C'è un qualcosa di poetico nel fatto che Nintendo abbia deciso di celebrare, almeno per il momento, i quarant'anni di Super Mario con un platform in tre dimensioni, realizzato da una parte dllo studio che ha realizzato Super Mario Odyssey, che ha come protagonisti proprio quei due personaggi che hanno permesso, seppur involontariamente, alla baffuta mascotte di Nintendo di diventare quell'icona che é oggi.
Donkey Kong e Lady, diventata poi la Pauline che tutti conosciamo, sono, difatti, i protagonisti indiscussi di Donkey Kong Bananza, la nuova avventura in tre dimensioni dello scimmione più celebre dell'universo videoludico, la quale ha diversi spesi sulle spalle non indifferenti. innanzitutto segna il ritorno in Giappone della serie principale di titoli dedicati a Donkey Kong, che dopo essere stata portata al successo globale dalle sapienti mani di Rare, ed essere stata preservata dal rispettoso team di Retro Studios, ora ritorna sotto l'ala di Nintendo, con il difficile obiettivo di dimostrarsi ancora capace di stupire i giocatori e, soprattutto, sapersi differenziare dagli altri platform sfornati dal "Colosso di Kyoto".
Dopodiché, Bananza, deve riuscire a donare una nuova identità alle avventure di Donkey Kong. Nintendo non può limitarsi a copiare gli studi venuti prima di lei, quindi con questo nuovo capitolo devono riuscire a convincere i giocatori che DK non é Super Mario e può garantire esperienze diverse da quanto proposto dai titoli in tre dimensioni dedicati all'idraulico.
E infine… be, Donkey Kong Bananza deve mostrarsi un titolo di lancio capace di convincere così tanto pubblico e critica da riuscire sia a trainare le vendite di Switch 2, in questo suo secondo mese di vita, sia di saziare la fame di produzioni single player dei numerosi acquirenti della nuova console di Nintendo. Insomma il povero Donkey ha sulle spalle il peso di qualche responsabilità, ma non preoccupatevi perché il team capitanato da Kazuya Takahashi e Kenta Motokura, è riuscito a confezionare una produzione che, per quanto non perfetta, è andata ben oltre le mie più rosee aspettative.
Recensione in un minuto
Donkey Kong Bananza è il ritorno in grande stile del celebre scimmione Nintendo in un platform 3D ambizioso, vario e sorprendentemente profondo. Sviluppato da parte del team di Super Mario Odyssey, il gioco unisce la distruttibilità ambientale a un’anima da collectathon, fondendo con successo elementi sandbox, linearità e sperimentazione. Il cuore del gameplay ruota attorno alla forza bruta di DK, potenziata da un ricco albero delle abilità e da una serie di trasformazioni chiamate “Bananze”, legate al canto di Pauline. Bananza riesce a distinguersi dai titoli dedicati a Mario grazie a un ritmo dinamico, una libertà d’approccio inedita e una struttura che premia curiosità e sperimentazione. Il gioco brilla per fisica, level design e quantità di contenuti, ma inciampa in una telecamera poco affidabile e in un numero eccessivo di collezionabili. Nonostante qualche piccola sbavatura tecnica in modalità docked, Donkey Kong Bananza si conferma un vera e propria killer app per Nintendo Switch 2... ma adesso andiamo più nel dettaglio.
Una nuova frontiera per la libertà
Se bisogna appuntare una cosa a Nintendo, è sicuramente la decisione di promuovere in maniera così peculiare Donkey Kong Bananza. I primissimi trailer hanno mostrato poco e nulla, le prime prove alle Switch 2 Experience hanno fatto credere a tutti di trovarci fra le mani una "rage room virtuale", il direct dedicato ha mostrato un progetto con un'identità fortissima e le ultime prove a porte chiuse hanno mostrato un collectathon con tante luci e, ancora, parecchie ombre da diradare.
Per fortuna, però, una volta messo mano alla versione definitiva di Donkey Kong Bananza, l'ultima fatica di Nintendo si è rivelata essere una produzione davvero convincente sotto, quasi, tutti i punti di vista... ma che avrebbe meritato una promozione meno sibillina, e votata allo stupire, vista la mole di contenuti presenti al suo interno e, soprattutto, per il fatto che per molti giocatori si tratta della prima esclusiva davvero di spessore per Switch 2, motivo per il quale il Colosso di Kyoto avrebbe fatto bene a giocarsi tutti gli assi.
Tornando a Donkey Kong Bananza, è un platform in tre dimensioni di stampo collectathon, che, pur pescando a piene mani dal core game di Super Mario Odyssey (e di moltissimi altri esponenti del genere), riesce a mostrare una sua identità ben marcata. Non sorprende, che, vista l'importanza di questa produzione, il team di sviluppo abbia voluto interpellare Miyamoto e Koizumi per chiedergli la loro opinione su come far emergere al meglio tutte le caratteristiche principali di Donkey Kong.
Sulla base dei suggerimenti ricevuti, gli sviluppatori hanno deciso di concentrarsi sulle lunghe, e possenti, braccia di DK e sulla sua sovrumana forza, cercando di concentrare un buon 80% del gameplay, proprio su queste sue peculiarità. Ecco, quindi, che il "cuore pulsante" di Super Mario Odyssey, il quale mescolava ai collezionabili principali tutta una serie di oggetti reperibili solo in determinate aree di gioco, ritorna in pompa magna anche in Bananza, anche se pesantemente stravolto nelle sue fondamenta in virtù di un personaggio diverso... con necessità diverse.
In Donkey Kong Bananza, difatti, è indubbio che il focus principale sia collezionare le banane di Banandium, ma a differenza di un qualsiasi altro Super Mario in tre dimensioni, il loro reperimento non risulta obbligatorio per proseguire nella storia principale. Indubbiamente cercare banane dappertutto risulta indispensabile per potenziare DK attraverso un ricchissimo albero delle abilità (che se utilizzato a dovere permetterà ai giocatori più navigati di "rompere" letteralmente il gioco), ma se si preferisce approcciare Bananza come un platform in tre dimensioni maggiormente lineare, nessuno proibisce di farlo.
Ogni area di gioco, difatti, pur essendo completamente (o quasi) distruttibile, presenta dei punti d'interesse ben indicati sulla mappa, permettendo al giocatore di raggiungerli per progredire con l'avventura superando le varie sfide proposte (alcune delle quali leggermente ripetitive nella struttura). Questo aspetto apparentemente insignificante, offre un approccio totalmente libero e che va ben oltre a quello che si poteva "sospettare" dai vari trailer che incentravano tutto sulla possibilità si distruggere glia ambienti di gioco a piacimento per raggiungere i diversi obiettivi.
Donkey Kong Bananza, infatti, è sia una rage room virtuale dove spendere decine di minuti a spaccare tutto "perché si" (riuscendo a raggiungere il terapeutico obiettivo di rilassare effettivamente i nervi del giocatore), che un collectathon davvero ben confezionato, che un platform in tre dimensioni lineare e ricco di sfide interessanti. Il suo valore aggiunto, che lo rende diverso da tutto il resto, pur sembrando sempre così "dannatamente simile a Odyssey", è la sua capacità di essere queste tre cose allo stesso momento.
Vi faccio un rapido esempio: arrivate in un'area, un punto esclamativo vi segna il vostro prossimo obiettivo a 500 metri in linea retta. Prima di andare avanti, però, decidete di dare due pungi distensivi al suolo per vedere se, e come, si spacca... così, per puro caso, trovate una banana di Banandium che vi sprona a spaccare ancora più parti del livello per vedere se riuscite a reperire altri collezionabili.
Passano due ore, il punto esclamativo è ancora li ad aspettarvi, aprite la mappa di gioco e notate che avete sventrato un quarto abbondante di quel nuovo livello fino alle sue fondamenta, trovando fossili di varie dimensioni (che vi permetteranno di comprare nuovi vestiti per DK e Pauline), qualche cassa del tesoro e decine di tonnellate di oro da utilizzare per le piccole spese (o sa sperperare in caso di prematura dipartita).
Decidete, finalmente, di lasciar perdere la distruzione di massa del nuovo livello e, perlomeno, avere la decenza di scoprire cosa vi chiedano di fare in questa nuova area... ma nel tragitto (in cui cercate di essere molto educati e non fracassare nulla) incappate in un paio di porte misteriose che celano quegli irresistibili microlivelli in due, o tre, dimensioni, ricolmi di banane nascoste da reperire e che, con quel level design al limite della perfezione che contraddistingue ogni platform di Nintendo, risultano irresistibili, motivo per il quale ci entrate e lasciate, nuovamente, quel punto esclamativo ad aspettarvi. Ecco, questo è Donkey Kong Bananza.
Ora vi starete chiedendo: "ok, tutto bellissimo, ma non ci si annoia a spaccare terra per ore e ore?" In realtà... solo nelle fasi di gioco che anticipano il finale, e non per colpa del level design ma per colpa di uno dei vizi che Nintendo ha cominciato ad avere a partire dalla scorsa generazione di console. Mi spiego meglio, Nintendo ha sempre creato dei platform in tre dimensioni caratterizzati da un corpo principale dell'avventura (che comprende inizio, parte centrale e fine) e un endgame pensato per offrire decine di ore aggiuntive ai completisti e, in linea generale, agli amanti delle sfide più complesse. Super Mario Odyssey, così come Donkey Kong Bananza, seguono lo stesso iter ma sia nel gioco principale, che soprattutto nell'endgame, il numero di collezionabili è stato innalzato così tanto da risultare difficile, persino per Nintendo, riuscire a offrire sempre quel "guizzo" di originalità che ci si aspetta da produzioni del genere. Qui, mi dispiace dirlo, ma il team di ASTROBOT ci ha visto lungo nel proporre una avventura più contenuta ma capace di stupire dall'inizio alla fine.
Andando più nel dettaglio, ogni area presente in Bananza si compone di due concezioni di level design ben distinte: la prima, che risiede nel livello ancora da demolire, che offre tutta una serie di architetture pensate per soddisfare a dovere chi preferisce andare "dritto per dritto" e seguire i vari obiettivi; la seconda, invece, sono le fondamenta di ogni livello, ovvero quello strato di materia indistruttibile che compone lo scheletro di ogni area e che è pensata per mettere alla prova, attraverso strutture invalicabili dai "semplici" pugni di DK, i giocatori che si cimenteranno nel reperimento di tutte le banane sparse all'interno dei vari livelli.
Oltre a questi due strati, ogni area è suddivisa in diverse sottosezioni pensate per offrire sia una forte verticalità, a tratti inedita per un platform in tre dimensioni, che una concezione simile a quella dei platform più tradizionali, dove ogni mondo viene suddiviso in un numero preciso di livelli che separano dallo scontro con il boss finale del gioco. Ognuna di queste sezioni, però, oltre a poter essere distrutta in lungo e in largo, offre anche numerose sfide capaci di garantire un numero ben preciso di banane.
Si parte da delle porte triangolari che celano al loro interno dei livelli, bidimensionali o tridimensionali, incredibilmente curati nel level design (e nella progressione delle sfide offerte) e che nascondono al loro interno tre banane; si passa poi a delle botole che presentano delle minisfide a tempo con i vari nemici presenti nel gioco per portarsi a casa una banana, per terminare con numerosi NPC che richiederanno a DK e Pauline di portare a termine dei semplici compiti prima di premiarli. Ecco, se le prime due tipologie di sfida, proprio in virtù del loro essere più contenute, mi hanno riportato alla mente i migliori esempi di quel "level design made in Nintendo", le richieste degli NPC si sono rivelate meno curate, risultando tediose molto rapidamente e portandomi a "passare oltre" quando ho realizzato che la loro forma non mutava ma, semplicemente, si ripeteva livello dopo livello.
Indubbiamente la decisione di permettere di evitare completamente l'aspetto Collectathon di Bananza, viene in aiuto in questi frangenti dove la ripetitività di alcune attività rischia di rendere le fasi esplorative eccessivamente ridondanti, ma resta il fatto che se Nintendo avesse optato per una quantità minore di collezionabili, l'intera produzione avrebbe avuto davvero pochissime sbavature (peraltro tutte tecniche).
Fra pugni e Bananze
Torniamo per un attimo al gameplay di Donkey Kong Bananza, perché per quanto sia vero che Nintendo si è concentrata sulla forza bruta di DK per offrire una enorme "rage room virtuale" ai giocatori, sono anche stati molto intelligenti a non limitarsi a quello. Donkey, difatti, oltre a sferrare pugni in tre direzioni diverse, in modo da poter scavare a piacimento nel terreno, potrà sradicare pezzi di terreno per poterli sfruttare come surf (in modo da andare più veloce), come piattaforma per saltare più in alto o, molto banalmente, come ariete da sfondamento per demolire i materiali che non cederanno sotto il peso dei suoi pugni.
Il moveset di Donkey Kong, però, pur essendo ben più ricco rispetto ai movimenti appena descritti, avrebbe rischiato di stancare in fretta, soprattutto in un collectathon che fa della forza bruta il punto nevralgico delle sue fasi esplorative. Ecco quindi che Nintendo ha avuto l'ide agiusta per riuscire a fornire anche al celebre scimmione una serie di power up che gli permettessero di competere con Mario e Kirby, senza però "scimmiottarli" (perdonate l'orribile accostamento) eccessivamente: le Bananze.
Queste ultime altro non sono che delle trasformazioni che DK potrà mettere in atto quando supportato dal canto di Pauline e che lo faranno mutare in una serie di animali che gli permetteranno, per un periodo di tempo limitato, di guadagnare dei moveset univoci per ogni trasformazione. Per quanto individualmente non si tratta di veri e propri game breaker (a parte una di cui non vi parlerò in questa sede), la possibilità di alternarle fra di loro rapidamente durante la fase di trasformazione, permetterà a Donkey Kong di fare praticamente tutto... dal correre sull'acqua, al tirare pungi in grado di frantumare anche i materiali più resistenti, fino al volare per brevi tratte.
-
Immagine 1 di 2
-
Immagine 2 di 2
L'aspetto positivo, nonché molto intelligente, delle Bananze, risiede nel fatto che siano legate a doppio filo a Pauline, garantendo agli sviluppatori di non imporle come "nuovo standard" per i futuri titoli della serie, lasciandole come un potenziale "unicum" capace di dare a Bananza un' identità non replicabile nelle future (perché è sicuro che ci saranno) iterazioni in tre dimensioni di Donkey Kong. Inoltre, il fatto che vengano sbloccate gradualmente nel corso dell'avventura (seppur tramite un processo fin troppo ripetitivo), garantisce all'intera produzione un ritmo, quasi, perfetto, che cede, leggermente, solo nelle ultimissime aree prima dello splendido "gran finale".
Giusto per precisare, la mia partita a Donkey Kong Bananza, avendo recuperato circa la metà delle banane disponibili prima dei titoli di coda, e quasi tutti i fossili, è durata quaranta ore abbondanti. Viene da se che, cercando tutti i collezionabili e sommandoci il corposo endgame, questo monte ore può tranquillamente venire raddoppiato.
Fra co-op e artisti
Due parole al volo per due divertissement che, per quanto apprezzabili, non trasformano radicalmente l'esperienza finale, ovvero DK Artists e la modalità co-op. La prima modalità altro non è che una versione riveduta e corretta della mdoalità creativa di Super Mario 64. La potevamo modellare la faccia in tre dimensioni di Mario e qua si possono scolpire e pitturare sculture di pietra sfruttando la modalità mouse presente nei Joy-Con 2. Carino, ma ce ne si dimentica subito una volta che finisce l'effetto wow dato dal provarlo la prima volta. La second amodalità, invece, permette di giocare in due con la stessa console, e durante la stessa partita, sfruttando uno dei due Joy-Con 2 come mouse per "sparare" delle note cantate da Pauline, in dei punti precisi dello schermo, supportando chi governa Donkey nella sua avventura. Molto carino, il mouse si muove con una precisione incredibile, ma come per DK Artists, ce ne si ricorda solo quando qualcuno si avvicina allo schermo chiedendo: "posso giocare anche io?".
Una pesante eredità
Quando Donkey Kong Bananza venne annunciato in pompa magna, al netto dell'essere contento di veder finalmente arrivare un nuovo platform in tre dimensioni dedicato allo scimmione (per la cronaca l'ultimo è stato Donkey Kong 64 nel 1999), la mia prima domanda è stata solo una: ma tutto l'ottimo world building realizzato da Rare?
D'altronde il restyle di Donkey, la nuova ambientazione di Lingottisola e la presenza di una Pauline molto giovane (nel gioco ha 13 anni) facevano subito pensare a una sorta di reboot (o di origin story) che andasse a narrare un nuovo universo che desse il via a questo corso di, potenziali, avventure in tre dimensioni dedicate al celebre scimmione.
E invece, non solo Bananza ha un comparto narrativo leggermente più strutturato rispetto a quello a cui Nintendo ci ha abituato con altri platform in tre dimensioni (non siamo ovviamente ai livelli di saghe come Metroid o Zelda), ma Nintendo si è prodigata nel non cancellare con un colpo di spugna tutto quel world building che Rare ha costruito negli anni 90.
Bananza, difatti, segue una storia che poco ha a che fare con quanto visto nei capitoli della serie Country ma l'ottimo lavoro realizzato da Rare è ben presente, fra comparse, citazioni e, soprattutto, dialoghi atti a dare ai vari capitoli della serie Country, una posizione all' interno di una ipotetica timeline cronologica. Una scelta che, in tutta onestà, ho apprezzato tantissimo.
Tecnicamente scosso
Giusti a questo punto, Donkey Kong Bananza si presenta come un platform tridimensionale ricco di contenuti, pieno di idee brillanti, vario nelle situazioni offerte e che scivola solamente quando, inevitabilmente, riutilizza alcune idee (più e più volte) per sostenere l'enorme mole di collezionabili presenti al suo interno... ma tecnicamente come se la si cava? È davvero un titolo che, come dichiarato dagli sviluppatori, non sarebbe potuto esistere senza Nintendo Switch 2?
Si, indubbiamente si, ma purtroppo scivola su alcuni aspetti tecnici che non gli permettono di raggiungere l'eccellenza toccata da altre produzioni di Nintendo. Partiamo subito dall'elefante nella stanza, le performance di Donkey Kong Bananza non sono devastanti come si inizia a insinuare in giro sul web. Il titolo, in modalità portatile, gira a 60fps con una risoluzione di 1080p senza dare problemi di sorta e risultando sempre fluido e reattivo; in modalità docked, invece, i frame calano (toccando i 55/50 fps) nelle situazioni più concitate, dove con questo termine si intende il creare artificialmente degli scenari dove il terreno viene spaccato in grosse quantità e su schermo ci sono migliaia di frammenti di terra che volano in tutte le direzioni, pioggia scrosciante, movimento del personaggio e dei nemici nelle vicinanze e così via.
Ho volontariamente provato a mettere sotto sforzo Bananza in diverse occasioni perché volevo capire quanto potessero crollare le performance, specialmente dopo che il director del gioco ha dichiarato di aver prediletto il divertimento ai compromessi per mantenere sempre stabile il framerate, e i "terribili cali" dichiarati a destra e a sinistra, si risolvono in una manciata di secondi dove gli fps calano, e risalgono velocemente, nelle fasi in cui si distruggono centinaia di metri cubici di terreno.
Resta il fatto, però, che Donkey Kong Bananza è il primo titolo capace di mostrare il potenziale di Nintendo Switch 2, motivo per il quale dei piccoli cali in modalità docked, così come dei pop-up estemporanei degli elementi a schermo (generati da un caricamento non sempre rapidissimo delle texture presenti nelle grosse aree di gioco), fanno leggermente storcere il naso visto che apre a potenziali (per quanto sterili) critiche sulla scarsa potenza della console.
Il vero difetto di Donkey Kong Bananza, però, è solo uno: la telecamera che passa dall'essere meravigliosa a oscena in una manciata di istanti. È brutto dirlo in maniera così brutale ma non trovo altri termini per descrivere una camera che nelle fasi platform è sempre "on point", precisa e affidabile, mentre nel momento in cui si inizia a scavare il terreno, e ci si inizia a infilare nei vari cunicoli, qualche volta ha la splendida idea di mostrare la scena dall'alto, in modo da potersi muovere in pace e poter cercare con criterio eventuali collezionabili; altre volte, praticamente quasi tutte, semplicemente impazzisce perché prova a seguire Donkey Kong da dietro le spalle, piantandosi nei cunicoli, non mostrando più niente di sensato e, nelle volte che cerca di recuperare in corner la situazione, spostandosi in prima persona fino a che non ci sarà abbastanza spazio per muoversi agevolmente nel suo spazio virtuale, e trasformando Donkey kong Bananza in un discutibile simulatore di minatori.
-
Immagine 1 di 3
-
Immagine 2 di 3
-
Immagine 3 di 3
Insomma, considerando quanto l'ho vista andare per i fatti suoi nelle oltre 40 ore spese con Bananza, ora capisco perché alcuni giocatori sensibili al motion sickness, abbiano provato una lieve nausea durante le fasi di anteprima. Peccato, perché si tratta realmente dell'unico, grosso, difetto presente in Bananza.
Per il resto non c'è davvero molto da appuntare. Le animazioni sono tutte splendide, varie e non si concentrano solo sui due protagonisti ma su qualsiasi personaggio si paleserà a schermo. La fisica del gioco è letteralmente incredibile, i pezzi di terreno volano in maniera naturale in tutte le direzioni e, proprio quella fisica che avrà un ruolo cruciale in determinati momenti di gioco, risulta sempre perfetta e credibile.
L'elevata distruttibilità degli ambienti, infine, è un piacere sia per gli occhi che per quello che riguarda le sensazioni mentre si gioca. Il fatto che gli sviluppatori abbiano inserito un microscopico slow motion che accompagna ogni impatto dei pugni di Donkey Kong con una superficie distruttibile, restituisce una fisicità che raramente si è sperimentata in produzioni del genere.
Insomma, Donkey Kong Bananza è un platform che merita davvero davvero tanto e che mi dispiace solo che sia stato promosso in questa maniera così peculiare. Il direct è stato una bomba per noi fan, però effettivamente se adesso guardo il materiale promozionale di Bananza, non ci vedo delle "vibe" totalmente diverse da quelle che poi ho trovato nel gioco finale. La telecamera non riesco a digerirla ma tutto il resto Donkey Kong Bananza è una lezione costante di gameplay e level design... esattamente quello che serve alla prima esclusiva single player di una console appena uscita.