The Right Stuff: Uomini Veri, la recensione della prima stagione

The Right Stuff: Uomini Veri è basato sull'omonimo romanzo di Tom Wolfe e sul film di Philip Kaufman. Ecco la nostra recensione della prima stagione.

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a cura di Giovanni Arestia

Lo spazio e l'esplorazione spaziale stanno vivendo un momento di forte interesse sia a livello tecnologico e scientifico sia nella cultura pop. Nell'ultimo anno, infatti, abbiamo visto serie come Space Force, Away e Over The Moon di Netflix e per rincorrere questa corsa allo spazio, Disney+ ha deciso di presentare la serie The Right Stuff: Uomini Veri che debutta quasi ad un anno di distanza da quando è stata annunciata nel novembre del 2019. Dopo avervi parlato dei primi due episodi visti in anteprima, ecco a voi la recensione completa della prima stagione.

https://www.youtube.com/watch?v=b79QiYO4oBU

The Right Stuff: Uomini Veri è uno spettacolo televisivo basato sull'omonimo romanzo di Tom Wolfe e sull'adattamento cinematografico di Philip Kaufman del 1983, ed è il primo tentativo di Disney+ di realizzare una serie più matura dopo che High Fidelity e Love, Victor sono stati spostati su Hulu per paura che il contenuto non andasse bene per il target di pubblico della Disney. La serie è stata prodotta per National Geographic da Appian Way di Leonardo DiCaprio e Warner Bros Television.

The Right Stuff: Uomini Veri, tra differenze e maturità

Fin dai titoli di apertura notiamo come Disney abbiamo voluto rafforzare il concetto di adattamento della serie all'opera cinematografica, col conseguente rischio che i fan della seconda opera possano passare gran parte del primo episodio cercando le differenze di cast tra la serie e l'equivalente cinematografico. Questo aspetto non creerebbe problemi se tutto fosse stato sapientemente rispettato, invece purtroppo salta subito all'occhio la mancanza di Chuck Yeager, famoso pilota collaudatore della United States Air Force, che nel film valse una nomination agli Oscar per l'attore interprete Sam Shepard.

Lo sceneggiatore Mark Lafferty, indubbiamente, ha pensato di compiere questa scelta per creare una notevole distanza narrativa tra la serie e il film in modo tale che la storia potesse essere più dinamica. Nel film, infatti, vi sono tre diversi punti di vista che comprendono non solo il Maggiore John Glenn e il Tenente Comandante Alan Shepard, ma anche, appunto, Chuck Yeager che mostra una certa riluttanza verso la NASA. Nella serie, invece viene mostrata solo l'ostilità ribollente tra i primi due che gareggiano per essere il primo uomo nello spazio.

The Right Stuff: Uomini Veri, infatti, racconta un’impresa grandiosa, generata dalla vera ambizione e per scoprire le conseguenze che quel successo ebbe su coloro che lo ottennero, i Mercury Seven, insieme alle loro famiglie. Come la competizione, la ricchezza e l’improvvisa celebrità cambiarono le loro vite, mentre loro cambiavano la storia.

Nel 1959, all’apice della Guerra Fredda, l’America teme di essere una nazione in declino mentre l’Unione Sovietica domina la corsa allo spazio. Ma il governo statunitense ha una soluzione: portare un uomo nello spazio in breve tempo. Alla neo costituita NASA viene dato questo compito monumentale e un gruppo formato dai migliori ingegneri della nazione calcola che ci vorranno decenni per compiere l’impresa, ma loro avranno a disposizione solo due anni.

Gli ingegneri della NASA, tra cui l’ingegnere missilistico Bob Gilruth (Patrick Fischler) e l’appassionato Chris Kraft (Eric Ladin), lavorano lottando contro il tempo sotto la pressione crescente da parte di Washington. Insieme selezionano sette astronauti da un gruppo di piloti collaudatori militari. Si tratta di uomini comuni, strappati dall’oscurità che, pochi giorni prima di essere presentati al mondo, vengono trasformati in eroi ancor prima di compiere qualcosa di eroico.

I due uomini al centro della storia sono il Maggiore John Glenn (Patrick J. Adams), stimato pilota collaudatore e devoto padre di famiglia, e il Tenente Comandante Alan Shepard (Jake McDorman), uno dei migliori piloti collaudatori nella storia della marina militare degli Stati Uniti. Tra gli altri membri dei Mercury Seven, il Comandante Gordo Cooper (Colin O’Donoghue), il più giovane dei sette che fu scelto con grande sorpresa di tutti; Wally Schirra (Aaron Staton), un pilota competitivo abile nel fare scherzi; Scott Carpenter (James Lafferty), soprannominato “Il Poeta” dagli altri astronauti; Deke Slayton (Micah Stock), pilota e ingegnere taciturno ma incredibilmente intelligente e Gus Grissom (Michael Trotter), un veterano militare decorato che diventerà il secondo uomo nello spazio.

Una confusione problematica

Per descrivere la prima stagione di The Right Stuff: Uomini Veri bastano poche parole: godibile, ma poco chiaro. Non si capisce mai cosa davvero voglia essere perché tutti gli episodi si sviluppano narrativamente come dei film, ma in realtà strutturalmente seguono gli stilemi della serialità. In questo modo è probabile che faccia fatica a trovare un pubblico che possa essere interessato ad ogni singolo passo.

Il conflitto centrale dell'opera è la dicotomia tra i due membri più importanti del programma Mercury Seven: Glenn, amabilmente ritratto da Patrick J. Adams come un esperto scalatore dei ruoli e capace di astute manovre politiche (palese allusione alla vita post-astronauta di Glenn come senatore) e Alan Shepard, interpretato da Jake McDorman e mostrato come un donnaiolo con problemi di controllo dell'impulsività e alcuni difetti fisici all'orecchio.

Spicca in particolare l'interpretazione di McDorman a cui viene dedicata gran parte dei primi episodi. Questo è caratterizzato dalla descrizione familiare e caratteriale del personaggio in particolare la relazione disfunzionale con suo padre e sua figlia adottiva. Interessante poi la trama secondaria che coinvolge Leroy "Gordo" Cooper (Colin O'Donoghue) e sua moglie Trudy (Eloise Mumford) i quali accettano di fingere un matrimonio felice per accrescere le possibilità del marito di essere selezionato per il Programma Mercury ed è l'unica parte davvero intrigante presente nei primi due episodi dello show.

Il vero primo problema arriva quando si cerca di parlare del programma spaziale vero e proprio. Il creatore Lafferty, non estraneo a storie di ingegnosità tecnologica, dopo aver lavorato come sceneggiatore per Manhattan e Halt and Catch Fire, mostra in modo evocativo i giorni intensi della NASA tramite grandi stanze piene di scrivanie senza personale e continui fallimenti dei lanci. I fan del programma spaziale probabilmente rimarranno delusi dalla poca attenzione data ai veri studi scientifici posti ai vari lanci spaziali e all'analisi dei vari problemi durante i lanci anche perché vediamo gli astronauti più nelle piscine e nei loro problemi familiari che ad allenarsi per lo spazio.

Il che ci porta a un altro punto, ovvero che al di fuori dei tre astronauti sopra menzionati, gli altri piloti del Mercury Seven sono semplicemente utili come comparse.Questo è un vero peccato poiché questi uomini hanno svolto tutti un ruolo chiave per promuovere il programma spaziale. In questo senso, la serie invita apertamente a una seconda esperienza dello spettatore, perché la maggior parte probabilmente cercherà di riempire gli spazi vuoti o verificare se ciò che viene ritratto sullo schermo è basato su fatti reali tramite altre ricerche approfondite.

Le importanti interpretazioni delle attrici femminili e la carenza di credibilità narrativa

L'aspetto veramente interessante dell'opera, quindi, diviene quello privato dei piloti e del ruolo della famiglia nella loro vita. In tal senso, meritevoli di attenzione sono le interpretazioni delle tre attrici principali: la già citata Eloise Mumford che nei panni di Trudy Cooper finge un matrimonio mentre lei stessa desiderava una carriera nell'aviazione, Nora Zehetner nei panni di Annie Glenn, la cui balbuzie non solo le rende difficile la vita pubblica, ma funge anche da impulso per il costante ostruzionismo di John e Shannon Lucio nei panni di Louise Shepard, una giornalista intrepida che fa di tutto per non essere messa a conoscenza degli affari loschi di suo marito e che vuole a tutti i costi essere la migliore nel suo ruolo.

Gli amanti del realismo, però, troveranno i momenti familiari carenti di credibilità nonostante le interpretazioni siano davvero buone. Le storie d'amore gridano troppo al romanticismo disneyano poiché nonostante sia palese la loro vaporosità, tendono sempre a non mostrare la vera natura melodrammatica e critica. Ad esempio si comprende facilmente che Alan Shepard non presti molta attenzione alla moglie preferendo una vita fatta di tradimenti e mondanità, ma essendo un prodotto Disney tutto questo viene raccontato con un certo alone di vaghezza dove prevale comunque l'amore familiare.

Proprio perché parliamo di un prodotto Disney abbiamo notato un altro problema non indifferente che è la mancanza di coraggio da parte di Mark Lafferty nel rendere l'opera un vero e proprio approfondimento storico limitandosi a seguire gli stilemi di una serie pacata, politicamente corretta e adatta a tutti. Questi non sarebbero dei difetti se la serie stessa non mostrasse momenti di palesi tradimenti familiari ed esagerata mondanità quindi non si spiega perché non renderla una vera opera matura spingendosi, magari, a spiegare perché in quel gruppo di astronauti-eroi, in quegli anni, non potevano esserci donne come Trudy Cooper o cittadini di colore.

In conclusione...

Il più grande punto debole di The Right Stuff: Uomini Veri è quindi la storia che risulta piatta, fin troppo improntata all'eroismo e che non aggiunge nulla di nuovo rispetto al film del 1983, ma anzi ne toglie pezzi importanti come il personaggio di Chuck Yeager. Alla fine la serie, proprio come il programma spaziale che vuole narrare, inciampa nelle fasi iniziali con un inizio lento, irregolare e impreciso e cerca di riprendersi nelle fasi finali con alcune chicche registiche e di scrittura non indifferenti. Anche al netto di alcuni errori anche gravi, soprattutto tecnici con effetti speciali poco realistici e inquadrature molto scure e poco chiare, la prima stagione di The Right Stuff: Uomini Veri è comunque godibile. In particolar modo spiccano le interpretazioni dei protagonisti e dei loro comprimari e una colonna sonora, rafforzata dalla presenza di canzoni dell'epoca, quando il rock’n’roll era la colonna sonora delle giornate di tutti, molto suggestiva.

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