Hacking del processore, difficile ma possibile

Un processore opportunamente modificato può far cadere le difese di un computer, senza lasciare tracce.

Avatar di Manolo De Agostini

a cura di Manolo De Agostini

Per aggirare le difese di sicurezza dei computer vi sono diversi metodi, prevalentemente software. Alcuni ricercatori dell'Università dell'Illinois si sono dedicati all'hardware, dimostrando come un processore opportunamente modificato possa essere sfruttato per bucare un sistema, senza lasciare tracce.

Il metodo consiste nell'alterare un processore aprendo una backdoor, in grado di consentire l'accesso al computer. Nella dimostrazione sperimentale è stato impiegato un processore LEON (Sparc) e un sistema operativo Linux. Per alterare il chip, gli studiosi hanno agito su 1341 del milione di porte logiche presenti all'interno del microprocessore. In seguito, grazie all'invio via rete di un pacchetto confenzionato ad arte, il processore ha potuto immettere nel sistema un firmware maligno in grado di dare al malintenzionato i privilegi di accesso al sistema. Il tutto senza utilizzare software e lasciare tracce.

Questo tipo di hack, come avrete correttamente intuito, è complicato da mettere in pratica, perchè richiede l'installazione di un processore "modificato" all'interno di un sistema. Per fare ciò, un malintenzionato dovrebbe in pagare un addetto all'assemblaggio di un sistema, essere uno dei progettisti del processore oppure essere lui stesso un assemblatore. Eventualità più uniche che rare, quasi da film di 007, ma sulle quali il Dipartimento della Difesa americano vigilerà.

Raramente accade che un prodotto venga venduto con un virus (è successo per chiavette USB o iPod), denotando possibili problemi alla produzione: e se al posto di un virus venisse inserito un processore modificato? Il pericolo, per quanto ridotto, non si può ignorare.