La degenerazione maculare senile rappresenta una delle principali cause di disabilità visiva nella popolazione anziana: circa un terzo delle persone oltre gli ottant'anni sviluppa questa condizione che colpisce la retina e compromette progressivamente la visione centrale. Solo negli Stati Uniti, oltre venti milioni di adulti con più di quarant'anni convivono con questa patologia, nella sua forma "secca" che costituisce la variante più diffusa. Nonostante l'incidenza elevata, fino ad oggi non è stata disponibile alcuna terapia efficace per contrastare questo processo degenerativo che rende difficoltoso focalizzare gli oggetti posti direttamente di fronte agli occhi.
Un gruppo di ricercatori dell'Università di Aalto, in Finlandia, ha sviluppato un approccio terapeutico innovativo basato su un principio apparentemente controintuitivo: utilizzare il calore controllato per riattivare i meccanismi naturali di difesa e riparazione delle cellule retiniche. Il professor Ari Koskelainen, principale autore dello studio pubblicato su Nature Communications il 29 ottobre, spiega che l'invecchiamento cellulare indebolisce progressivamente i sistemi di protezione endogeni, esponendo il fondo oculare a uno stress ossidativo intenso causato dai radicali liberi dell'ossigeno.
La patogenesi della degenerazione maculare secca inizia quando le proteine danneggiate dai radicali liberi perdono la loro conformazione tridimensionale corretta, aggregandosi in depositi lipoproteici chiamati drusen. Questi accumuli, visibili durante l'esame oftalmoscopico, rappresentano il criterio diagnostico principale per questa forma di AMD. Il problema fondamentale risiede nell'incapacità progressiva delle cellule invecchiate di gestire efficacemente le proteine mal ripiegate attraverso i normali meccanismi di controllo qualità.
La strategia terapeutica messa a punto dal team finlandese sfrutta un incremento termico di alcuni gradi per stimolare due processi cellulari distinti ma complementari. Il primo coinvolge le proteine da shock termico, molecole chaperon che vengono sintetizzate in risposta allo stress e che possiedono la capacità di ripiegare nuovamente le proteine danneggiate nella loro struttura funzionale originaria. Se questo processo di recupero fallisce, le proteine difettose vengono destinate alla degradazione in aminoacidi per il riciclaggio cellulare.
Quando gli accumuli proteici si sono già formati, entra in gioco un secondo meccanismo chiamato autofagia, il cui funzionamento è stato chiarito dal premio Nobel per la Medicina 2016 Yoshinori Ohsumi. Questo processo avvolge gli aggregati danneggiati all'interno di una membrana lipidica simile a quella cellulare, sulla cui superficie compaiono proteine di riconoscimento che segnalano agli enzimi lisosomiali di iniziare la demolizione e la rimozione del materiale compromesso. Come sottolinea Koskelainen, l'applicazione di impulsi termici controllati permette di attivare entrambi questi meccanismi di pulizia cellulare.
La sfida tecnica principale consiste nel riscaldare con precisione un tessuto delicato situato in profondità nell'occhio, senza provocare danni. Temperature superiori ai 45° Celsius possono infatti causare lesioni irreversibili. Il gruppo di Aalto ha risolto questo problema critico sviluppando un sistema che utilizza luce nel vicino infrarosso per il riscaldamento, integrato con un metodo di monitoraggio termico in tempo reale dietro la retina. Questa tecnologia consente un controllo preciso e sicuro della temperatura durante l'intero trattamento.
Gli studi preclinici condotti su modelli animali, in particolare topi e suini, hanno fornito risultati incoraggianti. I trial clinici sull'uomo sono programmati per iniziare in Finlandia nella primavera del 2026. La prima fase si concentrerà sulla verifica della sicurezza del trattamento laser, mentre le fasi successive determineranno la frequenza ottimale delle applicazioni per ottenere benefici duraturi. Secondo Koskelainen, la terapia dovrà necessariamente essere ripetuta periodicamente, poiché la risposta cellulare tende a diminuire già pochi giorni dopo ogni sessione di trattamento.
Per accelerare il percorso verso l'applicazione clinica, i ricercatori hanno fondato una società spin-off chiamata Maculaser, dedicata allo sviluppo commerciale della tecnologia. Le previsioni più ottimistiche indicano che il metodo potrebbe essere disponibile nelle cliniche oftalmologiche ospedaliere entro tre anni, con l'obiettivo finale di renderlo accessibile presso gli ambulatori degli oculisti di base. Se confermata l'efficacia negli studi clinici, questa terapia rappresenterebbe la prima opzione terapeutica concreta per milioni di pazienti affetti dalla forma secca di degenerazione maculare senile, per i quali attualmente non esistono alternative di trattamento.