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a cura di Pietro Spina

I più attempati tra i lettori ricorderanno una locuzione molto celebre tra i gamer, usata spessissimo nelle grandi battaglie tra board e chat dei tempi che furono: Nintendo Difference. Questa condensava tutta l’unicità della casa di Kyoto, capace di distinguersi dai competitor per fantasia, creatività e l’attenzione al dettaglio al punto da rappresentare un riferimento nel settore anche solo per la gestione di un brand o la cura dei particolari ritenuti superflui da tanti.

Nonostante i tentativi, Nintendo negli anni non è mai stata “cool” come gli altri: quando per le feroci censure, mentre il sangue di Mortal Kombat imbrattava gli schermi SEGA, o per l’utilizzo delle costose e anacronistiche cartuccione che la privarono degli FMV che segnarono la generazione 1 di Sony, è sempre stato molto facile classificare la mamma di Mario come un genitore troppo conservatore e prudente, incapace di accattivare un pubblico fresco e moderno. A maggior ragione negli anni a seguire, con la titubanza verso le chat vocali durante il boom del gioco online - dove Xbox Live dettava legge - e lo zoppicante ingresso nell’alta definizione con una generazione di ritardo, era facile tratteggiare l’azienda come arretrata e cieca alle necessità di un pubblico in crescita ed evoluzione.

Con orgoglio, però, Nintendo è riuscita a sfruttare gli alti e bassi vissuti negli ultimi 20 anni per consolidarsi dove gli altri faticano, ovvero tutelando l’identità dei brand e arrogandosi passo passo, gioco dopo gioco, una sorta di esclusività su determinati generi. I racing alla Mario Kart, i platform alla Super Mario, i Party Game, gli sportivi colorati, etc.In poco tempo è diventato indispensabile passare da Nintendo per accedere a determinate tipologie di giochi, sbilanciando in breve tempo gli equilibri tra domanda, offerta e competizione.

Chi potrebbe davvero elencare una serie di brand, esclusivi lato PlayStation o Xbox, capaci di consolidarsi su un genere e venire reinterpretati con successo in continuazione? La ricerca continua del “nuovo fenomeno”, l’inseguimento costante del nuovo trend e quella a tratti ottusa voglia di far evolvere il medium (qualsiasi cosa voglia dire) ha visto consumare e dimenticare tanti brand importanti, sostituiti da nuovi franchise più attuali e all'apparenza più maturi, che però in fondo in fondo divenivano più commerciali. Non per nulla si scherza sui “cinematic third person over the shoulder action games” di PlayStation, prodotti tutti di qualità ma così sovrapponibili da dare l’impressione che non sia il franchise a contare, ma la formula.

Nintendo lo sa che non c’è niente come Mario Kart, Nintendo lo sa che nessun platform è paragonabile a Super Mario, Nintendo lo sa che se la famiglia cerca qualcosa troverà decine e decine di giochi su Switch mentre altrove dovrà accontentarsi di insoddisfacenti palliativi. E questa consapevolezza, in un momento storico in cui il buon Furukawa naviga nei paperdollari generati dalle illuminate scelte dei suoi predecessori, ha restituito alla grande N una fiducia nei propri mezzi che sa un po’ di arroganza.

Innanzitutto i prezzi dei giochi. Wow, non scendono mai! Ma proprio MAI, tant’è che tuttora si trovano sugli scaffali The Legend of Zelda: Breath of the Wild a 69.90€ e Mario Kart 8 Deluxe a 59.90€, entrambi al prezzo originale di listino nonostante siano usciti nei primi due mesi di vita della console. Una cosa simile, altrove, non esiste. Ma perché succede? Molto semplice: Nintendo non svaluta i propri giochi perché non inflaziona i franchise, nonostante sia d'uopo ironizzare sul numero di titoli in cui compare Super Mario.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild è stato annunciato diversi anni fa, in era Wii U: non aveva ancora un titolo si trovò a lasciar spazio in favore di un Wind Waker HD che avrebbe dovuto aiutare il team a prendere confidenza con il nuovo hardware e l’alta risoluzione. Dopo tanti rinvii, lo Zelda più innovativo di sempre si presentò sugli scaffali nel 2017, a 6 anni di distanza dall’ultimo episodio principale. Ne venne fuori un capolavoro assoluto che, nonostante danzasse tra le generazioni Wii U e Nintendo Switch, convinse a pieno critica e pubblico.

Oggi, quasi 5 anni dopo, stiamo ancora aspettando il sequel: perché quindi Nintendo dovrebbe sentirsi in dovere di abbassare il prezzo di un prodotto che le ha richiesto tanti anni di sviluppo, non ha eguali sul mercato ed è ancora l’ultimo episodio principale della propria saga? La forza di un’esclusiva viene coltivata proprio alimentando il valore del brand, anche rendendo unica e quasi irripetibile ogni release. Quando invece la nascita di un nuovo gioco diventa un processo metodico, reiterato nel breve termine e prevedibile, il valore del brand viene sminuito agli occhi del consumatore - e Nintendo lo sa.

Con oltre 90 milioni di Nintendo Switch venduti nel mondo e una selva di million seller inarrestabile che fa invidia a qualsiasi altro publisher, è facile lasciarsi prendere la mano e - forse - la casa di Kyoto sta cadendo nell’errore di considerarsi quasi inattaccabile. Perché sebbene il discorso fatto per Breath of the Wild sia comprensibile, è anche vero che l’assenza totale di una linea di titoli budget per alleggerire l’ingresso di nuovi utenti è decisamente atipico, indice di una sicurezza assoluta nei propri brand e nel loro valore commerciale.

I Player’s Choice su Super Nintendo, Gamecube e GameBoy Advance, così come i Nintendo Selects su Wii, 3DS e Wii U, ci ricordano come anche Nintendo sia sempre stata consapevole che i titoli più importanti della propria libreria andrebbero, nel tempo, resi più accessibili per dare una nuova spinta sia alle vendite hardware e software. Ma forse, con le inarrestabili vendite di titoli quali Mario Kart 8 Deluxe e Animal Crossing: New Horizons, che veleggiano oltre i 30 milioni cadauno senza dare segno di cedimento, nessuno se la sente di fare il guastafeste e rompere il giochino. Se la gente compra, perché fermarla?

Diverso è quando questa sicurezza nei propri va a intaccare anche la produzione stessa dei titoli, andando a livellare sotto l’egida della qualità Nintendo tutta una serie di titoli i cui valori di produzione e quantità di contenuti (per non dire qualità) risultano decisamente distanti tra loro. Basta davvero solo il marchio per giustificare un Advance Wars 1+2: Re-Boot Camp venduto a 60€?

È sufficiente essere “Pokémon” per non storcere il naso davanti a Diamante Lucente e Perla Splendente, prodotti di una semplicità disarmante e privi di guizzi creativi o tecnici? Eppure le produzioni vendute a prezzo budget ci sono, come 51 Worldwide Games, Brain Training e il prossimo Big Brain Academy: Sfida tra menti. Il discrimine quindi c’è, ma al di là del privilegiare i nomi più importanti, non è chiara la sua applicazione.

Altro inciampo lo troviamo nella gestione dei prezzi del servizio Nintendo Switch Online, tutto sommato accessibili nella sua forma base ma che diventano a tratti inconcepibili quando viene chiamato in causa il pacchetto aggiuntivo: si passa da cifre contenute e flessibilità, con tariffe mensili, trimestrali e annuali, ad un raddoppio del prezzo totale legato ad un pagamento annuale. Il tutto senza avere la certezza che ne valga davvero la pena, a meno di non giustificare i 20€ extra con il noleggio dell’espansione Happy Home Paradise di Animal Crossing: New Horizons. Ci sono circa 60 milioni di utenti senza gioco, qual è il plus per loro oltre le aggiunte del retrogaming?

La realtà è che pur volendo un bene del mondo a Nintendo, pur godendo in prima persona del successo di recenti release quali Metroid Dread (ragazzi, al cuore non si comanda), i rapporti di forza tra azienda e utenza si sono sbilanciati, pericolosamente. Tempo fa, scherzando, si diceva: “Nintendo potrebbe anche venderti del cartone se ci mettesse il marchio sopra”. Sappiamo come è andata alla fine con Nintendo Labo, ben lontano dall’essere un successo, ma il progetto ha comunque superato abbondantemente il milione di pezzi nelle sue varie sku. Altrove progetti creati su budget estremamente superiori faticano a vendere la metà di quanto fatto piegando cartoni e tirando elastici. Emblematico.

La sensazione è che Nintendo stia vivendo un periodo d’oro in cui tutto funziona alla perfezione, sospesa in un equilibrio che nessuno vorrebbe alterare: perché provare a cambiare le cose? E se una serie di titoli budget a la “Selects” fosse vista come un primo segnale di debolezza, quasi si stesse arrivando alla fine del ciclo di successo di Nintendo Switch? Se abbassare i prezzi venisse visto come un impoverimento dei brand? Parliamo degli stessi brand che negli ultimi anni sono invece stati spinti con forza fino a creare parchi a tema (Super Nintendo World) e vedere un ritorno al cinema con Illumination, il cui CEO Chris Meledandri è stato persino inserito nella board of directors aziendale. Sono cose da colossi come Disney, mica da publisher videoludici in crisi!

Il consumatore medio non noterà neanche queste stranezze, giustamente convinto dall’unicità dell'offerta, mentre i più scettici rimarranno probabilmente gli stessi mai troppo interessati ai brand e ben più inclini a seguire il ciclo (e riciclo) a cui ci ha abituato il settore del videogioco. A pagare di più, ovviamente, saranno i fan: i più facili da colpire al cuore, i più inclini ad accettare le decisioni difficili, i più pronti a saltare nel buio quando richiesto.Un tempo essere fan Nintendo era un orgoglio, impugnando lo stendardo della Nintendo Difference. Oggi è qualcosa di più simile ad una missione, ad un impegno, godendosi i grandi capolavori mentre si distoglie lo sguardo dalle incomprensibili scelte commerciali. Torneremo mai ad essere nintendari sereni?