King Kong: la nascita del re di Skull Island

Il 2 marzo 1933 i cinema americani King Kong, il primo film con protagonista il gigantesco gorilla, divenuto un vero e proprio cult

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a cura di Manuel Enrico

Era il 2 marzo 1933 quando i cinema americani divennero il teatro della prima apparizione di una delle figure più note e amate della storia del cinema: King Kong. Sono passati decenni dalla leggendaria battaglia tra il gigantesco primate e i biplani in cima all’Empire State Building, ma il fascino di questo complesso personaggio si è ulteriormente sviluppato all’interno di numerosi remake e di incontri con altri celebri mostri del cinema, rendendo King Kong un’icona inconfondibile.

Ancora oggi, quando si pensa ai mostri del cinema King Kong viene annoverato tra le altre creature mitologiche cinematografiche, come Godzilla, con cui il titanico primate ha una relazione piuttosto stretta, che presto verrà rinverdita con un nuovo scontro all’interno del Monster Universe iniziato con Kong: Skull Island. Ma nulla di tutto questo avrebbe potuto avverarsi senza l’intuizione di Merian C. Cooper negli anni ’30 del secolo scorso, un colpo di genio frutto di una delle grandi caratteristiche dell’umanità: conoscere e domare l’ignoto.

La nascita di Kong

Nel 1931, Merian C. Cooper aveva deciso di realizzare un cortometraggio, Creation. La storia era liberamente ispirata da Il Mondo Perduto, romanzo del 1925 di Sir Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, in cui un gruppo di esploratori scopriva uno sperduto angolo della Terra in cui ancora vivevano i dinosauri. Creation venne realizzato in passo uno, una particolare tecnica che prevedeva l’uso di una cinepresa che consente all’operatore di imprimere sulla pellicola un fotogramma alla volta.

Questo primo esperimento di Cooper prese una nuova definizione dopo che questi conobbe W. Douglas Burden, esploratore del Museo Americano di Storia Naturale, che in uso recente viaggio in Asia aveva catturato un varano di Komodo, considerato ancora oggi il più grande rettile vivente. Il racconto dell’avventura di Burden ispirò Cooper, che iniziò a immaginare una storia simile, ma che al posto del varano avesse come protagonista un gigantesco gorilla. Sembra strano, oggi, che si potesse immaginare all’epoca di raccontare una simile avventura, ma negli anni ’30 del secolo scorso l’esplorazione della Terra era ben lungi dall’essere completata, e la figura dell’esploratore aveva ancora un grande fascino, veniva visto come un uomo che viveva incredibili avventure in nome della scoperta, arrivando a contatto con grandi meraviglie ancora sconosciute al consesso civile.

La scelta del gorilla come protagonista non fu casuale, ma era profondamente legata al passato di Cooper. Sin da bambino, Cooper aveva una certa predilezione per questi primati, ma fu solo anni dopo che l’idea di girare un film dedicato ai primati prese forma, quando durante le riprese di The Four Feathers in Africa, Cooper vide una famiglia di babbuini, ricordando la sua passione per questi animali. Nel viaggio di ritorno dal Continente Nero, Cooper iniziò a pensare a una storia con protagonista una gigantesca scimmia, immaginando uno scontro tra questa creatura imponente e degli aeroplani in cima all’Empire State Building. Ironia della sorte, Cooper aveva iniziato proprio dalla sequenza più famosa di King Kong il processo creativo che avrebbe portato alla nascita del suo cult.

Da questi spunti, Cooper iniziò a costruire la sua storia. Ad animare la sua fantasia era anche Creation, la sua precedente produzione, che considerava come un punto di partenza ideale per realizzare il suo film. Non a caso, quando Cooper presentò ai vertici della RKO la sua idea, proiettò Creation, a dimostrazione che realizzare il film con protagonista il colossale primate era possibile. Una scommessa che si rivelò vincente, visto che il produttore David Selznick si disse favorevole, al punto da commissionare a Cooper la realizzazione di una bobina di prova da utilizzare come presentazione per gli azionisti della RKO. Cooper incaricò quindi il regista designato, Ernest Shoedesack,  di realizzare una scena in cui Kong rovesciava un tronco d’albero, su cui stavano camminando degli esploratori. Quando alla RKO videro questa scena, gli azionisti rimasero sbalorditi e decisero immediatamente di finanziare il progetto di Cooper.

Senza perdere tempo, Cooper reclutò il romanziere Edgar Wallace, affinché lo aiutasse con la stesura della sceneggiatura. Un compito che Wallace terminò poco prima della morte, avvenuta durante la lavorazione di King Kong, motivo per cui non fu mai esattamente chiarito il suo ruolo della creazione e definizione dei tratti essenziali di Kong. Quello che però si può affermare con sicurezza, è che in queste prime fasi della lavorazione di Kong, la figura del primate era completamente diversa da come la intendiamo oggi.

Dare vita a King Kong

Se pensiamo al concetto di mostro, oggi identifichiamo queste figure da un punto di vista negativo, automaticamente le associamo all’orrore e a una gamma emozionale cupa e violenta. Nell’accezione latina del termine, monstrum indica un qualcosa di eccezionale, di straordinario, senza identificarne una valenza positiva o negativa. Ripensando alla nascita di Kong, scaturita dai racconti delle imprese esplorative di Burden, sembra evidente come lo stupore per la scoperta di creature così maestose come i varani portino a vedere nella genesi di Kong un’attinenza al significato latino di mostro. Il gigantesco scimmione, infatti, è un portento della natura, una creatura eccezionale che è un’emanazione della vita ferale della giungla.

L’intento di Cooper era proprio quello di ritrarre questi aspetti della sua creatura, anche evidenziando dei tratti di animalesca ferocia tipici di una belva. Non a caso, nella lavorazione del film vennero girate anche scene in cui emergeva questa sua natura spesso selvaggia, dove si vedeva Kong schiacciare sotto le sue zampe i nativi di Skull Island o infierire sugli esploratori, gettandoli verso morte certa. Un ritratto del bestione che non convinse particolarmente la RKO, che chiese a Cooper di tagliare queste scene, considerate troppo violente per il pubblico americano.

Questa versione edulcorata di King Kong è divenuta il ritratto del personaggio su cui generazioni di spettatori hanno costruito la propria percezione di questo monstrum. Privato di questo suo lato animalesco, Kong è quindi divenuto più facilmente avvicinabile dalla sensibilità degli spettatori, che sono riusciti a simpatizzare con quella creatura strappata dalla sua casa e costretta a diventare un’attrazione per la curiosità del cosiddetto mondo civile. In questo passaggio di censura, ironicamente, si è privato Kong del suo aspetto di monstrum, avvicinandolo al concetto di freak, una stranezza della natura che perde la sua aura di fascino per diventare un oggetto di morbosa curiosità dovuta alla sua stranezza rispetto ai canoni tradizionali.

Cooper, sin dall’inizio, intendeva dare alla propria creatura un aspetto che fosse l’incarnazione della forza della natura, che ispirasse un timore reverenziale. Si rivolse a Willis O’ Brien, un apprezzato animatore in stop motion, affinché realizzasse Kong. O’Brien voleva dare al primate un aspetto quasi umano, ma Cooper cassò subito queste sue idee, ribadendo la sua volontà di creare un animale feroce e possente. Motivo per cui O’Brien si vide recapitare le foto e le dimensioni di un gigantesco gorilla presenti negli archivi dell’American Museum of Natural History.

O’Brien seguì le indicazioni di Cooper per creare il mostro, utilizzando anche alcune delle peculiarità delle creature realizzate per il film muto The Dinosaur and the missing link. Il risultato fu il titanico primate che arrivò nei cinema nel 1933, il cui particolare verso, che doveva veicolare questa sua anima ferale, venne realizzato sovrapponendo il ruggito di un leone a quello di una tigre.

Creare un kolossal

La realizzazione di King Kong fu, per l’epoca, qualcosa di incredibile. L’intenzione di Cooper non era quella di creare un film capace di sorprendere il pubblico americano, ma che spingesse oltre ogni limite l’esperienza cinematografica del periodo, giocando con le limitazioni della censura e realizzando scene in cui la violenza della natura fosse la vera protagonista.

Un esempio era la celebre scena della tana dei ragni, durante la quale Kong scuoteva un tronco su cui avevano trovato rifugio dei marinai, facendoli cadere all’interno di un covo di giganteschi ragni. Durante una proiezione di prova, gli spettatori presenti rimasero scioccati da questa scena, qualcuno abbandonò addirittura la sala di proiezione profondamente disgustato. Questa reazione colpì profondamente Cooper, che decise di rimuovere questo passaggio, un taglio che portò alla perdita di questa scena, visto che non esiste materiale sopravvissuto che ne attesti l’esistenza. Si tratta di una sequenza entrata nel mito del cinema, che viene però recuperata nel remake di King Kong del 2005, girato da Peter Jackson.

Cooper, però, voleva a ogni costo mostrare la ferocia di Kong anche nel suo ambiente naturale, ossia Skull Island. L’idea iniziale era di far lottare il primate con dei varani di Komodo, non utilizzando dei modelli, ma mettendo degli animali veri all’interno di un set che riproducesse una versione in miniatura dell’isola. Cooper era già arrivato al punto di recuperare due esemplari dei rari rettili, quando la produzione lo fermò, imponendo di utilizzare dei modelli in stop motion, timorosi che girare delle scene con animali così particolari potesse rappresentare un problema in termini di sicurezza per le maestranze coinvolte. Grazie a questa decisione, che costrinse Cooper e la sua squadra a ingegnarsi per ottenere delle sequenze convincenti, King Kong oggi è celebrato come uno dei film che hanno segnato gli albori della nascita degli effetti speciali.

La creazione del modello dello scimmione fu una vera sfida. Dopo vari tentativi, venne realizzato da Willis O’ Brien e dallo scultore Marcel Delgado un modello di quasi mezzo metro, partendo da un telaio articolato metallico, su cui venne poi apposta della gomma per simulare la possente muscolatura, a cui venne poi incollata del pelo di coniglio bruno, con un risultato che non convinse mai pienamente Delgado:

“Mi diedero della pelliccia di un coniglio bruno per ricoprirlo, ma non ero assolutamente soddisfatto di questa soluzione perché sapevo che si sarebbero viste le impronte degli animatori”

Lo scontento Delgado realizzò anche due volti di Kong, uno dai tratti più allungati, utilizzato per le scene a Skull Island, e un secondo dalla forma più rotonda usato nelle altre scene. La prima versione realizzata da Delgado era stata costruita per girare la scena presentata agli azionisti RKO, ma venne nuovamente utilizzata per contenere i costi, nonostante Cooper la considerasse inadatta in quanto troppo simile a un volto umano, motivo per cui richiese a Delgado di realizzare la seconda versione.

Fu ben più complesso riuscire a dare al primate le giuste dimensioni. Nonostante il modello fosse sempre lo stesso, a causa della diversa scala con cui venivano realizzati i set, le dimensioni di Kong sembrano mutare spesso durante il film, tanto che nelle sequenze ambientate su Skull Islanda lo scimmione sembra essere alto circa 5 metri, mentre una volta arrivato a New York, al cospetto degli svettanti grattacieli della Grande Mela, Kong sembra essere alto sette metri. Con buona pace di Cooper, che aveva immaginato una creatura alta tra i dodici e i quindici metri.

Se è vero che King Kong deve gran parte del suo fascino alla tragica figura del gigantesco primate, questa sua valenza è esaltata dal contrasto con la controparte di King Kong: Ann Darrow, interpretata da Fay Wray. Il ruolo della donna nel film è centrale, la sua presenza è uno degli elementi catartici della storia, che ha dato vita a una particolare revisione dell’archetipo narrativo della bella e la bestia.

Per invogliare la Wray a interpretare il ruolo, Cooper le presentò l’idea in modo piuttosto colorito, come ricordò la stessa attrice:

“Quando Merian C. Cooper mi disse che come protagonista maschile del film avrei avuto l’attore più alto e scuro che ci fosse mai stato a Hollywood, pensai che si riferisse a Cary Grant…ma poi cominciò a illustrarmi l’idea di King Kong”

Entrare nel cast di Kong, fu per la Fray la svolta della sua carriera, che grazie a questo ruolo divenne una delle icone della Hollywood del periodo. Un riconoscimento meritato, considerato come l’attrice in più occasioni si trovò a recitare in condizione tutt’altro che sicure. Nella celebre scena in cui viene tenuta saldamente in mano da Kong, la Fray era sospesa a circa quattro metri da terra, ma i movimenti con cui interpretava la disperazione di Ann Darrow allentavano la presa del telaio meccanico nascosto sotto la mano del primate, che allargandosi rischiavano di farla cadere. In diverse occasioni, l’attrice dovette urlare al regista di sospendere le riprese perché stava davvero cadendo.

L’eredità di King Kong

L’uscita di King Kong al cinema fu un vero evento, un successo inatteso che spinse subito la RKO e Cooper a mettere in cantiere un seguito, Son of Kong, seguendo la moda del periodo, che prevedeva di dare vita a vere e proprie saghe per i personaggi di successo. Il riscontro positivo di King Kong fu tale che si pensarono anche altri progetti decisamente azzardati, come uno scontro tra il primate e un colossale mostro di Frankestein, uno scontro che avrebbe dovuto essere il fulcro di King Kong vs. Frankenstein, idea di Willis O’Brien, divenuta poi sotto la direzione di George Worthing Yagtes King Kong vs. Prometheus, ambizioso film che non vide mai la luce in quanto nessuno studio di Hollywood era pronto a scommettere sua un’idea così ardita.

King Kong divenne un vero e proprio cult, riscuotendo successo anche oltreoceano, tanto che la leggenda vuole che persino Adolf Hitler fosse un estimatore del colossale primate. Nonostante questa fama incredibile, non si salvò nemmeno una delle bobine della versione originale di King Kong. Per molte delle pellicole realizzate prima degli anni ’80 questa è una consuetudine, che diventa quasi la regola per film girati prima degli anni ’50. Condizioni di conservazione precarie, o distruzione degli originali per recuperare elementi preziosi come il nitrato di argento hanno portato alla perdita degli originali di cult come Metropolis.

Proprio come accaduto per il capolavoro di Fritz Lang, anche per King Kong si è riusciti a ricreare una versione simile a quella originale solo in tempi recenti, tramite un imponente lavoro di ricerca di pellicole salvatasi in diverse nazioni e digitalmente restaurate, dando vita alla versione che oggi possiamo vedere. Almeno sotto questo aspetto, l’eredità di King Kong è stata salvata, dopo esser stata messa a repentaglio per via di incredibili lotte legate ai diritti di sfruttamento del personaggio.

Battaglie legale iniziate già nei primi anni ’60, quando Cooper si oppose alla decisione della RKO di dare in licenza il personaggio alla nipponica Toho, intenzionata a realizzare King Kong vs. Godzilla, film che vide la luce con due finali, quello americano in cui trionfava il colossale primate e quello giapponese in cui la vittori andava al Re dei Kaiju. Al centro della disputa legale c’era l’assunto secondo cui Cooper aveva concesso alla RKO solo lo sfruttamento del personaggio per due film, King Kong e Son of Kong. Una causa che ebbe un seguito quando venne messo in piedi un remake negli anni ’70, che vide contrapporsi la Universal Pictures al produttore Dino De Laurentiis per decidere chi avesse il permesso a realizzare il remake di Kong da parte della RKO.

Più colorita, invece, la causa intentata da Universal Studios nei confronti della Nintendo, quando la popolare casa produttrice di videogiochi si vide citata con l’accusa di plagio, rivolta al suo Donkey Kong, visto dalla major hollywoodiana come una brutale copia di King Kong. Un’accusa che venne rigettare dal tribunale, grazie a un avvocato americano, John Kirby. Una vittoria legale che, vuole la leggenda, la Nintendo tributò al legale statunitense dando il suo nome a un personaggio divenuto parte integrante del mito della software, Kirby, per l’appunto, come raccontato anche nella docuserie Netflix High Score.

King Kong, spirito primordiale

Al netto di queste scaramucce legali, l’uscita di King Kong nelle sale americane nel 1933 divenne una delle pietre miliari della storia del cinema. Presentato come l’ottava meraviglia, Kong divenne immediatamente una delle figure più riconoscibili della storia di Hollywood, meritandosi ben presto l’appellativo di king, re, con cui divenne poi maggiormente noto.

Il successo di questo affascinante personaggio dipende, a ben vedere, proprio nella scelta della RKO di eliminare quell’aspetto di ferale violenza che Cooper avrebbe invece voluto valorizzare. Tolto il suo aspetto ferino, il possente primate diventa una vittima della scriteriata volontà umana di dominare e ridurre tutto sotto il proprio controllo, andando oltre limiti che andrebbero invece rispettati. Soprattutto, gli spettatori empatizzano con Kong dopo che vedono la crudeltà umana che intende rinchiuderlo in gabbia per il proprio diletto, schierandosi al suo fianco quando la bestia si libera e cerca di ritrovare l’unica umana con cui ha instaurato un legame affettivo, per trovare riparo in cima all’Empire State Building, ai suoi occhi così simile a quella montagna in cui viveva da ritenerlo un luogo sicuro. Quella di Kong è una tragedia, che culmina nel finale in cui il re di Skull Island giace morente tra le strade di New York, trovando un fato che Carl Denham impietosamente racchiude in una frase

“Non sono stati loro…E’ stata la bellezza che ha ucciso la Bestia”

Kong è divenuto un beniamino degli spettatori per la sua fine tragica, ucciso da un mondo che ne ha voluto imbrigliare lo spirito libero per il proprio diletto, causando la morte di un essere primordiale che era semplicemente in cerca di un’anima affine con cui lenire una sin troppo umana sensazione: la solitudine.

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