Betrayal at Club Low | Recensione

Ecco la nostra recensione di Betrayal at Club Low, un videogioco indipendente da tenere assolutamente d'occhio

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a cura di Nicholas Mercurio

Betrayal at Club Low, sviluppato e pubblicato da Cosmo D. Studio, è un videogioco indipendente annunciato nel corso del 2022. Proposta come un’opera che cattura due generi ben distinti, ci siamo trovati all’interno di un contesto interessante. Nel panorama indie, per l’appunto, è facile ritrovarsi spesso in mondi e situazioni imprevedibili, magari alla ricerca di un mondo per salvare una persona oppure per intraprendere un viaggio come in GRIS. Betrayal at Club Low, invece, è più simile a Stray per cosa vuole trasmettere attraverso i comprimari con cui ci interfacciamo, con la sola differenza che non ci sono gli Oltraggiosi, ma personaggi comuni che non arrivano alla fine del mese e sono costantemente in difficoltà.

Per quanto possa essere un canovaccio interessante su cui aggrapparsi per tessere una narrazione memorabile, c’è da dire che la produzione potrebbe collocarsi tra il noir e il surreale, due correnti artistiche che, in un modo o nell’altro, hanno sempre qualcosa da raccontare al prossimo. Ed è quanto accaduto mentre esploravamo il club, il racconto e conoscevamo meglio il contesto, che ci è sembrato maturo ed emozionante, specie quando ci interfacciamo con i personaggi secondari di cui non sapevamo nulla ma che, in un modo o nell’altro, sapevano farsi apprezzare.

Betrayal at Club Low propone un racconto emozionante

Ci siamo trovati per strada come dei comuni porta pizze alla ricerca di qualcuno, impersonando un protagonista a cui possiamo dare il nome che preferiamo. Chi vi scrive ha usato il suo, un po’ perché voleva entrare nel contesto narrativo in maniera decisa, diventando in questo modo parte integrante di questo mondo virtuale. È una notte come tante altre, in una città come tante altre, e in un contesto che, insomma, è come tanti altri. Eppure, sta succedendo qualcosa di strano al Club Low, un luogo lussuoso con DJ, ragazze vestite in maniera succinta, musica fino a tarda notte e tante situazioni spiacevoli. Veniamo chiamati a indagare, muovendoci in uno scenario intrigante e approfondendo meglio il racconto che stiamo vivendo.

Arriviamo da un passato oscuro che ci ha visto vivere momenti complessi, e la nostra unica preoccupazione, come se fossimo proiettati nel Corvo con Brandon Lee, è risolvere un caso. Non siamo poliziotti, non siamo agenti segreti e non siamo dei Booker de Witt improvvisati. Siamo un individuo dalla pelle bluastra e dagli spiritati di poche parole ma con tanti assi nella manica.

Non facendovi spoiler, il racconto di Betryal at Club Low è tagliente e descritto come se fosse una favola moderna in cui ci ritroviamo a vivere una situazione dove altre persone sono in pericolo, e il nostro unico modo per salvarle è scendere nei dettagli di momenti delicati. Interfacciandoci con i vari personaggi dell’esperienza, capiamo immediatamente che il club è il centro nevralgico delle attività losche più comuni della cittadina. Viene inevitabile, perciò, fare un collegamento con molte altre opere di intrattenimento che hanno saputo cogliere il momento giusto per presentarsi al grande pubblico, dando spessore inevitabilmente a un racconto capace di racchiudere al suo interno dei rimandi alle opere noir più comuni degli ultimi trent’anni.

Farci impersonare un comunissimo porta pizze, anche se non rappresenta affatto il vero ruolo del protagonista, è in effetti stato divertente e singolare, specie per raccontare il contesto in un modo spensierato, nonostante la seriosità che abbiamo vissuto. Il racconto, insomma, si focalizza su questi elementi ed esalta delle caratteristiche capaci di appassionare e lasciare di stucco per via della costruzione di un mondo assolutamente verosimile e ben amalgamato al suo interno. È quanto ci auguravamo, infatti, di trovare in una produzione che, seppure non duri molto (soltanto due ore, ma l’esperienza può essere affrontata anche più volte grazie ai suoi undici finali), riesce in ogni caso a presentarsi con maturità e profondità.

È l’intensità, infatti, che stavamo cercando da diverso tempo e che, in un modo o nell’altro, ha avuto al grande capacità di arrivare in un momento adatto per farsi conoscere. Sia chiaro, non stiamo parlando di un’opera imprescindibile o di un capolavoro, perché il tessuto narrativo, per quanto intenso e ben scritto, alle volte lascia a desiderare a causa di una frettolosità degli avvenimenti che, forse, avrebbero meritato un maggiore approfondimento e quella ora in più utile per comprendere meglio alcune dinamiche. Di sicuro, proporre più finali è stata una mossa intelligente, specie se riflettiamo sulla natura da gioco di ruolo della produzione, che ha avuto la capacità di offrire comunque uno spessore al prodotto che ci ha intrattenuto parecchio, facendoci sentire inermi di fronte agli accadimenti che abbiamo vissuto.

Possiamo rispondere ai personaggi secondari come desideriamo, intavolando delle discussioni e, senza troppi giri di parole, arrivare addirittura a conversazioni che si ricollegano successivamente con altre situazioni. La storia di Betrayal at Club Low, oltre a essere profonda, è anche capace di trattare tematiche delicate come l’isolamento e la privazione. Il personaggio che interpretiamo e a cui diamo un nome è solo, silenzioso e parla con pochi individui. Indaga, ma soffre. Questo è un elemento narrativo che, purtroppo, non è stato approfondito a dovere.

Un gameplay essenziale e comune

In Betrayal at Club la telecamera è fissa sul protagonista, e lo muoviamo all’interno delle aree mentre le esploriamo. Inizialmente possiamo impostare la difficoltà che preferiamo, decidendo in che modo approcciarsi a questo mondo mentre scopriamo la classica Tana del Bianconiglio. La struttura di gioco è in realtà molto semplice: siamo davanti a un videogioco di ruolo dove è la progressione il cuore pulsante dell’esperienza quanto i vari scontri con i nemici. Affrontandoli attraverso delle dispute, possiamo guadagnare del denaro e spenderli proprio per potenziare le nostre affinità ed abilità, rafforzandoci inevitabilmente. Abbiamo speso molto per curare la nostra immagine, cercando di accrescere i nostri numeri fortunati mentre, al contempo, abbiamo potenziato le nostre movenze sulla pista da ballo per sconfiggere i nemici.

Per quanto in effetti sia un modello di gioco estremamente classico, è tuttavia funzionale e riesce a intrattenere. Complice la possibilità di trovare dei forni in cui possiamo impastare delle pizze, dandoci così dei bonus e dei malus all’interno del game design di gioco, possiamo affinare il nostro lancio di dadi quando iniziamo uno scontro. Le varie battaglie, infatti, si focalizzano proprio sui combattimenti contro un numero esagerato di nemici, dove c’è la possibilità di affrontare le situazioni con l’approccio che preferiamo. Alle volte non riusciremo a farcelo e in tante altre occasioni saremo costretti a ripetere alcune battaglie, ma non perderemo mai la vita.

Perderemo, però, molti soldi se non faremo i dovuti attenzione. Se da una parte è un ottimo modo per facilitare l’esperienza anche a chi ha giocato pochi giochi di ruolo, dall’altra il contesto si perde e mostra un personaggio inscalfibile che si ritrova a dover contare soltanto sulle proprie abilità e ad avere la meglio, rafforzandosi e migliorando. Al netto di questo, però, il game design perde di consistenza una volta apprese le dovute contromisure: l’approccio diventa più istantaneo, classico e potrebbe portare anche a momenti di stanca, specie nella seconda ora di gioco. Un maggiore approfondimento delle meccaniche di gioco, in effetti, avrebbe sortito un effetto più memorabile, considerando le ottime premesse e le tante ottime idee che abbiamo notato durante la nostra esperienza.

Luci al neon, piste da ballo e pizza

Se da una parte il gameplay preferisce non prendersi grossi rischi, dall’altra c’è una direzione artistica curata in ogni minimo particolare. Ci sono luci fosforescenti, piste dove una classica palla da discoteca accoglie chi vuole divertirsi e c’è un’anima indipendente forte e convincente che dà modo ancora una volta di espandere le nostre conoscenze di un panorama ormai sempre più disteso e potente, con tante proposte meritevoli e alcune che meriterebbero più attenzione.

A non convincerci appieno, ma c’è da riflettere accuratamente sul budget della produzione, è la grafica di gioco e in generale il lato tecnico della produzione, fin troppo claudicante. Mentre muoviamo il personaggio, siamo costretti a spostare una freccia da una parte all’altra dello schermo per analizzare cosa abbiamo attorno. Sarebbe un’ottima idea di game design, se non fosse fin troppo scomodo pad o mouse alla mano. Non ci ha esaltato neppure il menù di progressione, con troppe finestre da aprire e tante cose da considerare. Un approccio più fluido, in effetti, avrebbe garantito alla produzione una maggiore godibilità.

La produzione è anche vittima di repentini cali di frame rate nei momenti più concitati e di alcuni rallentamenti. L’audio di gioco, tuttavia, è ben implementato e gode di composizioni discotecare che sono riuscite a coinvolgerci ancora di più. Betrayal at Club Low offre una storia interessante, un personaggio da cui apprendere molto e un ottimo contesto narrativo, ma propone un game design non eccezionale e già visto altrove, nonostante sia ottimamente implementato. È una produzione che, in un modo o nell’altro, ci ha convinto e potrebbe essere approcciata tra un videogioco blasonato e l’altro. Niente di più, niente di meno.