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Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio – Crescita e maturità | Recensione

Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio, terzo capitolo della serie, rappresenta il punto di maturità del progetto: ecco la nostra recensione.

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Avatar di Giulia Serena

a cura di Giulia Serena

Editor

Pubblicato il 05/11/2025 alle 14:05
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  • Pro
    • Narrazione finalmente coerente con la saga di Zelda
    • Combat system fluido, dinamico e più tattico del passato
    • Ottima ottimizzazione tecnica e performance solide su Switch 2
    • Direzione artistica fedele all’immaginario di Tears of the Kingdom
  • Contro
    • Qualche texture e modello ambientale datato
    • Ripetitività inevitabile nel lungo periodo
    • Mancanza di una vera componente esplorativa

Il verdetto di Tom's Hardware

8.5
Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio segna il punto di maturità di una serie che, nata come semplice esperimento, è riuscita a costruirsi una propria identità credibile all’interno dell’universo di The Legend of Zelda. È un titolo che non tradisce le origini del brand, ma lo interpreta da una prospettiva più muscolare e spettacolare, offrendo un racconto coerente, un combat system solido e una resa tecnica finalmente all’altezza. Rimane pur sempre un musou, con tutti i limiti del genere in termini di ripetitività e struttura, ma è anche una delle produzioni più raffinate e consapevoli mai firmate da Koei Tecmo. Per chi ha amato Tears of the Kingdom, rappresenta un’estensione naturale di quell’esperienza: meno contemplativa, più bellica, ma ugualmente capace di trasmettere la grandezza e la malinconia di Hyrule.

Informazioni sul prodotto

Hyrule Warriors: L'era dell'esilio

È curioso pensare come la storia di Hyrule Warriors sia nata da un esperimento. Quando il primo capitolo fece il suo debutto su Wii U, l’idea di trasformare The Legend of Zelda in un musou sembrava più una provocazione che un progetto destinato a durare. Ebbene, l’incontro tra due filosofie ludiche così diverse – la meticolosa costruzione del mondo tipica di Nintendo e la frenesia ipercinetica dei titoli Koei Tecmo – generò un titolo intrigante ma spiazzante. Divertente, sì, ma anche difficile da collocare.

Undici anni dopo, quell’esperimento è diventato una piccola saga parallela, capace di guadagnarsi un’identità propria. Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio, terzo capitolo di questa anomala epopea, rappresenta il punto di maturità del progetto: un titolo che non cerca più di emulare la grandezza della serie principale, ma di raccontarne un frammento alternativo, con le sue regole e il suo ritmo.

La memoria di un regno perduto

Il punto di partenza di L’Era dell’Esilio è la storia di Zelda stessa: questa volta la principessa non è più figura accessoria o simbolo da salvare, ma il fulcro emotivo e narrativo dell’intera vicenda. Il gioco abbandona le licenze creative del precedente L’Era della Calamità e si inserisce con decisione nella linea temporale ufficiale, fungendo da anello di congiunzione tra gli eventi di Breath of the Wild e quelli di Tears of the Kingdom.

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Il tono generale è più cupo e riflessivo, con un racconto che ruota attorno al peso del comando, al sacrificio e alla solitudine del potere. Zelda viene rappresentata come un personaggio finalmente complesso, fragile e determinato allo stesso tempo, e l’intera struttura narrativa si plasma attorno al suo punto di vista. Il risultato è un racconto che, pur mantenendo la linearità tipica del genere, riesce a restituire un senso di progressione emotiva raro nei musou tradizionali.

Senza rivelare dettagli chiave, l’ambientazione si concentra su un periodo oscuro della storia di Hyrule, quando le forze del male avanzano inesorabili e i regni alleati vacillano. L’atmosfera ricorda i toni più malinconici di Tears of the Kingdom, ma con una regia più diretta, fatta di dialoghi concisi e momenti spettacolari che si alternano a brevi sequenze d’intermezzo.

Una guerra che parla la lingua dei musou

Sul campo di battaglia, L’Era dell’Esilio si comporta esattamente come ci si aspetterebbe da un titolo Koei Tecmo, ma con qualche accorgimento che lo rende più accessibile e ritmato, adattandolo così anche chi non è avvezzo ai musou ma è semplicemente fan della serie The Legend of Zelda. La formula “uno contro mille” rimane, ovviamente, il cuore pulsante dell’esperienza: decine di nemici che piombano addosso contemporaneamente, enormi arene da conquistare e boss imponenti che trasformano le schermaglie in vere e proprie coreografie di guerra.

Ogni personaggio giocabile ha un proprio stile di combattimento e abilità uniche, costruite per valorizzare le sue caratteristiche narrative. Zelda, ad esempio, combina poteri di luce e controllo magico in modo scenografico ma tecnico, mentre altri personaggi puntano su agilità, potenza o supporto. Le mosse speciali e le schivate a tempo aggiungono spessore al sistema di combattimento, permettendo di trasformare il caos in una danza controllata di fendenti e magie.

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La novità più significativa è rappresentata dalle sinergie tra compagni di squadra: durante gli scontri è possibile attivare attacchi combinati, eseguire manovre coordinate e sfruttare le abilità degli alleati in sequenza. Questo rende il gameplay meno meccanico e più strategico, spingendo il giocatore a costruire team complementari piuttosto che affidarsi ciecamente a un singolo eroe potenziato.

Le battaglie principali, suddivise in missioni dal ritmo sostenuto, alternano obiettivi multipli, difese di punti nevralgici e duelli più ragionati contro mini-boss, con un approccio che smussa la ripetitività del genere e conferisce una progressione più organica. Certo, l’essenza del musou rimane intatta, giacché si combatte tanto, si distrugge ancora di più, ma c’è un’attenzione al ritmo e alla varietà che impedisce al gioco di scivolare nella monotonia.

Un racconto che sa di battaglia

A rendere L’Era dell’Esilio più coinvolgente rispetto al passato è anche la gestione della progressione. La mappa di gioco è un vero hub strategico, attraverso cui è possibile selezionare missioni principali, attività secondarie, potenziare l’equipaggiamento e gestire le relazioni tra i personaggi. Non esiste l’esplorazione libera dei capitoli principali di Zelda, ma la struttura “a missioni” è costruita con grande intelligenza, alternando sequenze narrative a momenti d’azione pura.

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Ogni scenario, oltre a introdurre nuove sfide, nasconde riferimenti e richiami diretti a Tears of the Kingdom, creando un dialogo continuo con il capitolo madre. È come se il gioco si muovesse nei margini della storia ufficiale, rivelando dettagli e retrospettive che ampliano la percezione del mondo di Hyrule.

La difficoltà è ben bilanciata: i giocatori meno esperti potranno godersi la spettacolarità delle battaglie senza troppi ostacoli, mentre chi vuole affrontare sfide più tecniche troverà pane per i suoi denti nei livelli avanzati e nelle missioni opzionali.

Estetica familiare, resa moderna

Dal punto di vista tecnico, Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio è probabilmente il musou più solido mai realizzato da Koei Tecmo su piattaforma Nintendo. L’esperienza accumulata negli anni e l’ottimizzazione per Switch 2 garantiscono finalmente una stabilità di frame rate che il capitolo precedente poteva solo sognare. Il gioco gira fluido e reattivo, sia in modalità portatile che su schermo grande, con caricamenti rapidi e una nitidezza d’immagine notevole.

L’impatto visivo resta fedele al linguaggio artistico di Tears of the Kingdom: colori saturi, contrasti netti, scenari dominati da una luce calda che dà un senso di continuità visiva tra i due universi. Le animazioni, pur non raggiungendo la fluidità dei titoli sviluppati internamente da Nintendo, risultano più curate e meglio sincronizzate rispetto al passato.

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L’unico limite risiede nel motore grafico, che inizia a mostrare il peso dell’età: alcune texture e modelli ambientali tradiscono la provenienza cross-gen del progetto, e la complessità poligonale non sempre è all’altezza dei migliori titoli per Switch 2. Nonostante ciò, nel contesto del genere e dell’obiettivo produttivo, il risultato è più che dignitoso.

Musou o Zelda? Entrambi

Una delle virtù di Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio è quella di non cercare di essere qualcosa che non è. Non prova a scimmiottare la libertà di Tears of the Kingdom, né a replicarne la struttura open world; è un musou in piena regola, ma consapevole del proprio ruolo di spin-off narrativo. Questa chiarezza d’intenti lo rende più onesto e, paradossalmente, più coerente con l’universo da cui nasce.

Il ritmo delle missioni è ideale per sessioni brevi, la storia mantiene un equilibrio costante tra dramma e azione, e la varietà dei personaggi contribuisce a tenere alta la curiosità. Chi ama Zelda per la sua profondità e i suoi momenti di esplorazione troverà qui un’esperienza complementare, più immediata ma altrettanto capace di evocare emozioni.

Insomma, Hyrule Warriors: L’Era dell’Esilio non rivoluziona il genere musou, ma lo porta a una nuova maturità grazie a un’ambientazione potente e a una narrazione finalmente credibile. È un titolo che rispetta l’universo di The Legend of Zelda e, al tempo stesso, ne amplia i confini, trasformando la battaglia in un linguaggio espressivo coerente con la leggenda che racconta.

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Dal punto di vista tecnico è solido, dal lato ludico è appagante, e sul piano narrativo è il primo episodio della serie a far davvero sentire il peso emotivo dei suoi personaggi. Certo, restano alcune ombre come la ripetitività tipica del genere e qualche limite visivo ereditato dal passato, ma nel complesso il bilancio è nettamente positivo.

Per i fan della saga principale, L’Era dell’Esilio è un’occasione per riscoprire Hyrule da una prospettiva diversa, più muscolare e drammatica, ma non meno affascinante. Per gli appassionati dei musou, è la conferma che quando Koei Tecmo lavora con passione e sotto la supervisione di Nintendo, può ancora trovare il perfetto equilibrio tra caos e controllo.

Un gioco che non inventa, ma affina. E, per una serie come Hyrule Warriors, è già un piccolo trionfo.

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