Iil plasma freddo si sta affermando come una delle soluzioni più promettenti per affrontare contaminanti altrimenti indistruttibili come i PFAS, i cosiddetti "forever chemicals". Un recente studio condotto presso l'Università del Michigan e pubblicato su Plasma Sources Science and Technology ha documentato per la prima volta un fenomeno straordinario: in determinate condizioni, il plasma freddo a contatto con l'acqua si auto-organizza formando complesse geometrie che ricordano stelle o ruote dentate, aumentando spontaneamente l'area di contatto tra i due elementi. Questa scoperta potrebbe rappresentare la chiave per rendere economicamente sostenibile un trattamento che, pur essendo efficace in laboratorio, rimane troppo costoso per applicazioni su scala industriale.
I PFAS rappresentano una delle sfide ambientali più pressanti del nostro tempo. Introdotti nei prodotti di consumo per le loro proprietà di resistenza al calore e alle macchie, questi composti sono caratterizzati da legami carbonio-fluoro estremamente stabili – i più forti nella chimica organica – che ne impediscono la degradazione naturale. Quando penetrano nel suolo e nelle acque superficiali, i PFAS entrano nella catena alimentare attraverso colture e animali, accumulandosi nei tessuti umani dove aumentano nel tempo il rischio di formazione tumorale e causano alterazioni del sistema endocrino. I metodi convenzionali di trattamento delle acque non riescono a distruggere queste tossine, rendendo indispensabile lo sviluppo di approcci avanzati.
Il plasma freddo utilizzato in questi esperimenti è un gas attivato prodotto in aria normale a pressione atmosferica mediante impulsi ad alto voltaggio. Tecnicamente definito plasma non termico, è composto da elettroni energetici, ioni e specie molecolari eccitate, con l'energia concentrata principalmente negli elettroni di massa ridotta, negli ioni e nei fotoni. Una caratteristica fondamentale è che l'acqua a contatto con questi plasmi non viene riscaldata – tanto che la stessa tecnologia viene impiegata nel campo della medicina plasmatica per trattare tessuti biologici senza danneggiarli.
Quando il plasma freddo viene iniettato nell'acqua contaminata, genera una cascata di specie reattive: ioni, elettroni solvatati, molecole eccitate, onde ultrasoniche, onde d'urto e radiazione ultravioletta. Questo arsenale chimico-fisico è in grado di compiere l'impresa di spezzare il legame carbonio-fluoro, frammentando inoltre le catene carboniose che costituiscono la struttura molecolare dei PFAS e mineralizzandoli in residui innocui. Come ha spiegato John Foster, professore di ingegneria nucleare e scienze radiologiche nonché ingegneria aerospaziale presso l'Università del Michigan e autore senior dello studio, "le dimostrazioni di laboratorio mostrano che il plasma freddo può eliminare una vasta gamma di contaminanti dall'acqua, rimuovendoli quasi completamente. Apre una nuova opportunità per trattare questi inquinanti storici".
Il principale ostacolo all'adozione su vasta scala rimane tuttavia l'intensità energetica del processo e il conseguente costo economico. È proprio qui che la scoperta dei pattern auto-organizzati assume un'importanza cruciale. A differenza delle onde concentriche generate da una goccia di pioggia su uno stagno, che si dissipano progressivamente, i pattern plasmatici diventano più complessi man mano che si espandono radialmente verso l'esterno. Questi pattern che invertono l'entropia aumentano significativamente la superficie dell'acqua in contatto con il plasma, migliorando potenzialmente l'efficienza del trattamento.
La svolta è arrivata quasi per caso. Zimu Yang, dottorando in ingegneria nucleare e scienze radiologiche e primo autore dello studio, ha notato che la luce del soffitto del laboratorio si rifletteva in modo particolare sulla superficie dell'acqua sotto il plasma, rivelando una tessitura simile al riflesso del sole sulle increspature di una piscina. "La superficie liquida deformata era sempre stata lì, ma me ne sono improvvisamente reso conto osservando la superficie liquida da una certa angolazione. La scienza è ovunque, pura e coerente", ha raccontato Yang.
Per documentare questi fenomeni che si verificano in circa 10 microsecondi, il team ha sviluppato un sofisticato sistema di ripresa ad alta velocità. L'apparato sperimentale prevede un getto di plasma posizionato a pochi millimetri sopra la superficie dell'acqua, con un laser puntiforme verde diretto obliquamente sulla superficie liquida. Sincronizzando la telecamera ad alta velocità con gli impulsi ad alto voltaggio del plasma, i ricercatori sono riusciti a catturare l'esatto momento dell'interazione.
Le immagini hanno rivelato un meccanismo sorprendente: il plasma esercita una forza elettrica sull'acqua, spingendola verso il basso e creando una deformazione che costituisce un'immagine speculare delle forze elettriche generate dal pattern plasmatico soprastante. Al confine del pattern si formano onde superficiali. Ripetendo l'esperimento numerose volte e aumentando progressivamente l'intervallo tra l'impulso plasmatico e lo scatto fotografico, i ricercatori hanno confermato che è il pattern plasmatico a causare la deformazione dell'acqua, non il contrario.
I risultati suggeriscono che forma e dimensione delle onde possono essere influenzate manipolando la velocità di riscaldamento del gas e le proprietà elettriche dell'acqua. Foster ha spiegato il fenomeno in termini termodinamici: in questi sistemi aperti, l'energia e le specie reattive depositate dal plasma impediscono l'accumulo di reagenti, rendendo il sistema suscettibile all'auto-organizzazione. "Queste impronte dei pattern sono più estese e possono quindi essere utilizzate per aumentare l'area di contatto del plasma", ha precisato.
Le prospettive applicative dipendono ora dalla possibilità di controllare e amplificare questi pattern. Yang ha sottolineato che le onde risultanti sono determinate dal pattern plasmatico e potrebbero essere alterate regolando la portata del gas e la velocità di riscaldamento del plasma. "Se questo processo potesse essere controllato e forse ampliato, i metodi basati sul plasma potrebbero essere scalati per trattare volumi maggiori e infine essere integrati negli impianti di trattamento delle acque per rimuovere contaminanti, inclusi i PFAS", ha affermato il ricercatore.
La ricerca apre scenari promettenti ma richiede ulteriori sviluppi prima di tradursi in applicazioni industriali. Sarà necessario comprendere più a fondo la fisica dell'auto-organizzazione plasmatica, ottimizzare i parametri operativi per massimizzare l'area di contatto e valutare l'efficienza energetica complessiva del processo su scala ampliata. Il cammino verso impianti di depurazione che sfruttino questi fenomeni rimane lungo, ma la dimostrazione che il plasma può spontaneamente aumentare la propria efficacia attraverso l'auto-organizzazione rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro una delle contaminazioni più persistenti e pericolose del nostro tempo.