Un giocattolone senza troppa fantasia: The Gray Man, recensione

The Gray Man, disponibile da oggi su Netflix, è un giocattolone che sa come divertire senza troppo osare nel suo insieme.

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a cura di Nicholas Massa

The Gray Man è familiare, forse anche fin troppo. Il suo è un percorso narrativo che non ha troppo da offrire agli amanti del genere, proprio perché attinge dai classici senza mai innovarne la forma. Fin dai suoi primi sviluppi la situazione appare abbastanza chiara, preannunciando una storia che non osa mai nelle sue dinamiche, incorniciata da un tocco formale che sì valorizza, senza però muoversi in direzioni inedite. La scelta di mirare maggiormente all’azione spettacolare, senza troppo riflettere sulle dinamiche di trama, non è qualcosa di mai visto, specialmente quando si parla di un film d’azione, con un insieme di  citazioni, snocciolate nel corso della narrazione, legate a un tipo di comicità che sembra fine a se stessa. Eppure i registi ci credono fino in fondo, portando avanti una storia anche energica nel suo insieme, pur se piuttosto prevedibile nei suoi sviluppi.

Fin dal suo annuncio The Gray Man ha senza dubbio attratto l’attenzione del grande pubblico. Vuoi per il suoi grande cast costituito da nomi altisonanti, vuoi per i suoi registi, la curiosità c’era. Un progetto del genere, ovviamente, non si è mai posto l’obiettivo d’innovare, ma piuttosto d’intrattenere, e in questo riesce pienamente. Resta da chiedersi se una pellicola del genere fosse mirata allo spettatore medio e senza troppe pretese, o al grande appassionato che mastica pane e azione settimanalmente se non giornalmente. Il film è stato distribuito in alcune sale selezionate a partire dal 13 luglio ed è disponibile nel catalogo Netflix dal 22 luglio.

The Gray Man sa di già visto 

La trama alla base di The Gray Man è semplicissima, sempre se di trama si può parlare. L’America recluta alcuni specifici giovani criminali senza nulla da perdere e li addestra per poi renderli una sorta di “super soldati” preparati a ogni evenienza, e utilizzabili nelle cosiddette “situazioni grigie”. Questi sulla carta non esistono, appartenendo a un programma top secret di cui pochissimi sono a conoscenza. Le loro identità sono segrete, come anche le storie e i dati personali. Fra loro si distinguono attraverso dei numeri (Sierra Six, Sierra Four…). Non hanno apparenti legami con nessuno e vivono per servire sul campo di battaglia in modo freddo e distaccato. Six (Ryan Gosling), è il personaggio principale, e impareremo a conoscerlo mano a mano che gli eventi avanzano. Più che di protagonista in questo caso si potrebbe quasi parlare di vero e proprio “mezzo narrativo”, attraverso cui veniamo introdotti nelle dinamiche suddette, e nei dettagli intimi della sua storia. Silenzioso e freddo, dovrà scontrarsi con la CIA stessa una volta che entra in contatto con un segreto che non avrebbe dovuto essere svelato. 

Six è abbastanza stereotipato nel suo insieme. La sua è la freddezza tipica del protagonista di un film d’azione. Si tratta di un’arma vivente risultato di alcuni pesanti abusi ricevuti in giovane età. Impenetrabile nel suo insieme e complesso da decifrare. Il suo è uno sguardo da cui non traspare nulla, e con cui è difficile anche per lo spettatore stesso entrare in contatto. Forte ed estremamente preparato, richiama a tutti gli effetti i canoni dell’eroe d’azione pronto a tutto pur di portare a compimento i propri obiettivi (ricordando inevitabilmente 007, e tutti gli Ethan Hunt della storia). Alle sue spalle un antagonista abbastanza curioso al principio, per poi risolversi in un tentativo maldestro e abbastanza superficiale di scrittura: Lloyd Hansen (Chris Evans). Si tratta di un vero e proprio sociopatico di cui non comprendiamo mai, fino in fondo, le ragioni. Un’arma di distruzione di massa senza scrupoli, assoldato dalla CIA per mettere fine alla vita di Six in qualunque modo possibile. Da ciò si sviluppa un vero e proprio inseguimento, che rimescola e snocciola mano a mano tutte le motivazioni della trama, fino al finale. 

Uno dei lati più interessanti di questo The Gray Man restano i personaggi femminili come quello di Dani (Ana de Armas) pronta a smontare gli stereotipi sessisti del genere action, tirando fuori una grinta che dinamizza in generale l’intera narrazione. Alcuni ragionamenti lungo questa strada restano interessanti nell’insieme del film, muovendo la narrazione verso lidi anche inaspettati.

Resta, comunque, tutto legato alla dimensione dell’intrattenimento, restituendo al grande pubblico un vero e proprio “giocattolone esplosivo” con cui i fratelli Russo, i registi, si sono divertiti dalla prima all’ultima inquadratura. Non è necessariamente un male, anche perché la leggerezza generale non stona affatto con i filamenti principali della storia di una storia che corre di momento in momento senza starci troppo a riflettere su. 

The Gray Man: leggerezza spensierata 

Come accennato anche sopra con The Gray Man i fratelli Russo non sono alla ricerca di una narrazione concettualmente impegnata, piuttosto di una vera e propria finestra su un mondo fatto di sparatorie e scontri all’ultimo sangue. Da questo punto di vista il film s’impegna tantissimo, raggiungendo anche risultati ragguardevoli nell’insieme. Le tante sparatorie disseminate lungo il percorso catturano l’attenzione tenendo anche con il fiato sospeso alle volte, complici le interpretazioni degli attori principali e la regia in continuo movimento. Come in ogni pellicola d’azione che si rispetti, anche in questo caso le vicende si sviluppano lungo scenografie da sogno, posti ricercati lungo tutta l’Europa (Vienna, Praga, il Castello di Chantilly in Francia…), plasmando la bellezza in esplosivi, proiettili, fuoco e scontri imprevedibili. Le due ore del film scorrono via facilmente, anche se le motivazioni di trama restano deboli dall’inizio alla fine, prendendo anche una piega prevedibile verso la fine. Si tratta di un vero e proprio pendolo che oscilla tra l’attenzione formale verso il genere action, e una trama che non ti dà mai modo di affezionarti veramente a quello che accade in scena. 

Un vero peccato 

The Gray Man però ci crede e lo fa fino in fondo, sviluppando la propria attrattiva partendo dagli inseguimenti mozzafiato, fino a costruire dei veri e propri stunt elaborati. La curiosità verso gli sviluppi resta fino alla fine, seppur flebile. La costruzione generale e la scrittura non appassionano troppo, in perfetto contrasto con tutto il resto, rappresentando la più grande debolezza di una pellicola che avrebbe dovuto sfruttare al meglio il proprio cast. Ne fuoriesce un’esperienza visiva pronta a rapire per quanto concerne l’azione, pur non essendo mai accompagnata dalle giuste ragioni narrative. Quest’ultime ci sono, sì, però restano fin troppo vaghe, non riuscendo, purtroppo, a far brillare un viaggio abbastanza dimenticabile.