Chip che si autodistruggono, la nuova arma segreta contro gli hacker

I ricercatori dell'Università del Vermont hanno creato i primi chip in grado di autodistruggersi in caso di attacco informatico.

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a cura di Marco Silvestri

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Un team di ricercatori dell'Università del Vermont ha trovato un modo per produrre dei chip che si autodistruggono in caso di attacchi informatici. Il meccanismo utilizza funzioni fisicamente non clonabili (PUF), che possono creare impronte digitali uniche per ogni chip, soluzione che potrebbe tornare utile anche per evitare la contraffazione dei processori. Il team ha descritto la procedura come "suicidio del circuito" spiegando che, in caso di attacco, esistono due varianti per bloccare istantaneamente il funzionamento dei chip.

Entrambi i metodi utilizzano tensioni elevate sulle linee che collegano la chiave crittografica. Il primo metodo provoca l'elettromigrazione, un fenomeno per cui l'elettricità fa saltare gli atomi di metallo, causando vuoti e circuiti aperti. Il secondo metodo provoca invece un cortocircuito sottoponendo i transistor destinati a funzionare a meno di 1 V a un picco di tensione pari a a 2,5 V, provocando una rottura dielettrica tale da "uccidere" il dispositivo.

L'idea è partita da una scoperta effettuata dagli stessi ricercatori che, in precedenza, erano riusciti a clonare PUF basati su SRAM utilizzando un microscopio elettronico. Secondo il responsabile del team Hunt-Schroeder, questo metodo garantisce la distruzione di una parte dei circuiti del chip rendendolo completamente inefficace. La dimostrazione vista durante la recente conferenza International Solid-State Circuits Conference (ISSCC) è stata condotta con un chip di prova da 3 nm. 

Di recente abbiamo visto altri esperimenti simili su alcune unità USB autodistruggenti: una proveniente dal conglomerato high-tech russo Rostec e una "Ovrdrive", di matrice indipendente, dotata di un meccanismo di sblocco unico che richiede una modifica per attivare la funzione di autodistruzione.