La battaglia contro l'ipertensione arteriosa nei pazienti affetti da malattia renale cronica potrebbe presto avere una nuova arma terapeutica. I risultati preliminari dello studio clinico FigHTN di Fase 2 hanno dimostrato che il baxdrostat, un farmaco innovativo che agisce inibendo la produzione dell'ormone aldosterone, può rappresentare un significativo passo avanti nel trattamento di questa complessa condizione medica. La ricerca, presentata durante le Sessioni Scientifiche sull'Ipertensione 2025 dell'American Heart Association e pubblicata simultaneamente sul Journal of the American Society of Nephrology, offre speranze concrete per milioni di persone che convivono con entrambe le patologie.
Il circolo vizioso tra reni e pressione alta
La connessione tra malattia renale cronica e ipertensione rappresenta uno dei più insidiosi circoli viziosi della medicina moderna. Come spiega il dottor Jamie P. Dwyer, principale autore dello studio e professore di medicina presso la University of Utah Health, "l'ipertensione può peggiorare la funzione renale e il declino della funzione renale può ulteriormente elevare la pressione sanguigna, creando esiti che possono cambiare radicalmente la vita dei pazienti".
L'aldosterone, ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, gioca un ruolo cruciale in questo meccanismo patologico. Questo ormone provoca la ritenzione di sodio, aumentando di conseguenza la ritenzione idrica e la pressione arteriosa. Nel tempo, un eccesso di aldosterone può causare l'irrigidimento e l'ispessimento dei vasi sanguigni, contribuendo al danno cardiaco e alla formazione di cicatrici nei reni.
Risultati promettenti dal nuovo approccio terapeutico
Lo studio ha coinvolto 195 partecipanti con un'età media di 66 anni, condotto presso 71 centri negli Stati Uniti. I pazienti selezionati presentavano caratteristiche specifiche: ipertensione non controllata nonostante l'assunzione della dose massima tollerata di ACE-inibitori o sartani, con una pressione sistolica media di partenza di 151 mmHg. Tutti i partecipanti mostravano inoltre segni evidenti di malattia renale cronica, con livelli medi di albumina urinaria di 714 mg/gm di creatinina e un tasso di filtrazione glomerulare stimato di 44 mL/min/1.73.
Dopo 26 settimane di trattamento, i risultati hanno evidenziato una riduzione della pressione sistolica di 8,1 mmHg nei partecipanti che assumevano baxdrostat rispetto al placebo, corrispondente a una diminuzione di circa il 5%. Ancora più significativo è stato il riscontro di una riduzione del 55% della perdita di albumina nelle urine, un marker fondamentale del rischio cardiovascolare e renale.
Un potenziale game changer per i pazienti renali
La dottoressa Jordana B. Cohen, ex presidente del Comitato Scientifico Cardiovascolare per Ipertensione e Reni dell'American Heart Association, non coinvolta nello studio, ha commentato con entusiasmo i risultati. "Questi nuovi risultati sono rassicuranti sul fatto che questa nuova classe di farmaci antiipertensivi avrà probabilmente benefici sia renali che cardioprotettivi, risultando sicura ed efficace per ampie popolazioni di pazienti", ha dichiarato.
Il baxdrostat appartiene a una classe di farmaci che inibiscono la produzione di aldosterone e sono attualmente testati per la loro capacità di trattare condizioni come ipertensione, malattia renale cronica e insufficienza cardiaca. Attualmente il farmaco non è ancora approvato dalla Food and Drug Administration statunitense per alcun uso clinico.
Sicurezza e prospettive future
Dal punto di vista della sicurezza, lo studio ha registrato alcuni effetti collaterali prevedibili. L'iperpotassiemia, un noto effetto collaterale dei farmaci che bloccano il sistema renina-angiotensina-aldosterone, si è verificata nel 41% dei partecipanti trattati con baxdrostat contro il 5% di quelli che assumevano placebo. Tuttavia, la maggior parte dei casi è stata classificata come lieve o moderata. Non si sono verificati decessi durante il trial, anche se il 9% dei partecipanti nel gruppo baxdrostat ha sperimentato eventi avversi gravi, rispetto al 3% del gruppo placebo.
Le implicazioni di questi risultati si estendono ben oltre i numeri dello studio. Come sottolinea Dwyer, "la riduzione dell'albumina urinaria ci dà speranza che il baxdrostat possa anche aiutare a ritardare il danno renale". Questa potenzialità è ora oggetto di verifica in due ampi studi di Fase 3 per determinare se il farmaco possa effettivamente rallentare la progressione della malattia renale cronica, aprendo nuove prospettive terapeutiche per una condizione che ancora oggi rappresenta una sfida clinica di grande rilevanza.