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Alla (ri)scoperta di… Fahrenheit!

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Avatar di Michele Pintaudi

a cura di Michele Pintaudi

Editor

Pubblicato il 25/01/2021 alle 10:00 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 13:49

Anno nuovo, nuovo episodio della rubrica di Game Division dedicata a quei giochi che, per un motivo o per l’altro, forse avrebbero meritato un po’ di attenzione in più. Dopo avervi parlato di un titolo tanto ambizioso quanto travagliato come L.A. Noire, oggi cambiamo completamente genere spostandoci su quella che è stata una delle avventure narrative più interessanti del nuovo millennio: Fahrenheit, titolo Quantic Dream uscito nell’ormai lontano 2005.

Un gioco che, prendendo ispirazione da fonti varie e di diverso genere, mirava a portare qualcosa di nuovo in un’industria videoludica che stava vivendo, con tutta probabilità, uno dei periodi migliori della sua storia. Le ambizioni e una solida base, sotto diversi punti di vista, non mancavano di certo: cosa non ha funzionato del tutto allora? Proviamo a scoprirlo insieme, iniziando con un salto indietro di un paio di decenni…

Fahrenheit, a David Cage game

È il 1999 quando Quantic Dream, studio di sviluppo francese capeggiato dall’eclettico designer David Cage, si affaccia all’industria del gaming con Omikron: The Nomad Soul. Un titolo nato con l’obiettivo di sconvolgere il media videoludico per com’era allora conosciuto ma che, complice un’ambizione eccessiva per quelle che erano le risorse a disposizione, si rivelò un prodotto mediocre e incapace di lasciare tracce di rilievo nella memoria degli appassionati.

Ciò nonostante non mancava tutta una serie di elementi - dalla presenza tra i personaggi di una stella come David Bowie a una trama che, in ogni caso, mostrava del potenziale da non sottovalutare - che spinsero publisher come Vivendi prima e Atari in seguito a investire nell’azienda parigina. Il nuovo progetto avrebbe imparato dagli errori commessi in precedenza, evitando quelle esagerazioni in termini quantitativo che avevano compromesso il risultato finale.

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Con il fermo desiderio di raggiungere e superare tutti gli obiettivi preposti, Cage spese un intero anno per produrre uno script di più di 2.000 pagine: la produzione di Fahrenheit poteva avere inizio. La storia mette il giocatore nei panni di tre personaggi le cui vicende, nel corso dell’avventura, finiranno con l’incrociarsi a più riprese: la cornice è una New York City dalle forti tinte neo-noir, perfetta per un thriller psicologico ad altissima tensione.

Il tutto ha inizio con il primo dei tre protagonisti, Lucas Kane, in fuga da un diner dove ha appena commesso un omicidio. Omicidio di cui, però, sembra non ricordare nulla. Sulle sue tracce troviamo gli altri due personaggi principali: i detective Carla Valenti e Tyler Miles, impegnati a raccogliere prove e a indagare su questo misterioso avvenimento.

Elemento cardine del gioco, come ci verrà spiegato nel tutorial da David Cage in persona, è la possibilità di compiere delle scelte: queste andranno a influenzare il nostro cammino, e dovremo perciò prestare attenzione a ogni singola decisione per evitare di compromettere i nostri protagonisti. Ciascuno di loro sarà infatti dotato di una barra dello stress, da tenere sott’occhio con attenzione in ogni momento.

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A fare da contorno troviamo poi un cast di personaggi davvero interessanti e spesso ben caratterizzati, a partire da Markus: sacerdote fratello di Lucas con cui quest’ultimo prova a riallacciare i rapporti dopo anni, cercando risposte alle mille domande che si ritrova ad affrontare. Una figura centrale sarà poi l’Oracolo, antagonista principale la cui vera identità diverrà nota soltanto col procedere dell’avventura.

A livello di gameplay siamo di fronte alla più classica avventura “story-driven” basata perlopiù su quick time events e decisioni da prendere, lasciando giustamente più spazio alla storia che alla componente prettamente ludica. Da segnalare un comparto artistico di ottima fattura, a partire dalla colonna sonora che spazia da alcuni brani dei Theory of a Madman fino a due tracce orchestrali composte in esclusiva dal Maestro Angelo Badalamenti (Twin Peaks, The Beach, Nightmare 3).

Il setting di Fahrenheit può poi contare su ispirazioni cinematografiche e letterarie di livello, da Fight Club a Seven passando per Dune, con l’ampio uso del motion capture a rendere il tutto ancor più immersivo da diversi punti di vista. Gli ingredienti per un successo, insomma, c’erano eccome: perché allora Fahrenheit non è stato il successo che tutti preannunciavano?

Fahrenheit, un successo a metà?

Sia chiaro: Fahrenheit fu un buon gioco con cui Quantic Dream riuscì, come auspicato, a evitare gli errori commessi con l’acerbo Nomad Soul. Le qualità del titolo furono anzi riconosciute in maniera pressoché unanime dalla critica, che promosse il gioco con poche riserve. In termini di vendite i risultati non furono però particolarmente esaltanti, forse anche a causa di tutte le uscite di altissimo livello che stavano caratterizzando l’annata in questione. Il 2005 vide infatti capolavori passati alla storia quali Resident Evil 4 e Devil May Cry 3, ma anche titoli “blockbuster” come Animal Crossing: Wild World e Call of Duty 2.

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Lo scenario in cui distinguersi e affermarsi non era dunque tra i più semplici, e le tiepide vendite di Fahrenheit relegarono il gioco ai margini di quello che fu un anno d’oro per il settore videoludico. A questo si aggiunse una polemica legata alla presenza di alcune scene di sesso nel gioco, in seguito rimosse con la pubblicazione della versione Xbox 360: un’inezia a dire il vero, ma nell’ecosistema del web è facile assistere a momenti del genere, dove la crociata di pochi utenti può arrivare all’attenzione di un pubblico man mano sempre più ampio.

Fahrenheit avrebbe dunque meritato un maggior successo, sotto troppi punti di vista, ma è stata tutta una questione di sfortuna? L’idea di avere per le mani un’occasione mancata è forte, e forse gli sviluppatori avrebbero potuto azzardare qualcosa in più sia nell’offrire un’esperienza più variegata che a livello di trama vera e propria. Quest’ultima, soprattutto nelle battute finali, va infatti a perdere qualche colpo a fronte di un impianto narrativo costruito fino a quel momento senza sbavature di rilievo: la sensazione è che si sia voluto correre troppo, concludendo l’avventura in un modo che forse poteva essere più azzeccato.

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Concludiamo questo articolo, come di consueto, lasciando la parola a voi giocatori: quali sono i vostri ricordi legati a Fahrenheit? Anche secondo voi si tratta, a conti fatti, di un successo a metà?

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