L’analisi genomica di antichi resti umani rinvenuti in una fossa comune nell’antica Jerash, in Giordania, ha fornito per la prima volta prove dirette del batterio responsabile della Peste di Giustiniano, la prima pandemia documentata nella storia. Nei denti di otto individui sepolti sotto l’ippodromo romano della città è stato identificato il DNA di Yersinia pestis, risolvendo uno dei grandi enigmi della storiografia medievale e offrendo la conferma biologica che mancava da oltre 1.400 anni.
Il sito di Jerash mostra con chiarezza come le società antiche affrontavano emergenze sanitarie improvvise. L’arena, simbolo della vita civica e dell’intrattenimento durante l’Impero Romano d’Oriente, venne trasformata in un cimitero di massa tra la metà del VI e l’inizio del VII secolo. Le analisi genetiche dei resti hanno rivelato ceppi di Y. pestis praticamente identici, segno di un focolaio rapido e devastante perfettamente in linea con le cronache dell’epoca, che descrivevano un’epidemia capace di diffondersi in tutto l’impero in pochi anni.
Un puzzle storico finalmente risolto
Per secoli, storici e scienziati hanno discusso sull’identità dell’agente responsabile della pandemia che decimò milioni di persone, ridisegnando la storia dell’Impero Bizantino e influenzando lo sviluppo della civiltà occidentale. Nonostante i racconti storici fossero numerosi, mancava la prova biologica. Ora, l’identificazione del DNA del batterio nei resti di Jerash fornisce la conferma definitiva.
Un’ulteriore analisi ha collocato la scoperta in un quadro più ampio, confrontando centinaia di genomi antichi e moderni di Y. pestis. I dati mostrano che il batterio circolava tra le popolazioni umane da millenni prima della Peste di Giustiniano e che le successive ondate, inclusa la Morte Nera del XIV secolo, non derivarono tutte da un unico ceppo, ma da spillover indipendenti da serbatoi animali. Un modello molto diverso rispetto a quello di SARS-CoV-2, nato da un unico evento di trasmissione e poi diffuso da uomo a uomo.
Un monito per il presente
Queste ricerche non hanno solo valore storico. La peste rimane una minaccia attuale: nel luglio scorso un uomo in Arizona è morto di peste polmonare, e pochi giorni dopo un altro caso è stato registrato in California. Il lavoro condotto a Jerash dimostra quanto lo studio del DNA antico possa offrire nuove prospettive sulla relazione tra malattie, società e ambiente.
Il team di ricerca sta già ampliando gli studi, con un progetto su oltre 1.200 resti umani provenienti dal Lazaretto Vecchio di Venezia, uno dei principali siti legati alla Morte Nera. Analizzare queste testimonianze consentirà di capire meglio non solo l’evoluzione del batterio, ma anche come le prime misure di salute pubblica abbiano cercato di limitare il contagio, aprendo un confronto diretto con le sfide sanitarie del nostro presente.