Oblivion Song: la fine del mondo è solo l'inizio

Oblivion Song: Kirkman racconta la fine del mondo, o forse un nuovo inizio?

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a cura di Manuel Enrico

Un uomo solitario si aggira per un mondo in cui tratti urbani familiari si integrano elementi alieni, evitando la mostruosa fauna locale, intento nella sua missione: dare la caccia ad altri esseri umani. Dotato di una strumentazione non riconoscibile, questo individuo si aggira furtivo sino a quando non incrocia due umani, in fuga da una minaccia non identificabile. L’uomo, appostata in cima a un rudere, prende la mira e spara ad entrambi. Ma questi, anziché morire, semplicemente svaniscono, seguiti poco dopo dal cacciatore. Inizia così Oblivion Song, fumetto di Skybound pubblicato in Italia da saldaPress, ennesimo parto della fervida mente di Robert Kirkman.

Come facilmente intuibile, dietro questo primo assaggio di Oblivion Song si nasconde una storia più complessa e articolata. Non potremmo aspettarci nulla di diverso da Kirkman, autore che nella sua carriera ci ha regalato, tra alti e bassi, comics del calibro di The Walking Dead e Invincible. Una mente fervida e che spazia su più generi, ma che con Oblivion Song torna a quello che lo stesso Kirkman ha battezzato ‘apocalypse adiacent’, un’apocalisse atipica, che si muove in una realtà in cui il lettore percepisce sia la pericolosità del momento che una sensazione di normalità apparente. Una sensazione che in Oblivion Song trova la sua migliore definizione.

Oblivion Song, il mondo dopo la catastrofe

Kirkman ha già offerto una sua interpretazione dell’apocalisse con The Walking Dead, ma questo suo cult moderno si affida a una radice narrativa oramai troppo usata, ossia gli zombie. Dai tempi di Romero, i morti viventi sono stati utilizzati a volte come critica sociale, altre come spunto di analisi interiore, rendendoli un concept abusato. Per Oblivion Song, Kirkman offre una diversa caratterizzazione della fine del mondo, la rende, seppure declinata in un contesto fantascientifico, molto più reale, rendendola l’eco di ferita che ancora oggi viene fortemente accusata dalla società americana: l’11 settembre.

Se torniamo alla tragedia del World Trade Center, possiamo intuire come questo evento catastrofico abbia sconvolto il tessuto sociale statunitense. Un attacco improvviso che ha demolito ogni sicurezza, uccidendo centinaia di persone e lasciando nei sopravvissuti una ferita che difficilmente verrà sanata. Più volte il mondo dell’entertainment ha dato voce a questa tragica presa di coscienza, affrontandola da diversi punti di vista. Oblivion Song vede in questo incubo una genesi, che nell’immaginario di Kirkman prende la forma della Trasposizione, un cataclismatico evento che ha spinto una vasta area di Philadelphia in un’altra dimensione, portando con sé tutti i cittadini presenti. In un istante, decine di persone sono semplicemente sparite, famiglie sono state spezzate e per i testimoni di questa tragedia il mondo non è più stato lo stesso.

Ma la Trasposizione ha lasciato ancora più segno in coloro che sono sopravvissuti. Uomini come Nathan Cole, che passa i successivi dieci anni a viaggiare tra la sua realtà e questa dimensione parallela, ribattezzata Oblivion, cercando di portare in salvo quante più persone possibile, sperando di trovare anche il fratello Ed, disperso durante la Trasposizione. Nel primo dei sei volumi che compongono Oblivion Song, Kirkman si concentra con particolare attenzione su questo aspetto emotivo, andando a creare una sorta di liturgia del dolore legata alla Trasposizione, che mostra una notevole similitudine con quanto abbiamo vissuto proprio nel post- 11 settembre. Non si tratta solo del trauma dei sopravvissuti, come Nathan, ma anche nel modo in cui viene socialmente affrontato questo dramma.

La presenza di un muro con incisi i nomi dei dispersi il giorno della Trasposizioni echeggia monumenti commemorativi reali, come il Vietnam Veterans Memorial. Kirkman offre una visione comune di dolore appellandosi a simboli concreti, li adatta alla sua storia mostrando quasi un percorso di elaborazione del lutto, che passa attraverso le diverse fasi. Nathan, pur riuscendo ancora a portare sopravvissuti a casa, non elabora la sua perdita personale, continua a scalfire il nome di coloro che salva eliminandoli dal triste elenco inciso in quel muro. Una manifestazione fisica del suo senso di colpa, come si legge nel secondo volume di Oblivion Song, condizione che introduce anche una sorta di espiazione per Nathan.

Kirkman non si limita a Nathan, ma introduce una serie di personaggi che incarnano altre suggestioni. Oltre alla sindrome del sopravvissuto, Kirkman sembra voler dare risalto a un altro dramma ben noto oltreoceano, il ritorno dei reduci (nuovamente, legato in particolare al conflitto in Vietnam). Ritornare dopo anni in Oblivion non è semplice, l’esser salvati comporta anche un ritorno a una normalità con cui non si ha più familiarità. L’altra dimensione, infatti, è ferale, una continua lotta per la sopravvivenza che cambia radicalmente la propria percezione dell’esistenza, portando a una separazione tra il prima e il dopo, tra la precedente vita e il presente. Tornare a casa significa convivere con i timori e le abitudini assunte a Oblivion, che portano a sviluppare comportamenti asociali o alla manifestazione di reazioni inconsce nate dalla permanenza nell’altra dimensione. Kirkman interpreta al meglio questi elementi, li introduce con precisione nel suo racconto e li rende ingranaggi centrali nel suo racconto.

Due mondi, un'unica umanità

Oblivion Song nasce quindi da una ferita reale, ma come nella migliore tradizione della narrativa sci-fi, si spinge oltre. Entrano in gioco altre dinamiche, dallo sfruttamento militare alla presenza di creature aliene, avvolgendo il lettore in un’avventura dinamica e avvincente, che si dipana per sei volumi, cinque dei quali già editi da saldaPress. Scontri con creature aliene si alternano a ben più umane tensioni, lasciando emergere un contesto emotivo credibile e con cui empatizzare, nonostante alcune scelte narrative che impongo salti temporali e successivi flashback a spiegazione che, in alcune parti, confondono più che mostrare la realtà degli eventi. Concessioni che si accordano comunque volentieri a Kirkman, che ci offre una storia dai ricchi risvolti emotivi.

Merito anche dell’ottimo lavoro di Lorenzo De Felici, che trasforma le intuizioni di Kirkman in disegno. Oblivion diventa un mondo selvaggio e emotivamente alieno, in cui il lettore lentamente trova una propria familiarità, complice una caratterizzazione precisa e costante, che facilita un processo di assimilazione di elementi peculiari. Che si tratti della strana vegetazione o della morfologia delle creature che lo abitano, Oblivion, dipinto da Nathan e da alcuni sopravvissuti come un luogo di orrore, viene invece ritratto come una dimensione pericolosa ma anche ricca di fascino. Grazie alla felice sintesi visiva di De Felici, Oblivion Song gode di una dicotomia che contrappone Philadelphia e Oblivion non solo sul piano prettamente visivo, ma anche su quello emotivo. Le line squadrate del conteste urbano di Philadelphia sono l’opposto della sinuosità e morbidezza degli ambienti di Oblivion, una distinzione netta che viene ulteriormente dalla colorazione di Annalisa Leoni, che privilegia le tinte calde per Oblivion lasciando emergere i lati meno nobili della dimensione ‘normale’ con una colorazione più fredda.

L’altra dimensione diventa, anche visivamente, metafora di un’altra umanità, vicina all’ideale del buon selvaggio, in cui le preoccupazioni della vita moderna lasciano spazio a una vita più semplice e scandita dall’interazione con l’ambiente circostante, una definizione perfettamente rappresentata dalla comunità di sopravvissuti guidata dal fratello di Nathan, Ed. In Oblivion Song dobbiamo guardare agli eventi che avvengono a Philadelphia per vedere emergere la natura meno gradevole dell’umanità, una caratteristica che viene enfatizzata dagli atteggiamenti degli umani di Oblivion, che mostrano di avere reso la loro permanenza in questa realtà amena una seconda occasione, una possibilità di vivere con armonia e privi delle meccaniche spesso disumanizzanti patite nel cosiddetto mondo civilizzato.

Leggere Oblivion Song, una volta indagato sotto la struttura narrativa sci-fi, si rivela un’esperienza appagante soprattutto sul lato umano. La contrapposizione tra civiltà urbana e sopravvivenza in Oblivion diventa un’analisi sociale, un’indagine nell’animo umano che, nell’avanzare della storia, di estende anche alla presenza di vita aliena, con cui gli umani dovranno confrontarsi, in uno scontro che non si fonda su una meccanica monolitica, ma che si apre a sfumature e percezioni differenti. Con Oblivion Song, Kirkman si dimostra un creatore di mondi di livello, capace di coprire alcune piccole mancanze, come la creazione di dialoghi a volte poco credibili, con una valorizzazione emotiva che avvolge il lettore, coinvolgendolo in una fine del mondo avventurosa e incredibilmente affascinante.