La prima piastra di silicio basata sull'architettura Blackwell di NVIDIA prodotta interamente sul suolo statunitense rappresenta una svolta che va ben oltre la semplice retorica politica del momento. Mentre l'amministrazione Trump spinge con forza per la rilocalizzazione della produzione di chip negli Stati Uniti, pochi ricordano che il progetto dello stabilimento TSMC in Arizona è stato approvato nel lontano 2020. La fabbrica, operativa dalla scorsa estate, ha raggiunto questo traguardo simbolico che segna un punto di non ritorno per l'industria dei semiconduttori americana.
Jensen Huang, amministratore delegato di NVIDIA, non ha nascosto l'entusiasmo definendo l'evento "un momento storico" in cui "il chip più importante al mondo viene prodotto negli Stati Uniti dalla fabbrica più avanzata". Al di là dell'ovvio orgoglio aziendale, c'è del vero in questa affermazione: Blackwell è attualmente il processore più ambito dai giganti dell'intelligenza artificiale, tutti in fila per accaparrarsene quante più unità possibile per i propri data center.
Ray Chuang, che guida le operazioni TSMC in Arizona, ha sottolineato la rapidità con cui l'impianto ha raggiunto questo risultato, passando dalla fase di costruzione alla produzione del primo chip Blackwell americano in pochi anni. Un'impresa che rappresenta, secondo le sue parole, "il meglio di TSMC".
Tuttavia, sarebbe prematuro pensare che questa produzione risolva nell'immediato i problemi di disponibilità. Si tratta infatti di una singola piastra di silicio realizzata con il processo produttivo a 5 nanometri di TSMC, specificamente adattato per NVIDIA con la sigla 4NP. Prima di diventare chip funzionanti, questi wafer devono attraversare una fase cruciale che attualmente non può essere completata sul territorio americano: il packaging.
Questa operazione comprende il taglio della piastra in singoli processori, l'incapsulamento del substrato di silicio e l'integrazione con componenti fondamentali come le memorie ad alta larghezza di banda (HBM). Per ora, questi passaggi finali richiedono il trasferimento dei chip a Taiwan, anche se la situazione potrebbe cambiare. L'accordo da 100 miliardi di dollari annunciato quest'anno tra l'amministrazione Trump e TSMC prevede infatti la costruzione di due strutture dedicate proprio al packaging avanzato, oltre agli impianti di produzione veri e propri.
Per gli appassionati di gaming, la domanda sorge spontanea: cosa significa tutto questo per le schede grafiche della serie RTX 50 (come questa RTX 5090), anch'esse basate sull'architettura Blackwell? La risposta è: probabilmente poco, almeno nel breve termine. Le eventuali versioni Super delle RTX 50, che richiederebbero volumi produttivi massicci, continueranno verosimilmente a uscire dagli stabilimenti taiwanesi per questioni di scala e capacità produttiva.
Guardando al futuro, però, la prospettiva cambia. Le tensioni diplomatiche che circondano Taiwan rendono strategica la diversificazione geografica della produzione di semiconduttori. Dal punto di vista del consumatore, una maggiore distribuzione degli impianti produttivi significa potenzialmente più stabilità nella catena di approvvigionamento. Per gli Stati Uniti, vedere la più grande azienda di intelligenza artificiale al mondo produrre i suoi chip più avanzati in casa rappresenta un risultato di politica industriale non trascurabile, indipendentemente da chi voglia prendersene il merito.