La decisione di nascondere potenziali criticità o di eseguire tagli draconiani ad opere della cultura popolare non è una strada per mostrare di avere raggiunto uno stadio sociale più maturo, ma anzi rischia di essere un salvifico oblio per le nostre mancanze passate.

Una tendenza all’autoassoluzione che rischia di rivelarsi estremamente dannosa. Se da un lato l’intento di mostrare maggior accortezza per determinate sensibilità si può tradurre in una tutela di quest’ultime nelle produzioni contemporanee, uno scellerato revisionismo storico rischia di minare parte del nostro passato culturale. È sin troppo facile salvare solo quello che appare in linea con i tempi moderni, non riconoscendo come le opere e gli autori che le compongono son figli del tempo cui appartengono, e come tali andrebbero interpretati, soprattutto nelle dissonanze rispetto alla nostra percezione della contemporaneità. Nel caso de La Saga di Paperon de’ Paperoni, sarebbe stato preferibile cogliere l’occasione della discussione sulla figura del Gongoro per proporre un’edizione aggiornata dell’opera di Rosa corredata di contenuti editoriali che andassero a inquadrare da un punto di vista storico-culturale la figura del Gongoro, evidenziando l’intento narrativo di Rosa e la sua critica all'ottica coloniale.

Se da un lato abbiamo assistito a cambi di terminologie innocui e anzi ben contestualizzati, come la sparizione in edizione recenti di opere classiche dell’odiosa N-word, dall’altro va riconosciuto che imporre delle revisioni drastiche si rivela un’occasione persa di trasformare una pecca dei tempi che furono in un momento di crescite del presente. Non dimenticando come opere storiche che oggi potrebbero sembrare lesive di certe sensibilità hanno concorso a portare alla luce criticità della loro contemporaneità, spingendo alla formazione di una coscienza critica collettiva.  Tagli impietosi, invece, potrebbero alimentare una spirale fuori controllo che rischia di rivelarsi un atto di fanatismo alimentato dalla cancel culture, portandoci a vedere l’ennesima vittima di questa ala riformatrice ovunque. Come dimenticare come in certi passaggi anche la narrativa di King può esser vista come una prosa da edulcorare da certi termini (certe parti di IT sono pericolosamente a rischio, pensandoci bene), eppure nel suo stile inconfondibile il romanziere americano utilizza questa terminologia sprezzante e fastidiosa proprio come strumento di connotazione dei propri personaggi. Privandoli di questa loro odiosa caratteristica, avrebbero ancora la stessa intensità? E non andiamo a guarda nel corpus letterario lovecraftiano, simbolo di una mai pienamente sviscerata discussione sulla necessità (o meno) di separare figura autoriale e personalità dell’autore.

Il caso più noto delle ultime ore, tuttavia,  è la pesante revisione dell’opera di Roal Dahl, ritenuto uno dei più influenti autori di letteratura per ragazzi. Il suo stile è da sempre considerato abbastanza caustico, con una tendenza al connotare i villain come epidermicamente repellenti, caratterizzati da peculiarità fisiche espressamente sgradevoli. Va riconosciuto che la critica di questo tratto tipico della produzione di Dahl non è certo nuovo, considerato che già in passato alcuni suoi testi, come la descrizione che veniva data della steghe nell’omonimo romanzo, era stata tacciata nemmeno troppo ingiustamente di misoginia:

Le streghe sono tutte donne.Non voglio parlar male delle donne. In genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto.

Potremmo ora evidenziare come Dahl fosse un autore cresciuto in una società ancora fortemente maschilista, ma questo suo tratto è comunque parte della sua narrativa, caratterizza la sua opera e andare a modificarlo sarebbe come privare la sua espressione di una componente che, per quanto sgradevole alla sensibilità attuale, ne è parte integrante. L’idea dell’editore britannico e della Roald Dahl Story Company di provvedere a una nuova pubblicazione  del corpus letterario del romanziere in cui sono modificati passaggi poco felici nell’ottica contemporanea può rappresentare un atto di rispetto per i lettori attuali, ma si tratta in alcuni casi di correzioni abbastanza pretestuose:

Cancellare la menzione di Kypling e Conrad per via della loro concezione colonialista, sostituendoli con due autori profondamente diversi per temi e stile, non toglie una caratteristica al personaggio che ci viene presentatao Nuovamente, anziché cedere alla cancel culture non era meglio inserire una componente editoriale in cui viene spiegata la natura della produzione di Dahl, mostrandone sia le lodevoli intuizioni fantastiche sia i limiti di uomo figlio di un altro tempo? Una definizione dell’opera che può spingersi nel mostrare come la società abbia fatto passi in avanti verso una maggior inclusività e consapevolezza delle diverse componenti del vivere civile.

Condividere e confrontarsi: una strada alternativa all'oblio

Ben venga l’introduzione di nuove figure professionali come i sensitivity reader, termine traducibile come “lettori per la sensibilità”. Nell’ottica di andare oltre certi limiti di mentalità precedenti e svolgendo anche un ruolo di educazione all’interno della cultura di massa, i sensitive reader possono evidenziare in opere di futura pubblicazione elementi che possono urtare sensibilità particolari. Oltre che al campo editoriale, questa consulenza andrebbe estesa anche ad altri settori (dal cinema al contesto videoludico), andando a condividere un ampio spettro di percezioni ed esperienze personali che possono rivelarsi essenziali nel proseguire un percorso di sensibilizzazione collettiva. Anche affidando a questi professionisti una cura nel recupero di opere datate e viziate da mancanze di tatto in ottica contemporanea, consentendo loro di evidenziare in approfondimenti il perché oggi non siano più accettabili certi termini o modi dire.

Come dicevamo in apertura, il confine tra cancel culture e rispetto dell’altrui sensibilità è un argomento complesso e spesso vittima di una lotta quasi ideologica. È difficile stabilire un punto fermo che separi l’oblio salvifico dalla rivendicazione di un sacrosanto diritto a vedere rispettata la propria sensibilità, ma quale potrebbe essere la soluzione a questa polemica? Il dialogo, sempre e comunque. Se è vero che si chiede di accettare le opere più datate come figlie di tempi diversi, dall’altro è anche lecito accogliere le voci di chi viene ancora oggi ferito da certi termini o descrizioni. Ideale è un confronto ragionato, una lettura condivisa e consapevole da ambo le parti, arrivando a creare nuove opere che siano finalmente figlie di tempi migliori ma anche accettare gli errori del passato. Senza nasconderli, senza ipocrisie, ma prendendole come tappe di un viaggio ancor lungi dall’esser concluso ma che ci sta aiutando a creare coscienze più consapevoli.