Vi spieghiamo la nuova tassa di Apple che gli sviluppatori della UE odieranno

In seguito al Digital Markets Act, Apple ha introdotto una nuova tassa per gli sviluppatori, assieme a numerose modifiche per l'AppStore.

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a cura di Andrea Maiellano

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In seguito alle nuove regole imposte dal DMA (Digital Markets Act) in Europa, Apple ha annunciato una significativa modifica alla sua politica dell'AppStore, aprendo iOS e iPadOS ai negozi di app di terze parti, oltre a offrire la possibilità agli sviluppatori di realizzare i propri sistemi interni di pagamento.

Sebbene ciò possa potenzialmente portare a uno scenario più competitivo, variopinto e, potenzialmente, caotico per il mondo delle app, gli sviluppatori si sono trovati di fronte a una nuova tassa, applicata da Apple, che ha suscitato parecchia preoccupazione: 0,50€ per ogni nuova installazione oltre il primo milione.

La struttura tariffaria proposta da Apple può sembrare inizialmente favorevole. Il nuovo standard prevede che le app che optano per la distribuzione tramite negozi di terze parti non paghino alcun compenso addizionale ad Apple. 

Se gli sviluppatori, inoltre, desiderano essere presenti sull'App Store di Apple, la percentuale della tassa tradizionale è stata abbassata da 30% al 17% e, addirittura, al 10% per le app che rientrano nella categoria delle "piccole aziende". Tuttavia, la vera problematica per alcune aziende, emerge quando le app raggiungono una certa popolarità.

Qualsiasi app con oltre 1 milione di installazioni all'anno, difatti, è tenuta a versare ad Apple una tassa di 50 centesimi di euro per ogni nuova installazione oltre il primo milione.

Questa tassa viene applicata una volta, per ogni utente, ogni anno, e considera anche gli aggiornamenti delle app come nuove installazioni. Questo significa che le app più popolari (quali Spotify o Netlix per esempio) dovranno pagare ad Apple 50 centesimi di euro per ogni utente, ogni anno, oltre il primo milione di installazioni dell'app o di installazioni degli aggiornamenti delle app.

La stessa tassa, inoltre, si applica anche ai negozi di app di terze parti, senza però godere della "grazia" del primo milione di installazioni.

L'aspetto economico di questa nuova politica potrebbe rivelarsi oneroso per alcuni sviluppatori: scegliere di rimanere nell'App Store di Apple comporta il mantenimento del pagamento di una percentuale senza alcuna tassa di installazione, mentre, dall'altra parte, liberarsi dalle elevate tasse di Apple, e dalle restrizioni dell'App Store, significa dover affrontare pesante tassazione in cambio della libertà.

Una mossa che si mostra chiaramente indirizzata verso tutte quelle grosse aziende che, oramai da diverso tempo, portano avanti una guerra nei confronti di Apple e delle sue tasse presenti nell'AppStore, accusandole di essere anticoncorrenziali.

Basti pensare, per esempio, a Meta, della quale il solo Facebook conta 408 milioni di utenti mensili in Europa su diverse piattaforme, con un terzo di questi utenti che utilizzano l'app per iPhone o iPad.

Meta, facendo un rapido calcolo, dovrebbe versare ad Apple 67,5 milioni di Euro all'anno solo per Facebook, a cui si devono aggiungere i pagamenti per WhatsApp, Instagram, Messenger e gli altri servizi della azienda.

Una somma che potrebbe raggiungere un totale decisamente vertiginoso, specialmente se si considera che questo calcolo non terrebbe conto solo degli utenti attivi, ma anche di coloro che hanno installato le app anni fa e ricevono i canonici aggiornamenti automatici.

Lo stesso discoro si applica a quelle grandi aziende come Spotify, la quale ha tanto atteso per liberarsi dalla "tassa del 30%" di Apple, la quale sta già rivalutando se introdurre, o meno, la possibilità di offrire opzioni di sottoscrizione e acquisti in-app, vista la somma che dovrebbe poi versare ad Apple anche nel caso in cui gli utenti decidano di non pagare un abbonamento e continuare a usufruire dei servizi gratuiti di Spotify.

Questo nuovo modello economico, però, potrebbe rivelarsi realmente un problema per tutti quegli sviluppatori che realizzano app più piccole, che se, malauguratamente a questo punto, diventassero virali superando facilmente 1 milione di installazioni, potrebbero mettere gli sviluppatori in una situazione decisamente difficile.

Basta pensare a "fenomeni lampo" quali Clubhouse o BeReal, due app diventate virali per un breve periodo e che non addebitavano alcuna somma agli utenti in anticipo, con questa tassa si sarebbero trovati molto presto in serie difficoltà economiche, dovendo pagare milioni per la loro popolarità iniziale e poi continuare a sostenere costi elevati nonostante un numero ridotto di utenti attivi.

Al di là degli aspetti finanziari, vi sono anche complicazioni operative. Le aziende che decideranno di sviluppare, e rilasciare, un negozio di app di terze parti dovranno anche persuadere gli sviluppatori a migrare i loro lavori su quel negozio, offrendo una situazione economica più favorevole di quella già garantita da Apple. L'azienda di Cupertino, infine, non semplifica il processo di transizione degli sviluppatori da un negozio all'altro, richiedendo una procedura complessa di installazione e disinstallazione.

Le reazioni alla nuova tassa di Apple sono state decisamente pittoresche. Il CEO di Epic Games, Tim Sweeney, l'ha definita "immondizia fumante", mentre il CEO di Spotify, Daniel Ek, sta esplorando, attraverso i suoi canali social, i reali benefici i questo cambiamento. David Heinemeier Hansson, di Hey e Basecamp, considera la tassa "una delle pillole avvelenate nel grande piano di Apple", ma ritengono che per alcune aziende di dimensioni più contenute, quali Spotify per l'appunto, possa rivelarsi vantaggiosa rispetto alla tassa del 30% precedentemente richiesta.

Apple giustifica questa tassa sostenendo che dedica tempo ed energie considerevoli alla creazione di strumenti per sviluppatori e che sono proprio le grandi app, sviluppate dalle aziende più grosse, che fanno il maggior uso di tali strumenti.

Tuttavia, alcuni analisti hanno fatto notare che, in epoche passate, sia su Windows, che su macOS, venivano offerti tali strumenti gratuitamente, riconoscendo che erano gli sviluppatori di terze parti a rendere le loro piattaforme attraenti.

Le discussioni su questa nuova politica di Apple non sono ancora concluse. La Commissione Europea esaminerà le nuove regole una volta che l'applicazione del Digital Markets Act (DMA) entrerà in vigore a marzo.

Se i regolatori riterranno che il nuovo modello economico introdotto da Apple violerà, in qualche maniera, le nuove regolamentazioni, potrebbe essere necessario per l'azienda di Cupertino di intervenire nuovamente per modificarne alcuni aspetti.

Ovviamente "la tassa dei 50 centesimi" è già uno dei principali punti di critica, con i vari CEO delle più grandi aziende sul mercato, pronti a scatenare una nuova guerra nei confronti della decisione di Apple.

In conclusione, la struttura proposta da Apple apre nuove possibilità per l'ecosistema delle app nel suo complesso. Tuttavia, prima che ciò diventi una realtà, gli sviluppatori devono valutare attentamente se i potenziali benefici superano gli oneri finanziari imposti da questa nuova tassa, prima di ritrovarsi a dover versare tariffe multimilionarie ad Apple.