Death Stranding 2 ha senso ma nessuno vuole ammetterlo

A seguito di un'intervista che Norman Reedus ha concesso al sito Leoedit.com, l'idea di un secondo Death Stranding si è accesa. Parliamone.

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a cura di Antonio Rodo

Aveva senso The Last of Us Parte 2, prima di metterci sopra le mani e scoprire che è uno dei migliori sequel di sempre? No. L’articolo potrebbe già finire qui. Una sola frase è stata più che sufficiente a smontare decine di post sui social, anche scritti da vari colleghi.

Il punto, cari lettori, è che ciò di cui non abbiamo bisogno adesso o crediamo non sia necessario, non significa nulla e ha valenza zero. The Last of Us, riallacciandomi a quanto scritto sopra, è un gioco straordinario e con una conclusione destinata a farsi ricordare a lungo come una delle più importanti del videogioco moderno. Un finale brusco, pieno di punti di domanda e di riflessione, che ho portato nel cuore e nei ricordi per moltissimo tempo. The Last of Us Parte 2, per me e altri appassionati, significava una cosa sola: distruggere completamente quelle sensazioni provate nel 2013 e trasformare i punti di domanda in concreti e cristallini eventi narrativi. E fu esattamente così in un primo momento, ma, a gioco ultimato, o comunque durante l'esperienza, l’importanza che da appassionato attribuivo a questo sequel era enorme. Non avevo più dubbi: The Last of Us Parte 2 ha senso, mi dicevo, e ci sono persino i presupposti per creare qualcosa di ancora più impattante ed emotivamente struggente del suo prequel. Tutto questo, tra l’altro, per un gioco nemmeno troppo esoso in termini di universo narrativo e world building. 

Ma allora perché Death Stranding 2 non avrebbe alcun senso? Per la sua narrativa perfetta, densa e conclusiva? Avrei molto da ridere anche in questo caso, non me ne vogliate. Perché quella di Death Stranding non è affatto una sceneggiatura completamente chiusa e perfetta, ma offre anzi moltissimi spunti per un sequel o per un prequel, e in entrambi i casi il gameplay sarebbe costretto necessariamente a mutare, trasformando completamente l’opera e rendendo ancora più unico e indimenticabile l’incredibile Death Stranding rilasciato nel 2019. Ma andiamoci piano e con ordine.

“We just started the second one”

Prendete il primo paragrafo di questo articolo e consideratelo uno sfogo da parte dell’autore. Detto questo, riproviamoci partendo proprio dalla famosa intervista che ha sollevato questa ondata di chiacchiere. 

Ilaria Urbinati: Okay, so you got the book going on, you’ve got the final season coming out, then the spinoff, and you’re filming Death Stranding, the video game.

Norman Reedus: We just started the second one.

Queste tre righe di testo sono un estratto dell’intervista che Norman Reedus ha concesso a Leoedit.com. Nel corso della chiacchierata, di primo acchito molto personale e focalizzata sulla vita del noto attore, è saltato fuori Death Stranding, preceduto da altri progetti a cui Norman sta lavorando o ha già ultimato. La frase è molto esplicita e ha quindi poco senso tradurla letteralmente per voi ma, per quanto esplicita, offre in realtà una seconda lettura nemmeno tanto trascurabile. La giornalista Ilaria Urbinati, conversando con Reedus, ad un certo punto ha fatto il punto della situazione, tirando in ballo alcuni dei progetti che coinvolgono Norman, e tra questi ha anche citato Death Stranding. L’attore ha risposto in modo molto diretto, annunciando di aver già iniziato i lavori sul secondo, ma non è chiaro se facesse riferimento ad un secondo gioco, oppure a Death Stranding 2. Una cosa è però certa: il coinvolgimento di Hideo Kojima, che, sul suo profilo Twitter, ha successivamente pubblicato delle immagini che lo ritraggono insieme a Norman, accompagnate dalla frase “vai nella tua stanza privata, amico mio”, un esplicito richiamo a Death Stranding.

Nonostante non sia certa la natura del progetto, quindi, questi due mattacchioni stanno nuovamente lavorando insieme. Personalmente, sono certo si tratti di un secondo Death Stranding, altrimenti non avrei scritto questo articolo.

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Death Stranding 2: prequel o sequel?

L’idea di un secondo Death Stranding, almeno nella mia testa, ha trovato spazio sin dai tempi dell’annuncio della versione PS5, la Director's Cut. Quando vidi la presentazione al Summer Game Fest dell’ormai noto Geoff Keighley, pensai immediatamente alla major dietro al progetto, a una PlayStation intenta a sondare il terreno e cominciare a valutare l’idea per un sequel o un secondo gioco ambientato nello stesso universo. Questa consapevolezza crebbe ulteriormente quando, in anteprima lo scorso settembre, potei finalmente mettere le mani sul gioco e provare con mano i nuovi contenuti, stando ai trailer perlopiù ludici e d'intrattenimento. Scoprì invece l’esistenza di alcune, nuove informazioni narrative tutte focalizzate sulla figura delle madri esanime, sull’oscuro passato della Bridges, su Fragile e Higgs. E a quel punto mi chiesi: ma perché giocarsi queste carte? Perché arricchire in questo modo il racconto? Effettivamente, se ci pensate, non sono delle informazioni pensate per non avere un secondo fine e quindi arricchire solamente l'esperienza base; sembravano voler fare ben altro, teaserarci quasi l’esistenza di un nuovo progetto a tema Death Stranding, un modo per dire ai fan “dentro questo universo c’è ancora tanta ciccia da raccontare e oscuri segreti da mettere in chiaro.” E a dirla tutta faceva lo stesso anche l’esperienza tradizionale uscita nel 2019 in esclusiva PlayStation 4, davvero troppo densa d'informazioni e sorretta da un immaginario fantascientifico clamoroso. Una mole di racconti, personaggi ed eventi che, una nuova proprietà intellettuale, tende a raggiungere col secondo o addirittura terzo titolo.

L’ipotesi di un altro Death Stranding, dunque, è tutt'altro che da rigettare: sia nel caso in cui l'autore sentisse il bisogno di fare un prequel, sia nel caso sentisse il bisogno di fare un sequel, di idee ce ne sarebbero a bizzeffe da buttare giù...Dalla possibilità di vivere il Death Stranding attraverso un punto di vista lontano dagli Stati Uniti D'America (ambientando quindi il gioco nella stessa timeline degli eventi visti nella prima parte), all’idea di realizzare un prequel focalizzato sulla Bridges, i bridge baby, le madri esanime e Clifford Unger. Pe non citare, un po’ come visto nella seconda avventura di Aloy, l’ipotesi di un sequel giustificata dal fatto che il Death Stranding non è affatto stato scongiurato e che, anzi, vede il Last Stranding più vicino che mai.

Insomma, la realtà, cari lettori, appassionati di Death Stranding o di Hideo Kojima, è che a volte un fotogramma riesce a comunicare tutto, a diventare il manifesto di un’esperienza, della nostra, che non vogliamo assolutamente venga alterata. Deve essere quel fotogramma il nostro più grande ricordo di Death Stranding, ci diciamo: il nostro Porter, insieme a Louise, sotto un'incessante e normale pioggia, a fissare un arcobaleno finalmente completo e non più ostile. Come scrissi in apertura, pensavo lo stesso di The Last of Us, non volevo che il finale venisse rovinato. Non l’ho più pensato dopo aver messo mano al sequel, e spero che la stessa sorte tocchi anche a Death Stranding, ora che il suo grande autore, Hideo Kojima, è più maturo che mai.