Pistol, recensione: storia di una generazione dimenticata e distruttiva

Pistol: tutte le rabbiose motivazioni di una delle band più irriverenti di sempre, i Sex Pistols, raccontate nella serie Disney Plus.

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a cura di Nicholas Massa

“There's no future” cantavano i Sex Pistols, urlando a gran voce un sentore comune che asfissiava non soltanto la classe operaia londinese dell’epoca, ma un’intera generazione di persone che si ritrovò lungo le strade alla ricerca di risposte, motivate da una rabbia perfettamente coerente con un periodo storico ancora oggi parecchio discusso. Con questa band l’idea stessa di musica viene vertiginosamente rimodellato in relazione a un messaggio, a una sorta d’impegno sociale che si fa voce e violenza senza alcun freno. La totale irriverenza delle parole e della tecnica di esecuzione in esatta opposizione a un mondo che ha sempre cercato di omologare l’individualità dell’essere umano. Un “progetto”, un’idea che si concretizza partendo proprio dalle realtà personali dei singoli membri per poi irradiarsi non soltanto nella storia della musica, ma nella cultura di massa, raggiungendo un’immortalità estremamente scomoda, soprattutto all’epoca. Tutto ciò tornerà, più prorompente che mai nella serie tv Pistol, in arrivo su Disney Plus dall’8 settembre.

A rendere grandi i Sex Pistols non sono state soltanto le loro canzoni, ma tutti quegli atteggiamenti e storie intorno alla loro leggendaria immagine, una sorta di b(r)and irriverente e anticonformista distintosi per il modo in cui ha saputo interpretare un periodo storico preciso non soltanto per gli inglesi, ma per tutto l’occidente, incarnandone tutte le problematiche, la rabbia e soprattutto il carattere. Tratta da Lonely Boy: Tales from a Sex Pistol, libro di memorie scritto da Steve Jones, la serie sviluppa tutto il suo potenziale non soltanto affrontando le dinamiche più conosciute intorno alla band, ma andando oltre le storie più famose, intessendo un vero e proprio affresco umano che si fa voce e anche resoconto storico, in un certo qual modo.

Pistol: la generazione senza futuro il cui unico scopo era distruggere

Per parlare adeguatamente di Pistol è necessario contestualizzare un minimo il periodo storico in cui si ambientano i fatti della serie, e le reali origini della band omonima. Siamo negli anni ’70, nella cosiddetta Inghilterra post-bellica, una nazione che a stento riesce a tenersi in equilibrio su una china in direzione di un progressivo decadimento generale. Le motivazioni che hanno condotto e stanno conducendo a tutto ciò sono molteplici: la progressiva scomparsa del precedente impero coloniale britannico, con una prima e conseguente chiusura dell’isola cui seguirà una progressiva rielaborazione delle proprie possibilità economiche e culturali e gli altissimi tassi di disoccupazione con un aumento dell’inflazione incidono direttamente sulla vita dei giovani della working class inglese. Questi sviluppi si proiettano direttamente sulla vita delle nuove generazioni, sempre più vicine a un futuro estremamente precario e senza alcuna certezza di benessere

Lo specchio di questa situazione lo troviamo perfettamente riportato in Pistol, raffigurando una società inglese nettamente scissa in due dimensioni distinte. Da una parte quelle persone strettamente legate alla fatiscente tradizione britannica, austeramente connessa a una visione vittoriana parecchio anacronistica, e dall’altra questi giovani anarchici pronti a rispondere rabbiosamente a tutta la disciplina e all’ordine tanto decantato dall’altro lato.

Una risposta netta venne sia dagli scioperi che dalla musica dell’epoca. Una generazione che cercava quindi una sua identità, con l’obiettivo non soltanto di essere ascoltati dalle precedenti sorde alle attitudini del presente, ma di cambiare qualcosa nel grigiore della loro esistenza, mettendo in discussione tutto quello che genitori e parenti avevano cercato d’insegnare loro fino a quel momento. Una presa di posizione generazionale, quindi, non una moda o un attitudine, ma un vero e proprio impegno sociale veicolato dallo stile, dalla musica, dall’arte e dall’impegno politico alla base di ogni scelta e ribellione. Ecco che le condizioni miserabili dei quartieri peggiori di Londra si trasformarono ben presto nel simbolo di qualcosa, in un vero e proprio immaginario collettivo cui tutti appartenevano, risultato degli errori delle precedenti generazioni e di coloro al potere. Il monito di un presente che si è stancato di abbassare semplicemente la testa e andare avanti.

"We are not into music, we are into chaos"

Una voce rauca e sregolata, insieme a quella di altri gruppi leggendari, provenne dai Sex Pistols. Nel 1975 vediamo la nascita di questa band e il suo immediato distinguersi all’interno del panorama musicale dell'epoca. Le origini del gruppo però vanno ricercate qualche anno prima, anche perché l’iniziale formazione dei Pistol era composta da Steve Jones, Paul Cook, Wally Nightingale e Jim Mackin, prendendo il nome di Strand.

Tutto cambia quando all’orizzonte di questi giovani si erge la boutique denominata Sex, strettamente legata alla cosiddetta anti-moda, fatta di vestiti strappati e tagliati, rielaborati in perfetta contraddizione ai classici stilemi stilistici dell’epoca, per poi specializzarsi nello stile fetish e bondage, tratto distintivo dei fan della band. Al centro del posto c’erano Malcolm McLaren (primo manager dei New York Dolls e poi dei Sex Pistols) e la moglie Vivienne Westwood. Fu proprio Malcolm il primo a vedere qualcosa in questi ragazzi, investendo su di loro (anche se in modo non troppo chiaro), lanciandoli nel mondo della musica dell’epoca.

La carriera di questa band quindi trova le sue origini proprio da qui, e Pistol affronta tutto ciò chiaramente, cercando di attingere sia dai ricordi che dalle testimonianze dirette del passato. Che si tratti della boutique Sex o dell’ingresso di Johnny Rotten (lo chiamavano “rotten” a causa dei suoi denti marci) e di Sid Vicious, di episodio in episodio assistiamo non soltanto alla nascita di un gruppo di musicisti che funziona, ma a una vera e propria voce che si insidia lentamente nell’immaginario culturale dell’epoca, risultando perfettamente coerente con quanto stava accadendo negli anni ’70. I Sex Pistols, infatti, non si sono mai distinti per la loro tecnica, piuttosto per quello che cantavano e per il modo in cui lo facevano.

Il caos e il pandemonio erano il loro pane quotidiano, tanto che durante la loro carriera vennero più volte banditi o esclusi sia dai posti più frequentati dagli artisti dell’epoca, che dagli eventi più rinomati inglesi. Il loro essere “extremely loud” non era soltanto qualcosa da ricollegare alla loro musica a tutto volume, curiosamente ogni volta che si esibivano succedeva sempre qualcosa, una miccia si accendeva e la situazione perdeva ogni suo controllo, con risse e casino a non finire.

Il loro essere punk non si limitava ai vestiti che indossavano e ai testi estremamente sboccati e diretti verso una generazione tanto arrabbiata quanto loro, ma a un vero e proprio stile generale che non abbandonavano mai. Molti sono stati gli incidenti legati questa band, come quando imprecarono in televisione durante il programma di Bill Groundy, o quando suonarono la leggendaria God Save the Queen su una barca, lungo il Tamigi, durante il Giubileo per i 25 anni di regno della regina Elisabetta II.

Questo genere di scelte vennero continuamente interpretate come attacchi sia al sistema monarchico inglese che al sistema in generale, provocando una grande inimicizia verso la band, soprattutto dalle istituzioni dell’epoca, generando continua carne fresca da dare in pasto al giornalismo inglese scandalistico che andò letteralmente a nozze con tutto ciò, alimentando ancora di più la loro immagine di bad boys.

 

I Sex Pistols vendevano ed erano oltraggiosi, oltre ai giornali i fan aumentarono sempre di più. Nella serie Pistol tutto ciò viene affrontato cercando non soltanto di descrivere la band seguendone le gesta, ma approfondendone di continuo le realtà personali e intime. Questo contestualizzare risulta uno dei tratti più autentici e sinceri della serie stessa, trasponendo la storia non soltanto di alcune leggende del punk, ma quella di alcuni ragazzi estremamente problematici, prodotto di una società e di un periodo storico che è salito sul palco direttamente con loro.

Nei 6 episodi di cui è composta Pistol, quindi, si parla di questi giovani uomini e della band, ma anche delle storie leggendarie intorno alla loro reputazione, dei posti in cui hanno vissuto, della famosissima Denmark Street e dei vari eventi che i fan odierni avrebbero amato follemente vedere dal vivo. Per non parlare di tutte le dinamiche dietro al loro album Never Mind the Bullocks Here's Sex Pistols (Never Mind the Bullocks Here's Sex Pistols è attualmente acquistabile su Amazon), con quel punk rock che si è lasciato alle spalle una vera e propria eredità diretta in ambito musicale.

Un palcoscenico pieno di gente

Malcolm, il loro manager, era partito proprio dai membri stessi e dalle loro storie per costruire l’immagine e la percezione della band. Con questi ragazzi e la loro musica lui avrebbe voluto fare una sorta di rivoluzione sociale originatasi dal basso, dalla polvere di una società inglese che se ne infischiava di dare alle nuove generazioni delle possibilità concrete, rilegandoli in una realtà sociale che di lì a poco sarebbe comunque esplosa in qualche altra maniera.

Il merito più grande dei Sex Pistols e della serie Pistol stessa è quello di ricordarci il valore del singolo individuo e delle sua voce, anche quando tutto sembra irraggiungibile e chiuso, distante. Non si sta parlando soltanto della storia di alcuni ragazzi che hanno smosso qualcosa, ma di un vero e proprio messaggio generazionale che in qualche modo potrebbe essere anche vicino ai nostri di tempi.

Dalla musica, quindi, tutta una serie di risposte che, nel tempo, hanno manifestato lo stesso identico disprezzo per la cultura di massa e l’omologazione sociale attraverso risposte personali come, per esempio, il film di Derek Jarman del ’78 Jubilee, strettamente legato al raccontare la sottocultura punk dell’epoca attraverso una narrazione per immagini che si fa testimonianza diretta, attraverso i volti e le parole di coloro che hanno davvero vissuto tutto ciò.

 

Quello che resta dal lavoro dei Sex Pistols è una grande influenza sia sul panorama culturale successivo che musicale, seguendo tutta una serie di elementi ricorrenti che non sono mai stati imprescindibili, semplicemente punti in comune generazionali, e una particolare lettura delle possibilità espressive della musica e dell’arte, in perfetta contrapposizione con un sistema che tende ad azzittire, a censurare e a tranquillizzare. Bisognerà sempre avere il coraggio di prendere in mano un microfono, pennello, penna, telecamera, per rispondere a dei soprusi che nel tempo non sono mai del tutto svaniti.

Partendo quindi dalla scrittura di Craig Pierce, la serie cerca il più possibile di riprodurre fedelmente quella che era l'atmosfera di quegli anni (le scenografie sono state costruire da Kave Quinn, con ispirazioni dal documentario The Filth and the Fury di Julien Temple, e dal lavoro di Andrew Marr con The Making of Modern Britain). Nel cast troviamo: Toby Wallace, Anson Boon, Jacob Slater, Christian Lees, Louis Partridge, Sydney Chandler, Thomas Brodie-Sangster e Talulah Riley.

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