Nel mondo microscopico che ci circonda si combatte da miliardi di anni una guerra silenziosa ma incessante. I batteri, da sempre bersaglio di virus specializzati chiamati fagi, hanno sviluppato nel corso dell'evoluzione un arsenale di difese sofisticate che solo ora cominciamo a comprendere appieno. Una di queste strategie di sopravvivenza, rimasta nascosta per decenni sotto gli occhi dei ricercatori, potrebbe rivelarsi preziosa per affrontare l'emergenza globale della resistenza agli antibiotici e per sviluppare nuove terapie antivirali applicabili anche alla medicina umana.
Un gruppo di scienziati della Penn State University, guidato da Thomas Wood, docente di ingegneria chimica, ha scoperto un meccanismo difensivo batterico particolarmente ingegnoso che sfrutta paradossalmente proprio i virus. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica Nucleic Acids Research, dimostrano come antichi virus ormai inattivi, rimasti incorporati nel DNA batterico come fossili genetici, continuino a svolgere un ruolo protettivo attivo contro nuove infezioni virali.
La chiave di questo sistema di difesa risiede in una proteina chiamata PinQ, un tipo di ricombinasi capace di tagliare e ricombinare filamenti di DNA. Quando un virus minaccia la cellula batterica, questa proteina innesca un processo di inversione del DNA, letteralmente capovolgendo una sezione specifica del codice genetico. Questa manovra molecolare non genera semplici mutazioni casuali, ma produce due proteine chimere completamente funzionali, chiamate collettivamente Stf, composte da materiale genetico del profago dormiente.
Wood sottolinea l'eccezionalità di questo fenomeno: quando il DNA viene modificato, solitamente si ottengono proteine inattive o danneggiate. In questo caso invece le inversioni genetiche producono deliberatamente nuove proteine operative, evidenza di un sistema antivirus finemente calibrato che si è perfezionato attraverso milioni di anni di evoluzione. Le proteine Stf agiscono come guardiani molecolari, impedendo ai virus di aderire alla superficie batterica e di iniettare il proprio materiale genetico all'interno della cellula.
Sebbene gli enzimi ricombinasi fossero stati individuati in precedenza nelle regioni genomiche associate alla difesa batterica, nessuno aveva mai dimostrato il loro coinvolgimento diretto nella protezione antivirale. Come spiega Wood, i ricercatori avevano notato questi enzimi ma li avevano considerati semplicemente come marcatori della presenza di geni virali, senza comprenderne la funzione attiva. I batteri devono disporre di molteplici sistemi difensivi per sopravvivere, e questo rappresenta l'ennesima conferma della complessità delle loro strategie evolutive.
Per verificare sperimentalmente questo meccanismo, il team ha aumentato artificialmente la produzione di proteine Stf in colture di Escherichia coli, esponendole poi all'attacco virale. La misurazione della torbidità della soluzione dopo una notte ha permesso di quantificare l'efficacia della difesa: maggiore la torbidità, minore il numero di virus attivi rimasti. Parallelamente, simulazioni computerizzate hanno modellato il processo di adsorbimento, ovvero l'attacco dei virus alla superficie batterica, confermando i dati di laboratorio.
Gli esperimenti hanno rivelato anche i limiti di questo sistema difensivo. Quando le proteine Stf vengono sovrapprodotte, inizialmente bloccano efficacemente l'atterraggio virale sulla superficie cellulare. Dopo otto cicli sperimentali consecutivi, tuttavia, i virus modificano le proprie proteine di aggancio, adattando il modo in cui identificano e si attaccano ai batteri, riuscendo così a superare la barriera difensiva. Questo braccio di ferro evolutivo dimostra la dinamicità continua della corsa agli armamenti tra batteri e virus.
Le implicazioni di questa scoperta vanno ben oltre la comprensione teorica della microbiologia. La crescente minaccia delle infezioni resistenti agli antibiotici, aggravata dall'uso eccessivo di questi farmaci, rende urgente la ricerca di alternative terapeutiche. I virus batteriofagi rappresentano una possibilità concreta perché colpiscono selettivamente specifici ceppi batterici senza danneggiare altri microrganismi e si evolvono insieme ai loro ospiti. Prima di impiegare i virus come sostituti degli antibiotici nel trattamento delle infezioni umane, secondo Wood, è fondamentale comprendere a fondo come i batteri si difendano dagli attacchi virali.
Le applicazioni pratiche di questa ricerca riguardano anche l'industria alimentare e la sicurezza sanitaria. Una migliore comprensione dei sistemi antivirali batterici consente di coltivare più efficacemente i batteri utilizzati nella fermentazione di alimenti come formaggi e yogurt, oltre a migliorare la gestione delle infezioni batteriche negli ambienti ospedalieri. Il laboratorio di Wood sta già studiando altri otto profagi con potenziali meccanismi difensivi ancora da testare, ognuno dei quali potrebbe rivelare nuove strategie protettive.
Come sottolinea il ricercatore, questa è la storia di come un fossile protegga il proprio ospite dagli estranei, e ci sono altre dieci storie simili in attesa di essere raccontate. Una comprensione approfondita delle interazioni tra virus e batteri fornirà intuizioni preziose su come sfruttare efficacemente e in sicurezza i batteri nella bioingegneria, aprendo prospettive innovative nel campo della medicina e della biotecnologia..