Punto di non ritorno: l'inferno tra le stelle

Punto di non ritorno: venticinque anni del cult dove horror e sci-fi si intrecciano

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a cura di Manuel Enrico

Un’astronave considerata dispersa nelle insidie dell’iperspazio riemerge dopo anni, attirando una missione di recupero che spera di risolvere finalmente uno dei grandi misteri dell’esplorazione spaziale. Quello che sembra un incipit da film sci-fi tradizionale, tuttavia, viene stravolta dal visionario talento di Paul W.S. Anderson, che nel 1997 trasforma questo tradizionale espediente narrativo tipico della fantascienza in un racconto horror che piega l’elemento sci-fi a una narrazione gore e allucinante. Punto di non ritorno (Event Horizon) oggi viene ricordato con alterne opinioni, tra chi lo considera un film simbolo di un’era complessa della cinematografia di fine anni ’90 e chi invece ancora oggi lo considera un imperdibile guilty pleasure.

Rivisto oggi, a venticinque anni dalla sua uscita, è innegabile che Punto di non ritorno non sia invecchiato particolarmente bene. Se l’idea alla base può esser considerata come uno spunto narrativo interessante, non si può negare che il passare del tempo ha privato quelle che già all’epoca erano mediocri mezzi tecnici della loro potenza espressiva, facendo emergere come il fulcro del film di Anderson fosse basata sostanzialmente sullo stupore visivo, fortemente virato allo splatter, che è rimasto ora l’unico tratto veramente immutato di Punto di non ritorno. Eppure, questa suo invecchiare impietoso è un segno di un periodo in cui il cinema sfornava titoli di varia natura (e ancora più varia fortuna) nella speranza di mantenere alta la presenza degli spettatori al cinema.

Punto di non ritorno: quando horror e fantascienza si incontrano

Punto di non ritorno: horror e fantascienza

Se oggi abbiamo i cinepattoni, negli anni ’90 la stagione più ambita dalle major era l’estate, tanto che a partire dalla metà del decennio prese vita quel filone che oggi potremmo definire dei summer movies. Complice la maggior disponibilità di tempo e una spensieratezza tipica del periodo estivo, specialmente per il pubblico più giovane, i colossi del cinema videro nei summer movies il modo migliore per osare nuove grammatiche narrative, sperando di cogliere il gusto degli spettatori e concedendosi anche il rischio di fare flop. Non a caso in quegli anni sono emersi film divenuti in seguito dei veri e propri cult, come Se7en, Fight Club o Matrix, ma anche prodotti sperimentali come Space Jam e la nuova stagione dei disaster movie, che vide in Armageddon e Deep Impact i due punti di massima espressione. All’interno di questa epoca sperimentale (e abbastanza spericolata), non poteva certo la fantascienza, specie dopo che Emmerich con il suo Independence Day aveva mostrato che il pubblico era ancora affamato di racconti fantascientifici, a patto che sapessero mescolarsi ad altre suggestioni. E se Emmerich aveva intrecciato la sua invasione aliena con una visionarietà da disaster movie, perché non rinnovare il connubio fantascienza e horror?

Quanto fatto vent’anni prima da Scott con il suo Alien era ancora un perfetto esempio di come i due generi potessero convivere, anche se il gusto per l’horror per il pubblico era oramai orientata verso una maggior spettacolarizzazione della violenza, dello splatter. Fu questa ricerca di una nuova proposta che potesse accogliere un pubblico quanto più possibile ampio che spinse la Paramount Pictures a rivolgersi a Paul W.S. Anderson, regista che era reduce dalla trasposizione cinematografica di Mortal Kombat e che all’epoca sembrava essere una delle promesse di Hollywood. L’unica condizione posta al regista fu che il film fosse realizzato rapidamente, per esser pronto a dominare la stagione estiva del 1997, visto che la Paramount si trovò priva del suo preventivato film blockbuster a causa di tempi di lavorazione dilatati e della maniacale cura di un certo James Cameron, che non era intenzionato a subire pressione per la lavorazione del suo Titanic.

Stimolato da questa sfida, Anderson accettò l’incarico con un tale entusiasmo che non esitò a rifiutate altre proposte) tra cui X-Men e Alien: Resurrection. A motivare in particolare Anderson era la possibilità di cimentarsi con film che potessero affrontare temi viscerali, che consentissero di andare i rating per gli spettatori, realizzando un horror che trovasse nella fantascienza la sua perfetta controparte narrativa.  Quando ricevette la prima sceneggiatura realizzata da Philip Eisner, Anderson non fu particolarmente colpito, considerato che l’astronave al centro della storia veniva invasa da alieni tentacolari, dopo che il vascello aveva viaggiato troppo vicino al loro mondo. Da questa sua perplessità, Anderson ricavò le ispirazioni per riscrivere la trama del suo film, scegliendo di lavorare principalmente sull’aspetto orrorifico.

Col senno di poi, è facile comprendere quali siano state le ispirazioni che hanno mosso Anderson, supportato da Eisner, nel definire la trama del suo film. Se da un lato l’intreccio tra fantascienza e horror può essere visto come un’emanazione di Alien, non si può fare a meno di notare come l’espediente dell’astronave che torna da un misterioso viaggio iperspaziale riprenda un concept utilizzato da The Black Hole (1979), film disneyano in cui il colosso dell’entertainment cercava di emanciparsi dalla sua fama di produttore di storie familiari. L’impatto principale, dal punto di vista narrativo e di caratterizzazione del male al limite della percezione, sembra esser stata la concezione di racconto angoscioso e basato sulla minaccia ignota, tipica della narrativa di King e vista sul grande schermo con Shining di Kubrick.

La concezione che la Event Horizon tornasse da un viaggio nell’iperspazio dopo esser stata in una dimensione oscura e demoniaca era, per stessa ammissione dello sceneggiatore Philip Eisner, suggerita da Warhammer 40.0000, la celebre ambientazione fantascientifica dei giochi da tavolo di Games Workshop, in cui le astronavi che attraversano il warp sono costrette a farlo utilizzando appositi scudi che impediscono alle entità malefiche che lo popolano di trucidare gli incauti viaggiatori.

Orrore nel cosmo

Più che l’approccio fantascientifico, Punto di non ritorno fece scalpore all’epoca per il suo uso esplicito di una narrazione visiva splatter. Se le geometrie infernali sembravano ispirarsi all’arte di Bruegel e Bosch, con una deformante allegoria delle inquietudine dell’animo umano, a dare il senso di orrore latente è anche il design di questa ambientazione folle, realizzato in tempo record da Joseph Bennett, che riuscì a creare una particolare crasi tra la dimensione infernale e quella tecnologica, creando un’ambientazione che integrasse al meglio il concetto di dannazione, intuizione che era stata portata nel progetto da Andrew Walker, sceneggiatore di Se7en, che la Paramount aveva coinvolto per ottimizzare la sceneggiature originale di Event Horizon.

Pur avendo messo in cantiere una produzione che sin dall’inizio puntava a una narrativa fortemente votata all’horror, in Paramount rimasero sbalorditi quando Anderson presentò una prima versione del film, in cui era confluita tutta la sua disturbante visione di questo viaggio mortale nel cosmo. Come ricordò anni dopo lo stesso Anderson, la major rimase fortemente inquieta da questa presentazione:

Qualcuno mi disse ‘Siamo lo studio che realizza Star Trek!”, ma non erano solamente spaventati dal film, erano convinti che stessi insultando Star Trek in qualche modo, perché avevo ambientato anche io la storia nello spazio, aggiungendo tutta quella roba orrenda.

Motivo che spinse la Paramount a imporre un severo taglie per le scene più forti, riducendo di ben 103 minuti il girato finale. Una ghigliottina narrativa obbligata per l’uscita in sala, ma che divenne un boomerang quando Punto di non ritorno divenne un piccolo cult, tanto che quando si decise di realizzare una versione director’s cut, Anderson dovette rinunciare per l’impossibilità di recuperare tutte le scene tagliate, perse durante la lavorazione.

Al netto dei tagli e delle interpretazioni di un cast di eccellenza (Sam Neill e Lawrence Fishburne in primis), Punto di non ritorno all’epoca colpì principalmente proprio per le scene splatter, considerato che la trama di base e la componente sci-fi era elementi di secondo piano. Una natura che, appoggiandosi alla necessità di effetti visivi che sostenessero questo truculento immaginario, ha patito il passare del tempo, con una tecnologica che ha mosso passi impressionanti e che ha portato quindi gli spettatori a percepire il senso di finzione dietro alla realizzazione di questo film.

Punto di non ritorno: la trama

Anno 2047. Dopo esser misteriosamente scomparsa nel cosmo sette anni prima, l’astronave Event Horizon ricompare nel sistema solare. All’epoca della sua sparizione, la Event Horizon era un vascello sperimentale dotato di un’innovativa tecnologia che, sfruttando i buchi neri, piegava il tempo consentendo un viaggio spaziale quasi immediato. Motivo per cui la sua apparizione spinge le autorità a richiamare in servizio il suo costruttore, il dottor William Weir (Sam Neill), che viene accompagnato sul relitto della nave da una squadra di guidata dal capitano Miller (Lawrence Fishburne), a bordo del vascello di salvataggio Lewis & Clark.

La sola trasmissione ricevuta dopo la ricomparsa dell'astronave è un audio inquietante e confuso nel quale viene riconosciuta una criptica frase in latino: ''liberate me''. Giunta all'altezza di Nettuno, la Lewis and Clark trova il relitto della Event Horzion, che viene quindi esplorato sotto le precise indicazioni del dr. Weir, un’esplorazione durante la quale la squadra assiste a macabri scenari che fanno pensare a un violento massacro. Durante i controlli sulla Event Horizon, un membro dell’equipaggio, controllando il dispositivo gravitazionale che costituisce il rivoluzionario motore del vascello, attiva inavvertitamente il meccanismo, che attivandosi scatena una forte onda d'urto che danneggia gravemente la Lewis and Clark, costringendo tutto l’equipaggio a trovare rifugio a bordo della Event Horizon, che non essendo più in funzione da tempo può offrire solo un temporaneo rifugio a Miller e i suoi uomini.

Sulla silenziosa Event Horizon chiunque inizia ad avere visioni sconcertanti, che lo tormentano nel profondo, come se la stessa nave fosse viva e conoscesse l'animo e i più oscuri peccati dei suoi ospiti. Miller e i suoi scopriranno non solo che il dispositivo gravitazionale ha aperto un ponte con una dimensione caotica e maligna, ma anche di non potersi fidare di tutti i loro compagni di sventura...

Come vedere Punto di non ritorno

Sia i fan del film che spettatori in cerca di una storia particolare dai tratti forti, possono ringraziare Plaion Pictures che in occasione dei venticinque anni dall’uscita in sala del film ha pensato di celebrare questa ricorrenza portando la delirante visione di Anderson nel mondo del 4k.

Per il suo passaggio al 4k, Punto di non ritorno è stato in parte sostenuto dall’esser stato girato su una pellicola con sensibilità 500 ASA, che ha consentito di mantenere una grana di fondo generosa, elemento che ha dato alla versione in 4K la possibilità di valorizzare i particolari delle scene, complice un formato d’immagine 2.35:1 prossimo all'originale 2.39:1 (3840 x 2160/23.97p), codifica HEVC su BD-66 doppio strato. Risultano, però, penalizzati gli effetti CGI, che in questa definizione mostrano le proprie pecche, soprattutto se paragonati ai moderni ritrovati.

Le due edizioni realizzate da Paramount, steelbook e Collector’s Steelbook, offrono un audio di discreta qualità, con Dolby Digital 5.1 canali (640 kbps) che presenta però il medesimo audio delle precedenti versioni, mostrando quindi pecche già note, come dialoghi che meritavano maggior enfasi e una generale mancanza di identità degli effetti sonori nei momenti più intensi,sacrificando colonna sonora e le composizioni di Michael Kamen e Orbital.

A rendere interessante questa rivisitazione in 4k di Punto di non ritorno è al presenza di numerosi contenuti extra, come il commento del regista al film; focus sulla creazione di diverse sequenze con interventi di Anderson (8'); 3 scene eliminate o estese con commento opzionale del regista (10'); alcuni storyboard sulla scena mai girata del salvataggio nello spazio (3') + arte concettuale per il film (4') sempre con commento opzionale di Anderson; trailer e spot.

I veri appassionati del film potrebbero puntare alla citata Collector’s Steelbook, che arricchisce questa versione di 4k di buona fattura con alcuni interessanti gadget che fanno la gioia dei collezionisti.