Death Stranding al TGS: l'intimità condivisa di Sam

Analizziamo alcune delle caratteristiche più rilevanti dei 49 minuti di gameplay di Death Stranding mostrati al Tokyo Game Show.

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a cura di Alessandro Palladino

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Se state leggendo queste parole, la vostra curiosità ha avuto la meglio e avete assistito a ben 49 minuti di gameplay di Death Stranding dal Tokyo Game Show. Una scelta comprensibile, specialmente se siete nella schiera dei giocatori che si trovavano o si trovano ancora in dubbio su ciò che vuole comunicare il gioco di Hideo Kojima. Quest’ultimo, come annunciato su Twitter prima del reveal, vi suggerisce però di non informarvi troppo sul suo nuovo lavoro e di affrontarlo con “l’ignoranza” giusta a sorprendersi, scoprire ed eventualmente meravigliarsi osservando i panorami e le stranezze dell’America distopica da lui ideata. Intimo e sconosciuto, così è il modo in cui il creatore vuole farvi vivere il lancio dell'8 novembre.

Ma se siete ancora qui, significa che quello che avete visto non vi è forse bastato. Volete saperne di più, volere ragionarci e provare a tirare un filo riguardo a ciò che è successo a Sam nella piccola scampagnata di questa mattinata, unendo i puntini sparsi qui e lì. Un desiderio comune e che vogliamo tentare di soddisfare attraverso alcune riflessioni su ciò che è stato mostrato, sottolineando i pregi e i misteri di un titolo che ancora risulta molto criptico nonostante il suo ulteriore svelamento. Dal canto nostro però, vi invitiamo anche noi ad approcciarvi a Death Stranding con il minor numero d’informazioni possibile, facendo completamente vostra l’esperienza riflessiva che il gioco propone.

Il percorso di Sam

Come è risultato piuttosto evidente, il gameplay di Death Stranding era completamente in giapponese, il che significa che per ora rimangono molti dubbi e incertezze sulle spiegazioni aggiuntive che Kojima ha rilasciato nel commento alla sessione di gioco. Essendo una serie di sequenze tagliate dallo stesso sviluppatore, sono state modificate per evitare troppi spoiler o dire ancora di più rispetto al già eccessivo slancio comunicativo, comunque coadiuvato proprio dal commentario dal vivo. Sicuramente i discorsi e gli approfondimenti derivati saranno un nuovo spunto di discussione appena verranno sottotitolati, ma d’altro canto forse è meglio non avere troppi dettagli e affidarsi a ciò che appare sullo schermo, sempre che quest’ultimo elemento risulti accurato e realmente esplicativo dell’interezza del gameplay. Cosa di cui, almeno in parte, dubitiamo fortemente.

La missione alla mano di questa demo è quella di portare un carico a un altro avamposto Bridges situato sulla costa opposta, vicino alla sponda ovest americana. Già dal menù di selezione abbiamo un’idea precisa di quanto Death Stranding punti a fornire un’esperienza realistica nella gestione del proprio personaggio, calcando il discorso della fisicità che abbiamo esplorato nel nostro precedente approfondimento della Gamescom e che Kojima ha spesso inserito anche nei suoi altri titoli. Il carico e gli oggetti della nostra dotazione saranno reali e avranno un peso oltre che uno spazio fisico occupato, incidendo su fattori come andatura, stanchezza, equilibrio e possibilità di percorso. Si rompe il ciclo ludico dell’inventario in favore di una gestione concreta e fattuale, dando il “peso” letterale a quello che poi è il cuore del gioco: il viaggio.

Potremmo passare ore a cercare i minuziosi dettagli nell’HUB di gioco o a chiederci perché BB può mettere Like alle nostre azioni, ma tutti gli elementi che abbiamo esaminato nel corso dei mesi e che esamineremo da qui all’uscita hanno tutti un’univoca funzione: diversificare i componenti e i momenti della nostra lunga traversata per connettere l’America. E non usiamo “nostra” a caso: il viaggio è tanto di Sam quanto di tutti i Sam che esistono nelle dimensioni degli altri giocatori e che, in un modo o nell’altro agiscono all’interno del mondo condiviso. Un pellegrinaggio collettivamente intimo che fa delle gestualità e delle difficoltà umane il suo vanto per raccontare la pesantezza e la tragicità di un’ambientazione ben oltre l’orlo del disastro.

Spesso ci si chiede perché, in un gioco come Death Stranding, ci sia bisogno di vedere Sam urinare, farsi il bagno nelle terme, coccolare BB o cambiarsi le scarpe. Azioni di cui si pensa si potrebbe anche fare a meno, insieme ai valori come il livello del sangue, la stamina e l’ossigeno. Questi dettagli vengono perfino visti come vezzi dell’autore, una sorta di patina per complicare le cose senza il bisogno di farlo, una lamentela che parzialmente ha anche colpito Red Dead Redemption 2 e i suoi tempi dilatati. Tuttavia queste azioni e valori naturali rappresentano il modo perfetto per cogliere l’umanità di Death Stranding fuori dai confini della sua narrazione sovrannaturale, e il gameplay odierno ce lo mostra ruotando attorno a questa precisa idea.

Se da un lato la storia – che in questo caso non abbiamo visto se non nel Briefing - serve proprio per dare il ritmo alla sostanza più energica del gioco, dall’altro il mondo aperto si pone come una tela su cui poter creare un’esperienza estremamente introspettiva per il giocatore, considerando all’insieme e l’azione narrativa di tutte le interazioni, musiche e meccaniche che costituiscono il modo in cui Sam si sposta o si rapporta a ciò che lo circonda. La rappresentazione della fatica attraverso la meccanica dei pacchi e del loro trasporto, ad esempio, è la testimonianza più diretta e chiara della volontà di farvi sentire immedesimati con i bisogni e i limiti del protagonista, favorendo quel legame quasi “familiare” che si crea quando gli esseri umani si prendono cura di altri esseri viventi.

Noi ci prendiamo cura di Sam, Sam (attraverso comunque l’azione del giocatore) si prende cura di BB e in un certo senso il mondo intero si prende astrattamente cura sia di noi che dei Sam. Un circolo di apprensione e attenzione che deve necessariamente alternarsi tra fasi di preoccupazione (gli scontri con i nemici) e fasi di totale rilassamento per rimanere vivo e tangibile, come quelle che vengono costantemente sottolineate nei video gameplay mostrati nelle ultime due occasioni. Che abbiano funzionalità a livello di gameplay è altrettanto innegabile, tuttavia non si tratta né più né meno della logica fisica e chimica dell’azione del corpo/oggetti sull’ambiente esterno e viceversa. Non fosse così e si trattasse di semplici animazioni decorative, ci risulterebbero meno incisive e troppo distaccate dal “realismo” che Death Stranding vuol far passare a livelli ben precisi.

Un mondo inaspettatamente condiviso

Oltre alla vita del protagonista, il filmato illustra il dualistico mondo di gioco. Dualistico perché è sia pieno che “vuoto”, una natura che ha lasciato più di una persona abbastanza interdetta. Da un lato vediamo diverse ambientazioni prettamente naturali, se escludiamo lo scorcio urbano delle basi e il campo di lotta contro l’abominio oleoso. D’altro canto sembra che questo spazio possa essere riempito attraverso la creazione e il collegamento di strutture e altri strumenti utili, apparentemente costruiti da o sotto ordine di Sam.

La ricostruzione di un’idea di civiltà è un compito affidato quello che potrebbe essere definito come “sforzo collettivo”. In Death Stranding sembra essere confermato che i giocatori possano influire sullo stato del mondo di ogni partita. Quali giocatori e con che priorità non è dato sapere, però essi sono in grado di compiere diverse funzioni come la creazione di stazioni di ricarica per gli esoscheletri, lasciare veicoli, perdere carichi, tirare oggetti durante i combattimenti contro il Death Stranding, lasciare segnali di comunicazione e tracce sul terreno. Le interazioni sembrano essere tantissime e significative per le capacità di esplorazione della comunità e la crescita del mondo di gioco. Rimangono molte incognite su quanto e come i cambiamenti fatti rimangano all’interno del suolo americano, ma già dal filmato alla mano si può notare che l’influenza di essi sia spesso incisiva all’interno del viaggio di Sam.

Dalle parole di Hideo Kojima, abbiamo appreso che “non si è mai soli” e che “ci sono diversi Sam” presenti allo stesso momento nello stesso ambiente, a patto di essere in un’area collegata dal Network Chirale. La loro fisicità, al contrario del giocatore “principale”, è però ridotta alla semplice conseguenza delle loro azioni e strumentazioni, rendendo il nostro rapporto con loro un semplice scambio di like, almeno per ora. Una prospettiva che non fa gridare al multiplayer ma che non colloca Death Stranding neanche come single player puro. Non sappiamo se l’online sia obbligatorio o meno, quello che è certo è che la sua inclusione è una colonna portante dell’idea dietro le connessioni umane e che a livello pratico permette di attraversare nuovi punti d’interesse e trovare materiali utili alla missione.

È interessante notare come lo stesso filmato di gameplay si alterni tra momenti di estrema intimità (docce, nudità parziali, sonno) e altri in cui la condivisione diventa imprescindibile dall’azione di gioco. Affrontando il Boss melmoso, visto in azione già in precedenza in alcuni filmati, ci colpisce come alcuni giocatori escano dal fluido misterioso per aiutarci nella lotta, figurando come sagome bianche che a malapena riescono ad emergere dal mare nero. Non sembra essere un’azione diretta di qualcuno che controlla il personaggio, piuttosto un meccanismo che potrebbe avere a che fare con un presunto legame con essi.

Magari più interazioni avremo con un utente x, più ci sarà possibilità di vederlo in nostro soccorso. Mere speculazioni che nascono però dall’essere parte di un qualcosa di globale nonostante la forte carica introspettiva del viaggio. Ed è proprio per questa continua tensione tra l’io e il noi che il verde paesaggio roccioso assume un senso tutto suo, allontanandosi dalla sensazione di vuoto solamente grazie ai concetti che lo regolano. Un po’ come il mondo di Shadow of the Colossus ci appariva tremendamente vasto anche quando sapevamo esser “pieno” dei suoi colossi. Nonostante questi 49 minuti di riflessioni, riemergiamo da essi carichi di ancora più domande, trovando elementi familiari utilizzati in contesti estremamente stranianti. Death Stranding si compone dall’ignoto e dal conosciuto, miscelando i due in una formula così peculiare e forte che probabilmente riusciremo a metabolizzare solo dopo aver raggiunto i suoi titoli di coda.

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